Se toccano una toccano tutte!

ciriguarda tutte

TOCCANO UNA TOCCANO TUTTE

Il 6 dicembre inizia il processo d’appello contro il miliare stupratore dell’Aquila.

Il 12 febbraio 2012, in una discoteca di Pizzoli (L’Aquila), una giovane donna di 20 anni è stata stuprata e ridotta in fin di vita.
Per questa violenza è stato processato Francesco Tuccia, un militare in servizio all’Aquila nel quadro dell’operazione “Strade Sicure”, inaugurata nel 2008 e imposta a L’Aquila nel dopo terremoto. Con lui quella sera c’erano altri 2 militari, mai indagati né ascoltati , uno, figlio di un vice commissario e l’altro, nipote di un magistrato.
La ragazza è stata ridotta in fin di vita e le sono state procurate lesioni gravissime e permanenti.

Il 18 ottobre 2012 a l’Aquila si è aperto il processo, svoltosi a porte chiuse.
Quel giorno eravamo lì al tribunale de L’Aquila. Abbiamo presidiato quel tribunale ogni volta per dire che la violenza contro le donne, agita da uomini, con o senza divisa, ci riguarda tutte. Uomini, militari. La divisa è solo l’ulteriore aggravante.
Abbiamo presidiato quel tribunale perché una di noi è lì e non vogliamo lasciarla sola, in una dinamica processuale che si rivela sempre e comunque contro di noi, perché è parte di un sistema che usa, sfrutta e violenta le donne per autoriprodursi.
Con l’udienza del 31 gennaio 2013 si è concluso il primo grado del processo con una sentenza di condanna a 8 anni per violenza sessuale e lesioni gravi.
Ad oggi, Tuccia, ai domiciliari dai primi di giugno senza alcuna restrizione, sta lavorando presso una associazione in quel di Altavilla Irpinia (provincia di Avellino), suo luogo di origine.
La corte d’appello ha stabilito per il 6 dicembre 2013 l’inizio delle udienze di appello.

Tante sono le connivenze, gli intrecci e le protezioni reciproche in questa “vicenda”, sul piano politico e non solo. Tante sono le domande, sul “non coinvolgimento” degli altri 2 militari lì con Tuccia quella notte, sui “molteplici ruoli” degli avvocati di Tuccia sul territorio aquilano e non solo e sulle responsabilità di quello che è successo all’interno dell’ospedale la notte in cui la ragazza è stata portata lì.
Tante e complesse sono le riflessioni scaturite a partire da noi. E proprio perché non crediamo nella giustizia dei tribunali, ma crediamo e pratichiamo la vicinanza e la solidarietà tra donne, e sappiamo e riconosciamo che la forza delle donne, dentro e fuori i tribunali, ovunque, viene da noi stesse e dalle relazioni con le altre, stiamo continuando a costruire un percorso di riflessione e lotta!
militariallaquila@anche.no

Mappa che contest!

Universe di Michela Picchi

Universe di Michela Picchi

Giovane e dinamico collettivo femminista operante nell’ambito rivoluzionario e militante, ricerca per inserimento nel proprio organico, una graphic designer volontaria abile nel disegno a mano libera e titolare di due ovaie tante.

La risorsa si occuperà di sviluppare un logo per ognuna delle seguenti attività:
-“Mappachepillola” – sito che si occuperà della mappatura di tutte quelle strutture abilitate a fornire la pillola del giorno dopo > sito
-“Una stanza tutta per sè” – Sportello antiviolenza per donne > sito

 

 

Si richiede conoscenza di Carla Lonzi, Angela Davis, Html, Photoshop e WordPress.
Sarebbe carino se fosse simpatica, reperibile, creativa e disponibile. Ma nessuna è perfetta.
In caso di disegnatrice 1.0 fondamentale approsimazione e voglia di cazzeggiare.

Se ti senti estrosa e in fondo Ribellula Inside inviaci un’immagine autoprodotta vettoriale  alla mail leribellule@yahoo.it
Per accedere alla fase successiva bisogna superare una prova che consiste nel mandare le suddette immagini nel formato 10x10cm JPG

Il presente annuncio è rivolto ad a solo un genere, quello femminile (lo abbiamo detto che siamo femministe, no?) e a persone di tutte le età e tutte le nazionalità, ai sensi di alcuni decreti legislativi che noi neanche consideriamo.

Tunisia: FEMINISM ATTACK!

pubblichiamo un’intervista fatta al collettivo femminista tunisino Feminism Attack che abbiamo ripreso e tradotto da  qui

feminism attac

La Tunisia, con un forte movimento femminista centenario, è spesso considerato il paese più avanzato in termini di diritti delle donne rispetto ad altri paesi musulmani. Sin dal 1957, il “Personal Status Code” riconosce i diritti delle donne, come l’aborto, la contraccezione e l’istruzione.

Anche se movimenti femministi tunisini hanno contribuito a quest’avanzamento , la condizione delle donne, come in molte parti del mondo, è ancora molto lontana dall’idea degli/delle anarchic*.
Nulla di nuovo sotto il sole riguardo la dominazione maschile: le donne sono tuttora viste come madri e mogli prima ancora che cittadine. Dopo qualche giorno passato in Tunisia, è facile vedere come il giudizio delle/gli altr* e la paura di compromettere la propria reputazione possano ostacolare l’impegno e l’attivismo delle donne.

Al momento in Tunisia ci sono almeno tre collettivi: le Donne Democratiche, un gruppo composto da donne borghesi che s’incontrano senza alcuna finalità politica o rivendicativa, le Femen, riconosciute in Tunisia per la loro lotta (per quanto le loro azioni non raccolgano un’approvazione unanime), e Feminism Attack, un movimento collettivo autogestito ed autofinanziato le quali componenti hanno un’età media di circa 20 anni. Feminism Attack si ispira alle idee anarchiche per cercare una soluzione radicale ai problemi politici e sociali e ai pericoli che minacciano la posizione delle donne nella società.

Il movimento ha l’obiettivo di affermare la cultura dell’autogestione e crede che le donne debbano ribellarsi contro ogni tipo di sfruttamento.
Feminism Attack lotta contro tutti gli aspetti della condizione delle donne nella società patriarcale: l’abolizione degli stereotipi basati sul sesso, l’abolizione della disumanizzazione e l’oggettivazione delle donne, la completa eliminazione della violenza contro le donne (stupri, violenze domestiche, mutilazioni genitali femminili, sterilizzazione forzata, molestie, aggressioni sessuali).
Abbiamo incontrato Aika e le componenti di Feminism Attack per un’intervista.

Nath & Chris: Dov’è Feminism Attack e quali sono le vostre attitudini politiche?

Feminism Attack: Siamo a Tunisi e per il momento la nostra composizione politica è abbastanza mista

N. & C.: Potete dirci come, quando e perchè avete creato il vostro gruppo?

F. A.: Eravamo un gruppo di donne che si scambiavano molte idee e partecipavamo alle stesse azioni, ma in maniera individuale. Da qui il desiderio di costruire un movimento nel 2011. Questa decisione fu presa data la nostra consapevolezza riguardo la condizione delle donne in Tunisia, che contrariamente all’apparenza, è al limite dell’accettabilità. Soprattutto a partire dalla sollevazione tunisina si è vista minacciare dall’ascesa al potere del partito islamista. E il cosiddetto movimento femminista che già esisteva non ha davvero servito la causa che sosteniamo. Non rappresentano le vere donne tunisine ma piuttosto sono un’immagine pseudo-borghese al servizio del sistema.

N. & C.: Chi sono le attiviste di Feminism Attack?

F. A.: Siamo ancora un piccolo gruppo di studentesse, appartenenti alla classe media. L’età oscilla tra i 18 e i 24 anni. Non abbiamo ancora aggregato attivisti uomini, anche se non avremmo nessun problema a riguardo.

N. & C.: In cosa consiste il vostro attivismo e per quali azioni optate?

F. A.: Al momento non privilegiamo alcuna azione, facciamo un poco di tutto e molte scritte con gli spray, ma è più una mancanza di risorse ed opportunità che altro. Crediamo, certamente, di espandere il nostro campo di attività e lo faremo nel prossimo futuro.

N. & C.: Come vi organizzate, quanto spesso v’incontrate, che strumenti e mezzi di comunicazione utilizzate?

F. A.: Ci organizziamo attraverso assemblee generali dove vengono prese tutte le decisioni di gruppo. La frequenza degli incontri dipende dalle necessità del momento. Non ci sono luoghi stabiliti, c’incontriamo nei caffè o nei luoghi pubblici… che non è molto adatto da quando riceviamo pressioni dalla polizia e siamo anche controllate da agenti in borghese. . Al momento non abbiamo alcun materiale ed è per questo che le nostre azioni si limitano a quanto riusciamo ad autofinanziarci o a quanto abbiamo di tasca nostra. Comunichiamo con ogni strumento a nostra disposizione (facebook, telefono)

N. & C.: Quali sono i differenti gruppi femministi in Tunisia? Qual è la vostra relazione con loro? Cosa pensate di FEMEN?

F. A.: La più conosciuta è l’Associazione Tunisina delle Donne Democratiche. Ce ne sono delle altre ma non sono molto conosciute né presenti sulla scena politica. Veramente non abbiamo relazioni con loro perchè non ci ritroviamo sugli stessi principi e il nostro metodo di lavoro è differente. Abbiamo già espresso la nostra posizione rispetto alle FEMEN, abbiamo pubblicato anche un articolo dettagliato sulla nostra pagina Facebook

N. & C.: La vostra azione politica può unirsi a quella di altri movimenti in Tunisia? Con quali e in che forma?

F. A.: Siamo vicine anche ad altri movimenti: Blech 7es , Disobedience and Alerta (Vegan / Green Anarchism). Organizziamo azioni insieme, eventi culturali, proiezioni di film, concerti, etc.

N. & C.: Rispetto alle recenti sollevazioni popolari in Tunisia, e anche oggi, in quale dinamica vi inserite?

F. A.: Ci riconosciamo in ogni sollevazione popolare che nasca dalla gente, che sia contro il sistema, e molto importante, che non sia organizzata dai partiti politici, che non serva ai loro interessi e che non intenda prendere il potere.

N. & C.: Come vengono percepite dalla poplazione tunisina e da altri/e revoluzionar* le vostre iniziative?

F. A. : Le nostre azioni non hanno un gran eco popolare. In generale, la popolazione tunisina si limita alle informazioni fornite dai media, e a parte dopo uno o due arresti seguiti da articoli raffazzonati e disinformativi, non abbiamo ricevuto una copertura mediatica reale. In realtà non ci lamentiamo perchè il nostro obiettivo non è quello di rincorrere la gloria.

N. & C.: Quali sono gli impedimenti che vi pesano di più?

F. A. : in generale il sistema e la polizia.

N. & C.: Secondo voi, le città favoriscono le azioni femministe?

F. A.: Nella città, il lavoro è più facile, perchè c’è un po’ di consapevolezza tra la gente, le persone sono più aperte e le donne più emancipate, a differenza della campagna dove a volte le persone sono letteralmente tagliate fuori dal mondo.  D’altra parte, abbiamo intenzione di lavorare nelle zone rurali appena ne avremo l’opportunità, abbiamo diversi progetti su questo tema.

N. & C. : Quali sono le azioni repressive nei confronti delle femministe anarchiche? Ci sono precauzioni da prendere?

F. A.: I pericoli sono quasi gli stessi per chiunque vada “contro corrente”: lacrimogeni, manganellate, violenza poliziesca, arresti, detenzioni, minacce, etc.  Non abbiamo preso nessuna precauzione reale perché questo limiterebbe notevolmente le azioni.

N. & C.: Oltre alle tradizionali forze repressive, quali i più forti oppositori o nemici politici?

F. A.: I partiti politici estremisti, che sono tutti al servizio dello stesso sistema, direttamente o indirettamente.

N. & C. : Per finire, quali sono le vostre prospettive?

F. A. : Pensiamo di lottare a lungo per la nostra causa e, molto importante, le nostre azioni riescono e servono a questa lotta, possiamo raggiungere un cambiamento reale ed accrescere la consapevolezza della gente.

 

Nessun pacchetto sicurezza sui nostri corpi!

Il decreto legge sul Femminicidio, che prevede al suo interno misure varie ed eventuali senza relazione con la violenza di genere, è stato ratificato. Noi lo respingiamo al mittente. Continuiamo a lottare contro la violenza maschile sulle donne e contro chi utilizza i nostri corpi per attivare solo politiche repressive e campagne elettorali securitarie.

Chi governa ha capito che il femminicidio è utile per acquisire consensi e in nome di presunte emergenze, dispone provvedimenti contro fasce di popolazione per loro problematiche: migranti nel caso del pacchetto sicurezza del 2008, le lotte sociali, come la NO-TAV, oggi. 

 Presentare infatti un decreto legge come “strumento per combattere la violenza sulle donne” e infilarci dentro inasprimenti di pene per la violazione dei cantieri delle cosiddette “grandi opere” significa imporre uno stato di polizia contro la popolazione utilizzando le donne come espediente. Il decreto è servito ad aumentare la presenza di forze dell’ordine senza prendere in considerazione misure non repressive, nessun riconoscimento al lavoro dei centri antiviolenza mentre aumentano gli stanziamenti per chi maltratta e stupra nelle caserme e nei C.I.E., o nel migliore dei casi risponde ad una donna “torni a casa e faccia pace con suo marito, certe cose succedono, è normale”.  

La violenza sulle donne non è un fenomeno emergenziale, ma un sistema estremamente radicato e strutturato nella società, non può essere “ridotto” a questione di ordine pubblico, ad alibi per blindare interi territori. I femminicidi non sono “eventi” imprevedibili come i terremoti, associare violenza sulle donne a catastrofi naturali in una legge è quantomeno bizzarro.

Il dl femminicidio è una legge pericolosa perché intrisa di tutti quei principi di cui si nutre la violenza di genere: la rappresentazione della donna come una persona debole, da tutelare, non in grado di autodeterminarsi. Lo stato pretende di sostituirsi a lei, la delegittima sul piano della scelta quando la costringe ad andare in tribunale per ritirare una querela. In sostanza stanno usando le lotte e le rivendicazioni del femminismo per imporre un sistema di tutela patriarcale che delegittima i percorsi di liberazione.

Le donne che decidono di uscire dalla violenza ricevono la beffa dell’ennesimo finanziamento “una tantum” destinato ai centri antiviolenza, i quali hanno più volte ribadito la necessità di risorse adeguate perché si possa uscire dai luoghi della violenza, soprattutto quelle case in formato “mulino bianco” proposte quotidianamente come brand della famiglia perfetta.

 Non saranno 10 milioni, inseriti per mascherare ben più sostanziosi finanziamenti per esercito e polizia, a cambiare la situazione se non si supportano centri antiviolenza, case di semi autonomia e sportelli antiviolenza.

 Non servono i braccialetti elettronici utili solo per arricchire le aziende che li producono: un costo pubblico abnorme per controllare che l’uomo maltrattante in questione non violi i domiciliari e rispetti i divieti di avvicinamento.  Un altro dispositivo che non è assolutamente un deterrente, le statistiche di altri paesi sono chiare, per un uomo che vuole sovradeterminare, perseguitare e dominare una donna che considera suo possesso. 

Servono investimenti programmatici per creare una rete di supporto e di accoglienza per le donne che decidono di lasciare l’uomo che le maltratta, che decidono di autodeterminarsi e di iniziare una nuova vita. 

Questo decreto legge, è solo l’ennesima dimostrazione di come lo stato ci voglia strumentalizzare, di come i partiti vogliano fare campagna elettorale sui corpi delle donne, di come una cultura sessista ci voglia meste, docili e obbedienti…noi schifiamo questo dl femminicidio!

“[Una donna] non è definita da quello che le persone le hanno fatto, e nemmeno dalle cicatrici che porta, sia letteralmente che figurativamente, o da come decide di indossare le proprie ferite” Jay su http://happyblood.tumblr.com/

#19O: un report di pancia

Condividiamo da Sopravvivere non mi basta.

Sabato 19 ottobre ero a Roma. Vi voglio raccontare la mia esperienze nell’unico modo che conosco, quello di pancia. Non ci saranno grandi riflessioni, di cui non sono capace, ma che vi consiglio di leggere/ascoltare* perché sono indispensabili per comprendere quanto importante sia ciò che sta accadendo. Mi limito a raccontarvi le mie emozioni, quello che ho provato, quello che mi porto dietro.

Ciò che mi ha spinto a partecipare a questa manifestazione è che sono una delle tante che lavora a nero e che viene sottopagata, un euro a ora è quanto mi viene concesso. Ho partecipato perché reputo giusto lottare per il diritto alla casa, per la difesa dei propri territori dalla devastazione e dalla speculazione, per un sapere libero e un reddito per tutt@.

Parto con un bus di compagn@ e quando arriviamo a Roma, non ricordo precisamente a che altezza dell’autostrada, i nostri pullman vengono fatti fermare da alcune pattuglie della polizia e scortati in una stazione di servizio. Ci fanno scendere e noi non capiamo a quale scopo. C’è chi rivendica il diritto a manifestare, chi ricorda che quel diritto ce lo siamo garantiti con la lotta, che non ci possono impedire di arrivare a Roma, che questo è terrorismo psicologico. Personalmente posso dirvi che è la prima volta che mi succede, la prima volta che vengo fermata perché voglio manifestare. Questo è un segno sul quale bisognerebbe riflettere per capire che, quando si dice che il livello di repressione sta aumentando, non si sta usando un modo di dire, ma che è vero, una realtà che fin quando non la vivi sulla tua pelle non la comprendi appieno.

Dopo un po’, forse una mezz’oretta, ci lasciano andare perché eravamo numericamente superiori a loro. Arriviamo a Roma e lì ci sono davvero tanti spezzoni, tante realtà, quella dei/lle migrant@, dei No Mous, dei No Tav, dei movimenti per la lotta alla casa, quelli di studenti/tesse e precar@ e tanto altro. Non avevo mai visto tutti questi movimenti riuniti in un’unica piazza e soprattutto in quella di San Giovanni dove è accaduto ciò che ricordiamo tutt@.

Parte il corteo e si sentono gli slogan, i discorsi dalla casse, penso che è tutto giusto, che il domani deve essere nelle nostre mani, che il futuro ce l’hanno scippano e dobbiamo riprendercelo. Si balla, si scherza, si incontrano persone che non vedevi da un po’, si scambiano chiacchiere, si progettano cose insieme. Poi arriviamo vicino al Ministero della Finanza.

Non avevo avuto notizie sugli scontri avvenuti nella prossimità della sede di Casapound, ma leggendo ho capito che la storia si ripete: i fasci scortati dai poliziotti e i/le compagn@ che ribadiscono ciò che dovrebbe esser sacrosanto, ovvero che la lotta al fascismo non si è conclusa e che noi siamo e saremo sempre antifascist@.

Davanti al Ministero vedo solo la rabbia di chi non ce la fa più e la polizia che si prepara a caricare per difende il vero violento, lo Stato. In quel momento ho paura, afferro le mani di una compagna, lo zaino di un’altra e iniziamo ad allontanarci in fretta, poi ci arrivano le urla di chi dice che stanno caricando, che bisogna scappare. Corri, corri, cerchi di non perdere le compagne, la mano di una mi sfugge, mi giro di scatto, ho paura di perderla e perdere le altre, la afferro in uno scatto furioso e raggiungiamo le altre. Ci fermiamo perché non sappiamo dove andare, quella città non la conosciamo bene.

Il tempo per capire è poco, presto veniamo raggiunge da un altro gruppo di persone in fuga che urlano “scappate caricano!”. E allora tu afferri chi puoi e scappi, e chiami a squarcia gola chi non vedi. Nessun@ dovrebbe restare indietro ma alcun@ l@ perdiamo. Partono telefonate: “Tu come stai?”, “Dove stai?”, “Io sto qui?”, “E lì che si dice?”, “Hai avuto notizie di tizi@?” ed etc..

Una compagna sta male perché soffre d’asma, ma sai che non puoi fermarti, devi scappare e arrivare ad un punto tranquillo, ma devi prima capire dov’è. Quindi provi a farle coraggio, anche se hai paura tu stessa e altre compagne ti sostengono. E’ un aiuto/collaborazione che mi ha commosso, che non so spiegarvi a parole, ma che dimostra la bellezza che c’è tra i/le compagn@.

Arrivano notizie che a Porta Pia si può andare, che la situazione è calma, ma alcune persone che incontriamo per strada ci dicono il contrario. Decidiamo di andarci lo stesso. La situazione è calma ma in un modo angosciante, almeno per me. Tutte le strade, quattro se non sbaglio, che confluiscono nella piazza sono bloccate da blindati o poliziotti schierati in assetto antisommossa.

Io non me la sento di restare ad accamparmi quindi cerco di capire come raggiungere i pullman. Se non avessi avuto l’aiuto delle compagne, che mi hanno indicato un gruppo che si dirigeva proprio dove dovevo andare io, non ci sarei riuscita. Saluto la compagna che mi indicato il gruppo, lo scambio di un sorriso veloce tra chi va e chi resta, e poi via. Mentre mi incammino, continuo a ringraziare le sorelle/amiche/compagne per non aver lasciato nessun@ indietro e per aver trovato soluzioni per tutte.

Riparto verso i pullman, verso casa. Un ringraziamento va anche ad un compagno romano che mi stava raggiungendo per aiutarmi e che io ho mollato lì, perché dovevo raggiungere il gruppo di cui parlavo sopra. Anche il suo aiuto non dimenticherò.

In questa giornata, più di tutte quelle altre che ho vissuto, ho avuto paura della violenza della polizia, della repressione che stavano organizzando, perché quello che sta accadendo gli fa paura. In questa giornata ho capito che avere paura è normale ma che se non ci fossero le compagne (parlo al femminile perché principalmente loro mi hanno aiutata) non avrei saputo gestire la situazione. Ho capito cosa significa sorellanza e le ringrazio dal profondo del mio cuore. Le ringrazio per avermi tenuto la mano mentre si correva, per avermi mantenuta mentre stavo per cadere, evitandomi di essere travolta dalla folla, per avermi tranquillizzata, per esserci state.

Le cariche fanno paura a tutt@, ma è insieme che si supera la paura. Il potere e la sua manifestazione, la sua violenza, la sua arroganza ti fanno cagare sotto, non posso negarlo, ma con loro accanto non mi sono sentita sola e ho resistito finché ho potuto.

I miei problemi con la gestione del panico non mi aiutano ma sono contenta di esserci stata, di aver manifestato quando hanno fatto l’impossibile per impedircelo, perché so che da questi giorni può uscire qualcosa che può generare il cambiamento che desidero e che so essere raggiungibile solo con la lotta, la resistenza.

Nel pacifismo non ci credo, non ci ho mai creduto. Non sono un’eroina, io mi cago sotto dalla paura, ma la violenza che subiamo ogni giorno è più forte e, se restiamo insieme, se impediamo di dividerci, possiamo farcela. E’ questo quello che ho capito ieri.

In ultima battuta, ma non perchè sia meno importante, vorrei dare la mia solidarietà ai/alle compagn@ fermat@ ieri. Si contano 14 fermi.

Come sempre liber@ tutt@. Libere Sara e Celeste!!!

FREE PALESTINE!! Re-Sisters

sister

Esprimiamo la nostra massima complicità e solidarietà alle sorelle Leena Jawabreh, Linan Abu Ghoulmeh, Woroud Qasem e Myassar Atyani arrestate lo scorso agosto per il loro lavoro di solidarietà e sostegno che da anni portano avanti verso le detenute palestinesi.

La loro lotta è la nostra lotta verso l’autoderminazione a qualsiasi oppressione perchè non ci fermeranno i vostri stupidi visti, perchè oltrepasseremo qualsiasi muro, perchè ad ogni repressione risponderemo resistenza!
if the girls are united they will never walk alone

Libertà per Leena Jawabreh, Linan Abu Ghoulmeh, Woroud Qasem e Myassar Atyani
Libertà per tutte le palestinesi
Libertà per tutti i palestinesi.

Compagne romane contro l’occupazione sionista

 

Di seguito il link di un’intervista a Linan arrestata precedentemente dall’esercito israeliano per aver voluto fare un corso da estetista in Siria, paese considerato da Israele come nemico. Per questo ha scontato 7 anni di carcere, recentemente è stata rilasciata nello scambio per la liberazione del soldato israeliano Shalit.

Lucrano e normalizzano sui nostri genitali. No grazie. #intersex

Foto di Del LaGrace Volcano

Oggi, 28 Settembre 2013, alcuni medici stanno discutendo di come curare il cosiddetto “sesso incerto” dei neonati presso l’ospedale San Camillo, almeno per quanto riportato dal settimanale Il Venerdì di Repubblica del 6 Settembre a poca distanza dall’incontro internazionale degli endocrinologi pediatri che ha affrontato anche quel tema.

Abbiamo deciso di sollevare come problema le informazioni che si stanno diffondendo in merito alle cosiddette patologie genitali neonatali, ai “disordini” che spesso vengono semplicemente ridotti a un problema chirurgico, ormonale o di vestiario, problema da risolvere perché nella nostra società sono possibili solo due sessi, due generi e possibilmente due orientamenti sessuali. Si tratta di deviazioni da normalizzare in fretta perché nella nostra società sono possibili solo due sessi, due generi e possibilmente due orientamenti sessuali. Si operano chirurgicamente neonat* e si insiste sulla necessità di farlo il più precocemente possibile, anche se sono gli stessi medici ad evidenziare che in questi casi gli interventi spesso non finiscono mai.

Mariacarolina Salerno pediatra endocrinologa del Dipartimento di pediatria dell’università Federico II di Napoli “Dsd è un termine che racchiude varie patologie, tutte complesse e di difficile gestione.  La diagnosi di iperplasia surrenale congenita classica, ad esempio, è dovuta nel 90% dei casi dalla carenza  un enzima fondamentale nella sintesi del cortisolo, l’ormone salvavita, l’assenza di questo enzima determina una carenza di cortisolo con gravi problemi di sopravvivenza per il neonato, ma anche uno sbilanciamento dell’attività della ghiandola surrenalica che produce un eccesso di ormoni androgeni, mascolinizzanti. Se succede durante la vita intrauterina questi ormoni interferiscono con lo sviluppo dei genitali esterni di tipo femminile e il neonato avrà genitali esterni atipici talora indistinguibili da quelli di un maschietto.  In questo caso l’attribuzione del sesso è di tipo femminile e si consiglia un intervento chirurgico intorno all’anno.  Ma queste ragazze, una volta adolescenti, dovranno affrontare altri piccoli interventi chirurgici

scriveva Valeria Pini il 28 Agosto

Da un pò di mesi Repubblica si sta occupando dell’argomento con diversi articoli che citano sempre il direttore generale del San Camillo Aldo Morrone. Uno dei primi, forse proprio il primo è questo, pubblicato il 20 Giugno e di cui abbiamo già parlato.

L’enfasi sugli interventi ci sembra molto bizzarra, considerando che nel resto del mondo si cerca di diminuirli e di lasciar crescere le persone intersessuali come vogliono almeno fin quando non possono decidere per se stesse (in Germania si potrà affiancare un “terzo sesso” nei documenti personali, in Argentina si può scegliere come indicare il proprio sesso/genere sui documenti). Forse è proprio con questi interventi che si cerca di colmare un vuoto legislativo (in Italia a 10 giorni dalla nascita deve essere stabilito un sesso) o far lucrare gli specialisti del settore?

D’altra parte, le mutilazioni genitali intersessuali sono un business mondiale.

E infatti proprio dall’Espresso, che democraticamente riporta le motivazioni delle persone intersex che protestano, arriva una conferma:

un registro unico delle nascite verrà creato il 28 settembre con una riunione dei massimi esperti al San Camillo di Roma, come ci spiegano il direttore generale Aldo Morrone e il chirurgo pediatrico Giacinto Marrocco. “Vorremmo che ci fossero solo due o massimo tre centri autorizzati in tutto il Paese per la diagnosi avanzata e gli interventi, in modo da creare poli di eccellenza e non disperdere le specializzazioni”, dice Morrone. “I dati finora disponibili – aggiunge Marrocco – parlano di una nascita intersex ogni 4500/5000 parti, con un incremento del 5% e picchi del 10% negli ultimi 5 anni

Noi stiamo con chi vuol decidere per sé e con tutta calma su come vivere i propri genitali, prendere o non prendere ormoni, stabilire o no un genere o più generi.

Stiamo con le persone che vengono sottoposte a calvari chirurgici e analisi, private del piacere sessuale, persone giudicate ancora “mostruose” come nei secoli della Controriforma. Stiamo con chi lotta contro ogni tipo di mutilazione genitale, ci ricordiamo di come l’isteria veniva curata con la cliteredectomia, così come che da occidentali spesso abbiamo giudicato barbare le usanze dolorose e sessiste di altri continenti senza guardare ai nostri ospedali.

Siamo stufe.

Ribellule di periferia

Domenica 29 settembre ci trovate a Tiburtino III per parlare di violenza sulle donne: riprendiamoci la periferia!

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RIPRENDIAMOCI LA PERIFERIA DI ROMA

Ripartiamo dalla periferia. Anzi. Ripartiamo dal rapporto complice tra “centri” e “periferie”.
Ripartiamo da Tiburtino III e dai suoi cittadini che decidono di autorganizzarsi e di creare in piena autonomia.
Dal 26 al 29 settembre presso il parco Tiburtino, a via del Frantoio 9 presso il Circolo Concetto Marchesi, si terrà l’iniziativa TIBURTINO TERZO, SECONDO A NESSUNO.
Tanti appuntamenti da non mancare tra musica, dibattiti e cene popolari.
Molti sono gli artisti che hanno aderito all’iniziativa come Sandrò Joyeux & Friends, L’ensemble di Ottobre, i Poeti a braccio e i Dans la rue che domenica, per la gioia dei piccoli, coloreranno i muri del giardino del parco.
Venerdi 27 il Collettivo Angelo Mai_Orchestra mobile di canzoni e musicisti vedrà la straordinaria partecipazione di Manuel Agnelli degli Afterhours.
Sempre venerdi ci sarà un dibattito sulla cultura e sabato la cittadinanza è invitata a parlare con le istituzioni di temi riguardanti il lavoro e la casa. Domenica, insieme al collettivo “Le Ribellule”, si discuterà di femminicidio e di quali lotte mettere in campo poterlo prevenire.

Ripartiamo da Tiburtino III. Una periferia ricca di storia che in questi anni ha rischiato di perdere la propria identità. Un territorio martoriato dalle speculazioni dove oggi sorgono monumentali sale slot-machine; ieri scenario di fabbriche all’avanguardia, oggi territorio in totale disgregazione sociale. Alla crisi economica si aggiunge la crisi delle istituzioni e le periferie si trasformano in deserti. L’iniziativa nasce dalla volontà delle cittadine e dei cittadini di Tiburtino III e dalla collaborazione con L’Angelo Mai Altrove Occupato_centro culturale indipendente piantato nel cuore di Roma. E nasce dal desiderio di rispondere a questa crisi determinando un’inversione di tendenza attraverso nuove pratiche di partecipazione che mettano al centro le relazioni. Un’iniziativa a cui parteciperanno molti artisti per dare voce al pensiero critico, al diritto di decidere sui propri territori e alla bellezza.

COMITATO TIBURTINO III

Programma completo:

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Il sistema binario dei sessi è fantascienza: #intersex

Ormai quasi un mese fa su La Repubblica abbiamo letto un articolo in cui il direttore ospedaliero del San Camillo, Aldo Morrone, si vantava dell’aumento di operazioni “risolutive” su bambin* dal “sesso incerto”, grazie all’avvenuta presa di coscienza dei loro genitori sull’importanza del loro incasellamento in uno dei due generi socialmente accettabili: maschio o femmina.
Cheryl Chase, presidente dell’isna (società intersex nord america), che ha subito un’operazione di questo tipo, di fatto una cliteredectomia, ha osservato che:
    “Mentre un  maschio con un pene ‘inadeguato’ (piccolo, ma con una normale sensazione erotica) è considerato una tragedia, lo stesso individuo trasformato in femmina con sensazione genitale ridotta o assente ed una vagina artificiale è considerato normale.”
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   Nei nostri civili ospedali si compiono violenze quotidiane su bambin* intersessuali, limitandone il piacere e la possibilità di scegliere a che genere appartenere. Lorenzo Santoro ha scritto un bellissimo articolo in merito, partendo dalla propria esperienza.
   Anche noi partiamo dalla nostra esperienza: come donne ci siamo viste negare la sessualità per secoli. Biologia e medicina riconoscono almeno cinque sessi possibili: maschile, femminile, ermafrodita, merms e ferms, a seconda che si guardi ai genitali o a cromosomi e ormoni. La nostra società, riconosce solo due sessi, due ruoli: il padre padrone rappresentato dal fallo, la donna madre con l’invidia del pene e che non conosce la sua clitoride (che veniva recisa per curare l’isteria, fino a qualche decennio fa anche nella civile Europa).
   Noi riconosciamo tutte le infinite possibilità di vivere e giocare con i nostri generi, le nostre clitoridi troppo grosse, i nostri piccoli peni, le nostre protesi sessuali di qualsiasi tipo.
    Quello che speriamo è che i genitori preoccupati di come possa crescere la propria figlia intersessuale lascino a lui la possibilità di scelta e l’educhino al rispetto delle proprie esigenze fisiche e sociali, non a quelle della medicina, della scuola in cui l’iscriveranno o dei propri vicini di casa. Ricordiamo ai signori medici, invece, che ciò che promuovono come innovativo è oggetto di critica da anni da parte delle persone intersessuali e non, in quanto fortemente lesivo dei loro diritti.
    Le vostre divisioni sessuali, potete tenervele. A noi lasciateci il piacere.
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The fact that the binary sex sistem is a fiction is written in the  bodies of intersex people. 
Il fatto che il sistema binario dei sessi sia fantascienza è scritto sui  corpi delle persone intersessuali.
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Potete scaricare le immagini di cocoriot e attaccarle ovunque anche voi, sono state pensate per ri-generare i binarismi dei bagni di ogni dove: