Siamo tutte no Tav – siamo tutte senza casa

Venerdì 9 Marzo circa 200 precari dei movimenti per il diritto all’abitare hanno messo in atto una protesta pacifica occupando l’androne ed il tratto di strada antistante il CIPE (comitato interministeriale per la programmazione economica), che proprio quel giorno approvava ulteriori finanziamenti a compensazione per la TAV.
1 km di TAV = 1000 case popolari questo era lo slogan della manifestazione con la quale si voleva affermare non solo il principio della solidarietà con i valsusini, ma che la lotta NO TAV, per quello che rappresenta è anche la lotta per i nostri  bi–sogni e per i nostri diritti.
Il pestaggio della polizia, il contemporaneo sgombero della tendopoli dello spreco in via Marcello Boglione in VII° Municipio, il successivo tentativo (fallito) di sgombero dell’occupazione di via di casal boccone con l’uso di lacrimogeni e la distruzione totale della struttura da parte dei reparti della celere, l’arresto di 4 attivisti (ora 3 a piede libero ed uno –paolo – agli arresti domiciliari con restrizione totale della possibilità di comunicare), hanno trasformato una protesta simbolica in una vergognosa giornata di repressione delle lotte sociali e del dissenso.
Le responsabilità di quanto accaduto sono chiare e precise. Vanno cercate nelle politiche liberiste ed antipopolari del governo Monti che dopo aver nuovamente massacrato il diritto alla pensione, prosegue ora nella privatizzazione e nella svendita dei beni comuni, in una nuova contro –riforma del mercato del lavoro che rinchiuderà definitivamente le nostre vite in uno stato di precarietà assoluta e permanente. Vanno cercate nel Sindaco di Roma Alemanno  che prosegue nelle sue politiche di s–vendita del patrimonio pubblico e dei beni comuni – privatizzando ancora l’acqua ed i servizi pubblici locali, regalando ancora la città agli interessi forti delle banche e dei cementificatori. Vanno cercate nella persona del questore di Roma che, mentre la città cade nelle mani della criminalità organizzata, sceglie di prendersela con chi non può permettersi affitti e mutui da 1000 o 1500 euro al mese, promettendo un escalation di arresti e sgomberi.
Ora è chiaro, oltre all’emergenza legata alla crisi economica c’è n’è un altra. La chiusura di ogni spazio di agibilità sociale e politica, la repressione di chi reclama i propri diritti o semplicemente esprime il proprio dissenso e le proprie idee, come accaduto anche con le condanne e le accuse spropositate addebitate  ed inflitte a persone riconosciute o rastrellate a caso durante le grandi manifestazioni di piazza. Per questo crediamo che non solo i movimenti per il diritto all’abitare, ma una città intera, debba mobilitarsi per impedire questa deriva poliziesca e autoritaria.
2,7 miliardi di euro è il costo del solo tunnel TAV della valsusa. Oltre 20 miliardi di euro il costo della intera tratta Torino – Lione (senza contare i finanziamenti per le compensazioni).
Con questi soldi:
Quante casa popolari potrebbero essere realizzate? Quanti Asili Nido? Di quanti ospedali potrebbe essere impedita la chiusura? Quanti centri anti-violenza potrebbero  essere finanziati? Quanti luoghi potrebbero essere recuperati e messi  a disposizione della cittadinanza? Quanti precari e disoccupati potrebbero ricevere un reddito minimo garantito?
Fermiamo questa folle corsa ai profitti di pochi a danno di tutti. Continuiamo a lottare per il diritto alla casa e all’abitare. Per la difesa dei territori, dei beni comuni, dell’acqua pubblica. Per una cultura libera ed indipendente. Per l’accesso e la libera circolazione dei saperi e delle persone. Per la garanzia di servizi pubblici e di qualità. Per i diritti dei lavoratori e un reddito minimo garantito per disoccupati e precari. Per la libertà di pensiero e di movimento.
Le lotte sociali non si arrestano. I nostri diritti e le nostre idee non si sgomberano.
Un’altra Roma è possibile. Un altro mondo è necessario

SABATO 17 MARZO 2012 ORE 15.00
DA PIAZZA VITTORIO
CORTEO CITTADINO
Invitiamo ad organizzare in questi giorni mobilitazioni diffuse in ogni territorio
Paolo Libero! Tutte e Tutti i Liberi!

MOVIMENTI PER IL DIRITTO ALL’ABITARE

Pussy’s Riot in sciopero della fame dopo l’arresto

Anche il gruppo di Riot Grrrl Pussy’s Riot è stato arrestato dopo le ultime presidenziali russe, che non hanno risparmiato nessun esponente dell’opposizione più in vista.

Due di loro sono ora in sciopero della fame.

Condividiamo quindi una loro canzone e la traduzione fatta da Femminismo a Sud.

Il video le ritrae all’assalto della cattedrale di Mosca.

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(coro)
Vergine, vergine, scaccia Putin,
scaccia Putin, scaccia Putin.
(fine coro)

Tonaca nera, spalline dorate
Tutti i parrocchiani strisciano in adorazione
Il fantasma della libertà è nei cieli
Il Gay Pride mandato in Siberia in catene.

Il capo del KGB, il loro Santo capo
Conduce i manifestanti in carcere sotto scorta
Per non offendere il Santo
Le donne devono partorire e  amare.

merda, merda, merda del padrone (Signore)

(coro)
Vergine, Vergine diventa femminista
diventa femminista, diventa femminista
(fine coro)

Lode religiosa di condottieri putrefatti
Processione di limousine nere
Viene da te a scuola il predicatore
Vai a lezione-portagli i soldi

Il Patriarca Gundyaj
crede in Putin, sarebbe meglio credesse in Dio, credeva
La cintura della vergine non sostituisce le manifestazioni
A protestare con noi c’è la sempre vergine Maria

(coro)
Vergine, vergine scaccia Putin
scaccia Putin, scaccia Putin
(fine coro)

Misure per donne

(da dumbles.noblogs.org)

Fiorella resta in carcere con l’imputazione di omicidio volontario.
Il giudice ha respinto la richiesta dei domiciliari.
Quella misura che la cassazione ha recentemente ammesso anche per il branco di stupratori, come garanzia di equità per tutt*, a lei che ha ammesso il fatto, che ha lasciato lì l’arma, che ha chiamato subito i soccorsi, che a loro ha aperto la porta vestita dei lividi freschi e del naso tumefatto, che ha raccontato una vita di percosse tanto evidenti da indurla a lasciare il lavoro perché non erano più compatibili con gli spigoli delle porte… lei che non ha prove da confondere né complicità su cui contare… lei resta in carcere, come quell’altra categoria di persone per le quali non sono ammesse misura alternative al carcere: i mafiosi.
Molti si sono prodigati a spiegare il senso di quella recente sentenza della Cassazione, dicendo che la funzione delle misure cautelari non è quella di punire preventivamente, bensì quella di consentire una corretta celebrazione del processo – da una parte – ed impedire il ripetersi o l’aggravarsi dei fatti criminosi ipotizzati. Ci hanno spiegato che i giudici sono chiamati a verificare l’esigenza di misure cautelari e soprattutto a “graduarle” in applicazione del principio del «minor sacrificio necessario» (C. cost. 299 del 2005).
Ecco, a Fiorella questo non è stato riconosciuto, la misura per lei è stata la più dura, quella che quasi ha il sapore del precoce castigo .
Il giornale di oggi affianca i due fatti: il suo e quello avvenuto il giorno prima, dell’uomo che ha inferto sette coltellate sette alla donna che lo aveva rifiutato; lei per fortuna è ancora viva; l’arma del delitto è sparita e anche lui resta in carcere. Stesso pm, stesso giudice, stessa decisione.
Stesso peso, stessa misura? Non proprio. Non è il carcere che pareggia ciò che al di fuori di esso è già sbilanciato e si manifesta nei dati mostruosi delle violenze sulle donne che poi, stando alla storia giurisprudenziale, hanno ben poco da sperare dalle sentenze delle aule di giustizia.
Lo sappiamo, ma speravamo per una volta che quella violenza che così spesso,
-quando ai danni delle donne-, viene ignorata, per Fiorella fosse riconosciuta…
Riconosciamola noi intanto, per lei, per noi, per tutte, perché la misura è veramente colma.

Ha ancora senso essere femministe?

Solo in Italia succede ogni tre giorni a una di noi (ma non sappiamo a quante sorelle migranti e prostitute succeda, perché “stranamente” non sono comprese nei dati che abbiamo). Succede grazie a un sistema che lo permette, che lo prepara con le violenze subdole e giornaliere. Oggi è successo a una compagna e una femminista, Stefania Noce, uccisa insieme al nonno da un ragazzo che non voleva accettare la decisione di lasciarlo della sua ex compagna. Ma è solo rivoltando il patriarcato gambe all’aria che non succederà più e per questo anche lei era femminista e scriveva:

“Abbiamo denunciato qualsiasi forma di “patriarcato”, le sue leggi, le sue immagini. Pensavamo di aver finito. Ma non è finita qui.

Abbiamo grandi debiti con le donne che ci hanno preceduto.

Il corpo delle donne, ad esempio, in quanto materno, è ancora alieni iuris per tutte le questioni cosiddette bioetiche (vedi ultimo referendum), che vorrebbero normarlo sulla base di una pretesa fondata sulla contrapposizione tra creatrice e creatura, come se fosse possibile garantire un ordine sensato alla generazione umana prescindendo dal desiderio materno. Di questa mostruosità giuridica sono poi antecedenti arcaici la trasmissione obbligatoria del cognome paterno, la perdurante violabilità del corpo femminile nell’immaginario e nella pratica sociale di molti uomini e, infine, quella cosa apparentemente ineffabile che è la lingua con cui parliamo, quel tradimento linguistico che ogni donna registra tutte le volte che cento donne e un ragazzo sono, per esempio, andati al mare. Tutto, molto spesso, inizia nell’educazione giovanile in cui è facile rilevare la disuguaglianza tra bambino e bambina: diversi i giochi, la partecipazione ai lavori casalinghi, le ore permesse fuori casa. Tutto viene fatto per condizionare le ragazze all’interno e i ragazzi all’esterno.

Pensiamo poi ai problemi sul lavoro e, dunque, ai datori che temono le assenze, i congedi per maternità, le malattie di figli e congiunti vari, cosicchè le donne spesso scelgono un impiego a tempo parziale, penalizzando la propria carriera.

Un altro problema, spesso dimenticato, è quello delle violenze (specie in famiglia). Malgrado i risultati ottenuti, ancora nel 2005, una donna violentata “avrà avuto le sue colpe”, “se l’è cercata” oppure non può appellarsi a nessun diritto perchè legata da vincolo matrimoniale al suo carnefice. Inoltre, la società fa passare pubblicità sessiste o che incitano allo stupro; pornografie e immagini che banalizzano le violenze alle donne.

Per non parlare di quanto il patriarcato resti ancora profondamente radicato nella sfera pubblica, nella forma stessa dello Stato.

Uno Stato si racconta attraverso le sue leggi, attraverso i suoi luoghi simbolici e di potere. Il nostro Stato racconta quasi di soli uomini e non racconta dunque la verità. Da nessuna parte viene nominata la presenza femminile come necessaria e questo, probabilmente, è l’effetto di una falsa buona idea: le donne e gli uomini sono uguali, per cui è perfettamente indifferente che a governare sia un uomo o una donna. Ecco il perchè di un’eclatante assenza delle donne nei luoghi di potere.”

(tutta la lettera su Officina Rebelde)

“Per quelle donne che non hanno ancora smesso di lottare. Per chi crede che c’è ancora altro da cambiare, che le conquiste non siano ancora sufficienti, ma le dedico soprattutto a chi NON ci crede. A quelle che si sono arrese e a quelle convinte di potersi accontentare.[…]Dobbiamo, quindi, trovare il modo di pensare a un’uguaglianza carica delle differenze dei corpi, delle culture, ma che uguaglianza sia, tenendo presente l’orizzonte dei diritti universali e valorizzandone l’altra faccia. Ricordando, ad esempio, che la famiglia non ha alcuna forza endogena e che è retta dal desiderio femminile, dal grande sforzo delle donne di organizzarla e mantenerla in vita attraverso una rete di relazioni parentali, mercenarie, amicali ancora quasi del tutto femminili; ricordando che l’autodeterminazione della sessualità e della maternità sono OVUNQUE le UNICHE vie idonee alla tutela delle relazioni familiari di fatto o di diritto che siano; ricordando che le donne sono ovviamente persone di sesso femminile prima ancora di essere mogli, madri, sorelle e quindi, che nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato, nè, tantomento, di una religione.

Sen – Stefania Noce

L’austerity e’ violenza sul corpo delle donne

Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Nel nostro paese e in tutto il mondo la violenza contro le donne è all’ordine del giorno: stupri, violenze domestiche, assassinii. Questa condizione è acuita dentro il contesto di crisi.
Abbiamo deciso di aderire all’appello Occupypatriarchy, una chiamata che nasce all’interno dello spazio pubblico aperto negli ultimi mesi dal movimento Occupy Wall Street. WE ARE THE 99%, slogan delle mobilitazioni statunitensi, non sta a indicare uno spazio liscio ed omogeneo, ma al contrario trae la sua forza dalle differenti striature di colore, genere e condizione che lo fanno vivere.
Le donne con il loro lavoro suppliscono alla crisi economica e a quella politica. Un recente rapporto Istat mostra come il “nuovo sistema di Welfare” abbia a che vedere direttamente con il lavoro femminile non retribuito: come siano, cioè, le nonne a sostituire gli asili nido, le figlie a sostenere il peso dei genitori anziani, le madri ad occuparsi dei figli, e come, in altre parole, il taglio ai fondi per i servizi sociali significhi il trasferimento di compiti e fatica sulle donne.
La violenza sulle donne è frutto di un sistema fondato sulla sopraffazione maschile. In tempi di austerity la parità tra i sessi sembra diventare un di “bene di lusso”. Quando i governi propongono politiche di conciliazione vita-lavoro legittimano, di fatto, il principio per cui una donna deve svolgere più lavori contemporaneamente: precari e senza garanzie nel mercato del lavoro “ufficiale”, senza retribuzione e diritti nella sfera privata. Questa è violenza travestita da austerity!
La crisi attacca ogni possibilità di autodeterminazione, mettendo in discussione la libertà di scelta. Ed è proprio su questa che è stato sferrato l’attacco: l’intento della Proposta di Legge Tarzia è quello di cancellare l’esperienza dei consultori, intesi come strutture sanitarie laiche, adibite alla tutela della salute della donna. Mettendo direttamente in discussione la legge 194 sull’aborto, i consultori vengono proposti come centri per la tutela del concepito e della famiglia, togliendo di fatto qualsiasi centralità all’autonomia delle donne e consentendo l’accesso a figure non qualificate del mondo cattolico. Il “caso Lazio” è in questo senso emblematico e si configura come laboratorio per legittimare lo smantellamento del Welfare su scala complessiva. Quello dei consultori è, tra gli altri, un terreno di conflitto sul quale bisogna insistere, soprattutto con il governo Monti, in odor di sacrestia, per difendere il diritto alla salute e all’autodeterminazione della donna.

Occupyamo spazi per reinventare la democrazia! I nostri corpi non sono titoli di Stato!
LA VITA SIAMO NOI!

Appuntamento Venerdì 25 novembre ore 14.00 scalinata di Piazza di Spagna

Immagine da zero illustrazioni.

Il controllo non è sicurezza!

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Esprimiamo la massima solidarietà a F., la ragazza che lo scorso 30  Aprile ha subito uno stupro di gruppo in via Pineta Sacchetti.

Quanto avvenuto è inaccettabile.

Ancora una volta ribadiamo che la violenza contro le donne non ha età, razza, colore, passaporto. Se c’è una connotazione da dare a chi stupra e violenta le donne è quella di marito, fidanzato, amico, ex partner, datore di lavoro, perché la stragrande maggioranza delle violenze avviene ad opera di questi individui.

Riteniamo che le reazioni di istituzioni e forze dell’ordine (spesso attori della violenza stessa) a simili episodi siano strumentali, razziste e repressive.

Non ultimi i mass media che sfruttano i casi di stupro per perpetrare una strategia del terrore molto cara ai governi e per spettacolarizzare vicende che hanno poco di teatrale.

La violenza viene esercitata da uomini su donne, da maschi su femmine, qualunque sia il loro passaporto, impiego o ruolo sociale.

LA VIOLENZA NON E’ MAI, MAI LEGITTIMATA DA COME CI VESTIAMO, DA CHE LUOGHI FREQUENTIAMO O A QUALI ORARI ANDIAMO IN GIRO.
NOI NON ACCETTIAMO VIOLENZE SULLE DONNE E SIAMO SOLIDALI CON TUTTE COLORO VOGLIANO RIBELLARSI AI SOPRUSI.

PER OGNI DONNA STUPRATA E OFFESA SIAMO TUTTE PARTE LESA

le compagne di Roma Nord

Noi, Madri di Valle di Susa

da infoaut.org

Indirizzata al presidente della Repubblica e alla moglie, alle parlamentari italiane, a  le donne dell’associazionismo, del volontariato e a tutte le donne, l’appello delle Madri della Valle di Susa. Già sottoscritto da decine di donne, vi chiediamo di firmare e farlo circolare.

Noi, Madri di Valle di Susa
Nell’autunno del 2005 al Presidio No Tav di Borgone, in Valle di Susa, nel pieno di una pacifica eppure determinata battaglia di democrazia e di civiltà, nata un decennio prima per impedire lo sperpero delle risorse pubbliche e la distruzione di quelle ambientali, ricevemmo una lettera che così cominciava:
“Noi, madri di Plaza de Majo, vicine e solidali alle madri di Valle di Susa…”
Vorremmo oggi poter riproporre quelle parole alte e forti, fatte di condivisione e piene di coraggio, ma la lettera di quelle Madri è stata bruciata, più di un anno fa in un incendio doloso sul quale ancora oggi attendiamo di conoscere risposte e colpevoli (i mandanti e le ragioni ci sono purtroppo assai ben chiari). Quella lettera è diventata cenere, insieme a moltissime altre preziose testimonianze e a un pezzo fondamentale della nostra storia, ma il suo significato e il suo valore restano per noi immutati, scritti nel cuore e perciò non suscettibili di oltraggi esterni.
E’ per questa ragione che oggi siamo noi, madri di Valle di Susa, a riprendere quelle parole, forti di quel coraggio e rivendicandone la stessa dignità.
Noi, madri di Valle di Susa,
che da anni studiamo geologia, indaghiamo i segreti degli appalti, svisceriamo le leggi dell’economia, e approfondiamo temi apparentemente lontani dalla nostra vita, come i flussi di transito, l’inquinamento acustico, la radioattività della pechblenda,
che da anni abbiamo imparato a trovare il tempo non solo per i figli, la scuola dei figli, i lavori di casa, quelli fuori casa, ma anche per la presenza nei Comitati e nei Presidi No Tav,
che abbiamo marciato con il nostro futuro fra le braccia, in marce interminabili, sotto il sole di giugno e nel gelo di dicembre,
che nell’attesa di uno sgombero, abbiamo vegliato attorno ad un fuoco, nelle antiche notti di Venaus e in quelle nuove di Chiomonte, preoccupate non già dei nostri nasi rotti, ma delle manganellate che sarebbero potute cadute sulle teste dei nostri figli,
che abbiamo cucinato quintali di pasta e montagne di polenta per sfamare gli affamati di giustizia, e che non abbiamo saputo rifiutare una tazza di caffè bollente a chi, protetto da uno scudo e in assetto antisommossa, ci è sempre sembrato più una vittima inconsapevole, che un nemico da combattere,

noi,
che chiamiamo Madre la Terra e che ne esigiamo il rispetto dovuto alle madri,
che facendo tesoro del passato non  vogliamo ripetere gli errori di chi ha pensato di poter impunemente sacrificare la salute in nome del guadagno, l’onestà in nome del profitto, la bellezza in nome del denaro,

e che difendendo la nostra Valle da un’opera insostenibile dal punto di vista ambientale, umano, sociale ed economico, stiamo in realtà difendendo l’intera nostra Patria e proponendo un modello di sviluppo più degno per l’intera comunità umana

noi, Madri di Valle di Susa

rigettiamo le accuse che quotidianamente ci vengono mosse: accuse di violenza  e di mancanza di rispetto nei confronti dello Stato e delle sue Istituzioni, che –vogliamo ricordarlo- è una Repubblica democratica la cui base è rappresentata dalla quella Costituzione nata dalla Resistenza alla quale le nostre stesse madri presero parte attiva, combattendo la loro guerra fra le mura domestiche, dentro alle fabbriche e sulle montagne, come staffette e come partigiane,
e rivendichiamo il diritto di proseguire in modo pacifico e determinato la nostra lotta, convinte che la nostra tenace perseveranza possa essere un giorno premiata con il riconoscimento delle ragioni di un intero territorio che ha, come unica pretesa, l’ambizione di avere una vita a bassa velocità, ma ad alta qualità.