Nessun pacchetto sicurezza sui nostri corpi!

Il decreto legge sul Femminicidio, che prevede al suo interno misure varie ed eventuali senza relazione con la violenza di genere, è stato ratificato. Noi lo respingiamo al mittente. Continuiamo a lottare contro la violenza maschile sulle donne e contro chi utilizza i nostri corpi per attivare solo politiche repressive e campagne elettorali securitarie.

Chi governa ha capito che il femminicidio è utile per acquisire consensi e in nome di presunte emergenze, dispone provvedimenti contro fasce di popolazione per loro problematiche: migranti nel caso del pacchetto sicurezza del 2008, le lotte sociali, come la NO-TAV, oggi. 

 Presentare infatti un decreto legge come “strumento per combattere la violenza sulle donne” e infilarci dentro inasprimenti di pene per la violazione dei cantieri delle cosiddette “grandi opere” significa imporre uno stato di polizia contro la popolazione utilizzando le donne come espediente. Il decreto è servito ad aumentare la presenza di forze dell’ordine senza prendere in considerazione misure non repressive, nessun riconoscimento al lavoro dei centri antiviolenza mentre aumentano gli stanziamenti per chi maltratta e stupra nelle caserme e nei C.I.E., o nel migliore dei casi risponde ad una donna “torni a casa e faccia pace con suo marito, certe cose succedono, è normale”.  

La violenza sulle donne non è un fenomeno emergenziale, ma un sistema estremamente radicato e strutturato nella società, non può essere “ridotto” a questione di ordine pubblico, ad alibi per blindare interi territori. I femminicidi non sono “eventi” imprevedibili come i terremoti, associare violenza sulle donne a catastrofi naturali in una legge è quantomeno bizzarro.

Il dl femminicidio è una legge pericolosa perché intrisa di tutti quei principi di cui si nutre la violenza di genere: la rappresentazione della donna come una persona debole, da tutelare, non in grado di autodeterminarsi. Lo stato pretende di sostituirsi a lei, la delegittima sul piano della scelta quando la costringe ad andare in tribunale per ritirare una querela. In sostanza stanno usando le lotte e le rivendicazioni del femminismo per imporre un sistema di tutela patriarcale che delegittima i percorsi di liberazione.

Le donne che decidono di uscire dalla violenza ricevono la beffa dell’ennesimo finanziamento “una tantum” destinato ai centri antiviolenza, i quali hanno più volte ribadito la necessità di risorse adeguate perché si possa uscire dai luoghi della violenza, soprattutto quelle case in formato “mulino bianco” proposte quotidianamente come brand della famiglia perfetta.

 Non saranno 10 milioni, inseriti per mascherare ben più sostanziosi finanziamenti per esercito e polizia, a cambiare la situazione se non si supportano centri antiviolenza, case di semi autonomia e sportelli antiviolenza.

 Non servono i braccialetti elettronici utili solo per arricchire le aziende che li producono: un costo pubblico abnorme per controllare che l’uomo maltrattante in questione non violi i domiciliari e rispetti i divieti di avvicinamento.  Un altro dispositivo che non è assolutamente un deterrente, le statistiche di altri paesi sono chiare, per un uomo che vuole sovradeterminare, perseguitare e dominare una donna che considera suo possesso. 

Servono investimenti programmatici per creare una rete di supporto e di accoglienza per le donne che decidono di lasciare l’uomo che le maltratta, che decidono di autodeterminarsi e di iniziare una nuova vita. 

Questo decreto legge, è solo l’ennesima dimostrazione di come lo stato ci voglia strumentalizzare, di come i partiti vogliano fare campagna elettorale sui corpi delle donne, di come una cultura sessista ci voglia meste, docili e obbedienti…noi schifiamo questo dl femminicidio!

“[Una donna] non è definita da quello che le persone le hanno fatto, e nemmeno dalle cicatrici che porta, sia letteralmente che figurativamente, o da come decide di indossare le proprie ferite” Jay su http://happyblood.tumblr.com/

Nessuna marcia sui nostri corpi, Giorgiana vive!

nessuna

Oggi, 12 maggio, il centro di Roma è stato attraversato da un corteo cittadino per ricordare Giorgiana Masi, uccisa nel 1977 dalle squadre speciali di Kossiga (allora Ministro dell’Interno).
Oggi come ieri la determinazione delle compagne e dei compagni ha sfidato il divieto della questura che ha difeso fino alla fine l’altro corteo previsto nella giornata.

Stiamo parlando della “Marcia per la vita”. Una schiera di bigotti cattolici integralisti, scortati da un servizio d’ordine fascista e difesi dal sindaco Alemanno, ha ottenuto l’agibilità politica di marciare su Roma, portando in piazza immagini macabre.
La Roma Antifascista e Antisessista, nonostante il divieto di scendere in piazza, si è autoconvocata in un corteo partito da Campo de’ Fiori. Durante il percorso abbiamo avuto modo di comunicare alla città che se il corpo delle donne diventa un campo di battaglia, noi rispondiamo guerra alla guerra.
La Ru486, l’obiezione di coscienza ma più in generale la libertà di scelta e di una sessualità consapevole sono dei punti su cui non siamo disposti a cedere, anzi: ciò che ci tolgono ce lo riprendiamo pezzo per pezzo.

Allo stesso modo risponderemo a qualsiasi attacco che vuole fare delle famiglie eterosessuali il nostro destino, condannandoci di fatto a subire violenza dentro e fuori le mura domestiche.
Il corteo ha raggiunto Ponte Garibaldi, dove Giorgiana è stata uccisa, dopo due ore di blocchi stradali.

PS: MA VOI LA CONOSCETE LA STORIA DE MARINO?!?!

A fine corteo, ci è arrivata la notizia che Ignazio Marino, candidato a Sindacodi Roma per il PD, ha dichiarato pubblicamente che la “marcia per la vita è giusta […]  io sono per la vita in ogni suo stadio”.

Non deleghiamo nessuna scelta sul nostro corpo ai poltronisti di turno, questo non significa però che non leggiamo come chiara scelta politica il silenzio in cui si è chiuso il PD in quest’ultima settimana pur di non rischiare di perdere voti dell’elettorato cattolico.

Lette le dichiarazioni inaccettabili di Marino, abbiamo deciso di chiedere conto al diretto interessato.
Nel pomeriggio un gruppo di donne ha occupato il comitato elettorale di Marino, in via Cristoforo Colombo 112. Il candidato sindaco ci ha ricevute assicurando di aver comunicato alla stampa in modo scorretto le sue opinioni in merito. Fatto sta, che almeno fino al tardo pomeriggio, il virgolettato compariva sulle principali testate giornalistiche.

Resta quindi il forte sospetto che si trattasse di becera campagna elettorale: cavalcare la marcia per la vita per non perdere voti.
Se è vero che c’è stato un errore di comunicazione con la stampa, nessun* ha chiaramente affermato che non vedremo più marciare sulle nostre strade squadristi antiabortisti, che ci sarà una distinzione chiara tra embrione e bambino, nè che ci sarà un chiaro indirizzo politico per il rispetto della legge 194/78, contro l’obiezione di coscienza.
La difesa della nostra libertà di scelta non la deleghiamo.

Ma quale marcia_ ma quale vita_siete muffa per la fica.

La Questura di Roma vieta il corteo in ricordo di Giorgiana Masi e contro il femminicidio

302948_10201314561166589_891634633_n

Dopo 2 giorni di trattativa con la Questura di Roma, i gruppi e le associazioni di donne, i collettivi autorganizzati e liberi individui, promotori della giornata del 12 maggio in ricordo di Giorgiana Masi, contro il femminicidio e in contestazione alla “Marcia per la vita” convocata dall’oltranzismo cattolico, ricevono il divieto di manifestare in qualsiasi luogo adiacente al percorso della marcia.
Si tratta dell’ennesima dimostrazione di come l’operato delle forze dell’ordine sia asservito ai poteri del governo cittadino e allo stato del vaticano, nascondendo una marcia tutta politica sotto le vesti di manifestazione sportiva, e adducendo motivi di ordine pubblico.
Giorgiana Masi come centinaia di persone il 12 maggio del 1977 erano in strada sfidando, anche quella volta, il divieto di manifestare.
Oggi come ieri saremo nelle strade del centro di Roma, partendo da Piazza Campo de Fiori fino ad arrivare a Ponte Garibaldi.
Con o senza autorizzazioni noi costruiremo la nostra giornata.
La nostre vite sono autodeterminate e la nostra rabbia non si placa.

Slutwalk_Roma

slutwalk

Sabato 6 aprile abbiamo attraversato il centro di Roma, un non-luogo  che è ormai  solo una vetrina per turisti. Con la SlutWalk, femministe, soggettività e collettivi lgbti, Queer, Cagne e favolosità varie si sono riappropriat@ delle strade da cui quotidianamente sono esclus@.
Siamo partit@ dal Teatro Valle, abbiamo fatto lo struscio al Pantheon, abbiamo inveito sotto il Parlamento e abbiamo  canzonato le boutique di via del Governo Vecchio. Poi ci siamo sciolt@ in una pomiciata collettiva a piazza Navona.

La Slutwalk di Roma è stata il punto di arrivo di un percorso e di un ragionamento sul corpo, per trovare collettivamente un modo con cui risignificarlo in senso politico.
Si è svolta all’interno del Festival “Da Mieli a Queer” perché abbiamo individuato nella normalizzazione e nell’omologazione i processi attraverso cui il controllo sociale reprime desideri e scelte.
La Slutwalk è un insieme di pratiche, per noi è stata l’occasione di intraprendere percorsi e tessere alleanze con altre soggettività che, come le donne, vengono stigmatizzate in base a scelte sessuali e attività riproduttive.
FUCK PATRIARCHY!

Il corpo, svincolato dalle imposizioni e dai condizionamenti esterni che lo rendono oggetto, diventa soggetto che rivendica bisogni e desideri all’interno di una collettività complessa; un soggetto che rivendica il diritto inalienabile di attraversare spazi pubblici e privati senza subire violenza, anche sotto forma di uno sguardo morboso.

Nella cultura in cui siamo immers@  le donne passano automaticamente da vittime di violenza ad ammaliatrici di uomini. Nella differenza delle storie ciò che rimane è il meccanismo giudicante (solo per fare alcuni esempi si potrebbe partire da “Processo per stupro” fino ai più recenti casi di violenza : Montalto di Castro, San Sepolcro, L’Aquila).

Con la SlutWalk ribaltiamo la logica della marginalizzazione con quella della rivendicazione, a partire dalla parola Puttana: la più usata per offendere le donne.
Nel nominarci Puttane abbiamo deciso di riappropriarci e gridare a squarciagola una parola che ci incolpa, spesso e volentieri, di andarci a cercare stupri e violenze con le nostre minigonne e le nostre scollature profonde.

Noi rivendichiamo il diritto di essere libere, di andare dove ci pare, baciare chi ci pare e scopare con chi ci pare.

Sciopero, sciopero, generale, contro l’austerity eteropatriarcale!

 
Puttane, trans, gigolò, intersex, lesbiche, bis, froci e  altre deviate, ci dichiariamo in sciopero. Questo 14 di novembre non esercitiamo: non lavoriamo, non consumiamo, non vi sopportiamo.
Questa mattina, al risveglio, non ci cercare. Non ti faremo una puntura, non spazzeremo le tue strade, non baderemo al tuo bebé, non alzeremo un mattone, non assisteremo alle tue lezioni e non ti serviremo un caffè corretto.
Occuperemo la strada contro i bilanci della vergogna, contro i tagli alla sanità e all’educazione, in difesa delle contrattazioni collettive, contro i licenziamenti a basso costo, contro la privatizzazione del servizio pubblico e l’aumento brutale dei privilegi dell’imprenditoria per  peggiorare coscientemente le nostre condizioni di lavoro. Non accetteremo le loro minacce nèi  loro ricatti. Noi rifiutiamo che continuino a degradare senza limiti le nostre condizioni di lavoro e vita.
Porgiamo la spalla per molte cose, per noi stess*, però non per mantenere la festa senza fine di quell* di sempre. Non manterremo speculatori immobiliari, banchieri, mafiosi internazionali che accorrono come avvoltoi alla chiamata della miseria, né a una classe politica corrotta, cinica, ipocrita che ci condanna a uno stato di crisi permanente sottomessa ai dettami del mercato e del neoliberalismo. Non paghiamo i vostri debiti.
Questo 14, come sempre e più che mai, continuiamo la lotta. Le più precarie del precariato non retrocediamo, non ci facciamo intimidire, non abbiamo paura.

I TAGLI SOCIALI SONO ETEROPATRIARCALI

da Asamblea Transmaricabollo

Misure per donne

(da dumbles.noblogs.org)

Fiorella resta in carcere con l’imputazione di omicidio volontario.
Il giudice ha respinto la richiesta dei domiciliari.
Quella misura che la cassazione ha recentemente ammesso anche per il branco di stupratori, come garanzia di equità per tutt*, a lei che ha ammesso il fatto, che ha lasciato lì l’arma, che ha chiamato subito i soccorsi, che a loro ha aperto la porta vestita dei lividi freschi e del naso tumefatto, che ha raccontato una vita di percosse tanto evidenti da indurla a lasciare il lavoro perché non erano più compatibili con gli spigoli delle porte… lei che non ha prove da confondere né complicità su cui contare… lei resta in carcere, come quell’altra categoria di persone per le quali non sono ammesse misura alternative al carcere: i mafiosi.
Molti si sono prodigati a spiegare il senso di quella recente sentenza della Cassazione, dicendo che la funzione delle misure cautelari non è quella di punire preventivamente, bensì quella di consentire una corretta celebrazione del processo – da una parte – ed impedire il ripetersi o l’aggravarsi dei fatti criminosi ipotizzati. Ci hanno spiegato che i giudici sono chiamati a verificare l’esigenza di misure cautelari e soprattutto a “graduarle” in applicazione del principio del «minor sacrificio necessario» (C. cost. 299 del 2005).
Ecco, a Fiorella questo non è stato riconosciuto, la misura per lei è stata la più dura, quella che quasi ha il sapore del precoce castigo .
Il giornale di oggi affianca i due fatti: il suo e quello avvenuto il giorno prima, dell’uomo che ha inferto sette coltellate sette alla donna che lo aveva rifiutato; lei per fortuna è ancora viva; l’arma del delitto è sparita e anche lui resta in carcere. Stesso pm, stesso giudice, stessa decisione.
Stesso peso, stessa misura? Non proprio. Non è il carcere che pareggia ciò che al di fuori di esso è già sbilanciato e si manifesta nei dati mostruosi delle violenze sulle donne che poi, stando alla storia giurisprudenziale, hanno ben poco da sperare dalle sentenze delle aule di giustizia.
Lo sappiamo, ma speravamo per una volta che quella violenza che così spesso,
-quando ai danni delle donne-, viene ignorata, per Fiorella fosse riconosciuta…
Riconosciamola noi intanto, per lei, per noi, per tutte, perché la misura è veramente colma.

Giovedì 19 Gen 2012@ Sala da tè del Porto Fluviale

Giovedì 19 Gennaio 2012 dalle ore 18:00
La Onlus “Una Stanza Tutta per Sè” è lieta di presentarvi:

—-Lo Sportello Antiviolenza a Garbatella—–

dopo aver parlato tra di noi…
… Apericena a cura del Fronte del Porto Fluviale

a seguire
…Giulia Anania Live Acustica
e si cantano stornelli romaneschi…

Giovedì 19 Gennaio 2012 dalle ore 18:00
@Sala da tè in Via del Porto Fluviale,12
Zona Ostiense – Metro B_Piramide

L’INVITO E’ RIVOLTO SOLO A DONNE 0+ ONLY FOR WOMEN

leribellule.noblogs.org
inventati.org/unastanzatuttaperse

We have nothing to lose but our chains – 14 gennaio Libano

Manifestazione il 14 gennaio alle 12, presso il Ministero dell’Interno per migliorare la legge contro la violenza sessuale organizzata dalle libanesi, qui il blog.

___________________________________________________________

Any state that does not criminalize all forms of rape cannot be counted on

We, the women who reside in Lebanon, excuse ourselves from playing the decorative role that has been imposed on us.

We take to the streets today to say that we are aware and knowledgeable about the methodical war that state and society have waged on our bodies and our safety through their political parties and leaders.

From now on, we will not accept empty promises that are heaped upon us every time we call for our rights.

We will not give in to patience. We will not bite our wounds and postpone the battles of today to tomorrow.

Our voices will be louder than the bickering between your parties and your sporadic yet connected wars.

We call on Parliament to:

Pass the draft law for Protection from Domestic Violence as it has been written and with no delay.

2. Intensify punitive measures against rapists and those who attempt rape, amending the respective law.

3.Treat verbal harassment as physical harassment, especially in the work place, making it a crime subject to judicial penalties.

4. Deal with complaints related to sexual violence with rigor and consistency. We call on the Interior Ministry and the Municipalities to also apply those measures. The three bodies should work to make our streets and neighborhoods safe, especially during the night-time, by ensuring proper street-lighting, and permitting us to carry tools of self-defense, like taser guns and pepper spray.

We extend this invitation to all women and girls who have been exposed to rape or attempted rape or harassment in all its forms, to all so-called ‘housewives‘ that have been subjected to beating and verbal abuse, to all those employees, teachers, activists, workers and union leaders who experience sexual abuse time and time again, and to all those who feel the injustice and lack of equality.

We call on you to join us on the streets on the 14th of January 2012.

We begin the march at 12:00 PM from the Interior Ministry near the Sanayeh Garden, and move toward Parliament at Nejmeh Square.

We women no longer possess anything but solidarity with one another. We must stand shoulder to shoulder and unite. What lies before us is the last of our battles: the defense of our rights, bodies and security.

We have nothing to lose but our chains. The time is now