Ha ancora senso essere femministe?

Solo in Italia succede ogni tre giorni a una di noi (ma non sappiamo a quante sorelle migranti e prostitute succeda, perché “stranamente” non sono comprese nei dati che abbiamo). Succede grazie a un sistema che lo permette, che lo prepara con le violenze subdole e giornaliere. Oggi è successo a una compagna e una femminista, Stefania Noce, uccisa insieme al nonno da un ragazzo che non voleva accettare la decisione di lasciarlo della sua ex compagna. Ma è solo rivoltando il patriarcato gambe all’aria che non succederà più e per questo anche lei era femminista e scriveva:

“Abbiamo denunciato qualsiasi forma di “patriarcato”, le sue leggi, le sue immagini. Pensavamo di aver finito. Ma non è finita qui.

Abbiamo grandi debiti con le donne che ci hanno preceduto.

Il corpo delle donne, ad esempio, in quanto materno, è ancora alieni iuris per tutte le questioni cosiddette bioetiche (vedi ultimo referendum), che vorrebbero normarlo sulla base di una pretesa fondata sulla contrapposizione tra creatrice e creatura, come se fosse possibile garantire un ordine sensato alla generazione umana prescindendo dal desiderio materno. Di questa mostruosità giuridica sono poi antecedenti arcaici la trasmissione obbligatoria del cognome paterno, la perdurante violabilità del corpo femminile nell’immaginario e nella pratica sociale di molti uomini e, infine, quella cosa apparentemente ineffabile che è la lingua con cui parliamo, quel tradimento linguistico che ogni donna registra tutte le volte che cento donne e un ragazzo sono, per esempio, andati al mare. Tutto, molto spesso, inizia nell’educazione giovanile in cui è facile rilevare la disuguaglianza tra bambino e bambina: diversi i giochi, la partecipazione ai lavori casalinghi, le ore permesse fuori casa. Tutto viene fatto per condizionare le ragazze all’interno e i ragazzi all’esterno.

Pensiamo poi ai problemi sul lavoro e, dunque, ai datori che temono le assenze, i congedi per maternità, le malattie di figli e congiunti vari, cosicchè le donne spesso scelgono un impiego a tempo parziale, penalizzando la propria carriera.

Un altro problema, spesso dimenticato, è quello delle violenze (specie in famiglia). Malgrado i risultati ottenuti, ancora nel 2005, una donna violentata “avrà avuto le sue colpe”, “se l’è cercata” oppure non può appellarsi a nessun diritto perchè legata da vincolo matrimoniale al suo carnefice. Inoltre, la società fa passare pubblicità sessiste o che incitano allo stupro; pornografie e immagini che banalizzano le violenze alle donne.

Per non parlare di quanto il patriarcato resti ancora profondamente radicato nella sfera pubblica, nella forma stessa dello Stato.

Uno Stato si racconta attraverso le sue leggi, attraverso i suoi luoghi simbolici e di potere. Il nostro Stato racconta quasi di soli uomini e non racconta dunque la verità. Da nessuna parte viene nominata la presenza femminile come necessaria e questo, probabilmente, è l’effetto di una falsa buona idea: le donne e gli uomini sono uguali, per cui è perfettamente indifferente che a governare sia un uomo o una donna. Ecco il perchè di un’eclatante assenza delle donne nei luoghi di potere.”

(tutta la lettera su Officina Rebelde)

“Per quelle donne che non hanno ancora smesso di lottare. Per chi crede che c’è ancora altro da cambiare, che le conquiste non siano ancora sufficienti, ma le dedico soprattutto a chi NON ci crede. A quelle che si sono arrese e a quelle convinte di potersi accontentare.[…]Dobbiamo, quindi, trovare il modo di pensare a un’uguaglianza carica delle differenze dei corpi, delle culture, ma che uguaglianza sia, tenendo presente l’orizzonte dei diritti universali e valorizzandone l’altra faccia. Ricordando, ad esempio, che la famiglia non ha alcuna forza endogena e che è retta dal desiderio femminile, dal grande sforzo delle donne di organizzarla e mantenerla in vita attraverso una rete di relazioni parentali, mercenarie, amicali ancora quasi del tutto femminili; ricordando che l’autodeterminazione della sessualità e della maternità sono OVUNQUE le UNICHE vie idonee alla tutela delle relazioni familiari di fatto o di diritto che siano; ricordando che le donne sono ovviamente persone di sesso femminile prima ancora di essere mogli, madri, sorelle e quindi, che nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato, nè, tantomento, di una religione.

Sen – Stefania Noce

L’austerity e’ violenza sul corpo delle donne

Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Nel nostro paese e in tutto il mondo la violenza contro le donne è all’ordine del giorno: stupri, violenze domestiche, assassinii. Questa condizione è acuita dentro il contesto di crisi.
Abbiamo deciso di aderire all’appello Occupypatriarchy, una chiamata che nasce all’interno dello spazio pubblico aperto negli ultimi mesi dal movimento Occupy Wall Street. WE ARE THE 99%, slogan delle mobilitazioni statunitensi, non sta a indicare uno spazio liscio ed omogeneo, ma al contrario trae la sua forza dalle differenti striature di colore, genere e condizione che lo fanno vivere.
Le donne con il loro lavoro suppliscono alla crisi economica e a quella politica. Un recente rapporto Istat mostra come il “nuovo sistema di Welfare” abbia a che vedere direttamente con il lavoro femminile non retribuito: come siano, cioè, le nonne a sostituire gli asili nido, le figlie a sostenere il peso dei genitori anziani, le madri ad occuparsi dei figli, e come, in altre parole, il taglio ai fondi per i servizi sociali significhi il trasferimento di compiti e fatica sulle donne.
La violenza sulle donne è frutto di un sistema fondato sulla sopraffazione maschile. In tempi di austerity la parità tra i sessi sembra diventare un di “bene di lusso”. Quando i governi propongono politiche di conciliazione vita-lavoro legittimano, di fatto, il principio per cui una donna deve svolgere più lavori contemporaneamente: precari e senza garanzie nel mercato del lavoro “ufficiale”, senza retribuzione e diritti nella sfera privata. Questa è violenza travestita da austerity!
La crisi attacca ogni possibilità di autodeterminazione, mettendo in discussione la libertà di scelta. Ed è proprio su questa che è stato sferrato l’attacco: l’intento della Proposta di Legge Tarzia è quello di cancellare l’esperienza dei consultori, intesi come strutture sanitarie laiche, adibite alla tutela della salute della donna. Mettendo direttamente in discussione la legge 194 sull’aborto, i consultori vengono proposti come centri per la tutela del concepito e della famiglia, togliendo di fatto qualsiasi centralità all’autonomia delle donne e consentendo l’accesso a figure non qualificate del mondo cattolico. Il “caso Lazio” è in questo senso emblematico e si configura come laboratorio per legittimare lo smantellamento del Welfare su scala complessiva. Quello dei consultori è, tra gli altri, un terreno di conflitto sul quale bisogna insistere, soprattutto con il governo Monti, in odor di sacrestia, per difendere il diritto alla salute e all’autodeterminazione della donna.

Occupyamo spazi per reinventare la democrazia! I nostri corpi non sono titoli di Stato!
LA VITA SIAMO NOI!

Appuntamento Venerdì 25 novembre ore 14.00 scalinata di Piazza di Spagna

Immagine da zero illustrazioni.

Il controllo non è sicurezza!

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Esprimiamo la massima solidarietà a F., la ragazza che lo scorso 30  Aprile ha subito uno stupro di gruppo in via Pineta Sacchetti.

Quanto avvenuto è inaccettabile.

Ancora una volta ribadiamo che la violenza contro le donne non ha età, razza, colore, passaporto. Se c’è una connotazione da dare a chi stupra e violenta le donne è quella di marito, fidanzato, amico, ex partner, datore di lavoro, perché la stragrande maggioranza delle violenze avviene ad opera di questi individui.

Riteniamo che le reazioni di istituzioni e forze dell’ordine (spesso attori della violenza stessa) a simili episodi siano strumentali, razziste e repressive.

Non ultimi i mass media che sfruttano i casi di stupro per perpetrare una strategia del terrore molto cara ai governi e per spettacolarizzare vicende che hanno poco di teatrale.

La violenza viene esercitata da uomini su donne, da maschi su femmine, qualunque sia il loro passaporto, impiego o ruolo sociale.

LA VIOLENZA NON E’ MAI, MAI LEGITTIMATA DA COME CI VESTIAMO, DA CHE LUOGHI FREQUENTIAMO O A QUALI ORARI ANDIAMO IN GIRO.
NOI NON ACCETTIAMO VIOLENZE SULLE DONNE E SIAMO SOLIDALI CON TUTTE COLORO VOGLIANO RIBELLARSI AI SOPRUSI.

PER OGNI DONNA STUPRATA E OFFESA SIAMO TUTTE PARTE LESA

le compagne di Roma Nord

Slut on walk! Donne contro la polizia

Articolo dal Corriere, ma qualcosa più di movimento su SlutWalk London

Lo stupro non è colpa delle donne che “se la sono andate a cercare”, come la società a volte vorrebbe raccontarci. A dirlo, questa volta, non sono solo le statistiche (secondo cui una donna su tre è vittima di violenze sessuali) ma centinaia di migliaia di persone comuni che da Seattle a Sidney sono scese in piazza per protestare contro l’abitudine, anche in occidente, di criminalizzare le donne per gli stupri subiti, dando vita al movimento internazionale SlutWalks, (le marce delle puttane).

Tutto è iniziato lo scorso 24 gennaio quando, durante un seminario su prevenzione e sicurezza alla York University di Toronto, il poliziotto canadese Michael Sanguinetti ha rivolto l’infelice raccomandazione alle studentesse:

“Evitate di vestirvi come puttane se non volete diventare vittime”.

Da facebook a twitter alla blogosfera femminista la risposta delle donne è stata corale e fulminea.

Migliaia si sono date appuntamento a Toronto per organizzare la prima di innumerevoli marce di protesta contro l’odioso pregiudizio che avvelena anche i nostri sistemi giudiziari. “Ne abbiamo abbastanza” spiega la 25enne Heather Jarvis, vittima di uno stupro a soli 14 anni e una delle 5 fondatrici del movimento SlutWalk Toronto, “non protestiamo solo contro l’idea o contro il poliziotto: marciamo per cambiare il sistema”.

Dopo la SlutWalk che si è svolta a Boston l’8 maggio, il tam tam ha raggiunto Europa, Australia e Asia. Il prossimo appuntamento è fissato in contemporanea a Londra e Amsterdam per il prossimo 4 giugno.

Ogni donna, bella o brutta, giovane o attempata, sa esattamente di cosa si parla, per averlo vissuto sulla propria pelle. L’esternazione del poliziotto Sanguinetti, che peraltro non è stato allontanato dal servizio come sarebbe stato giusto, è la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Molte di voi ricorderanno le forti proteste che si levarono in Italia nel 1999 quando un Giudice della Corte Suprema sancì che una donna in jeans non poteva essere vittima di violenza “senza consenso”, data l’impossibilità di sfilare senza aiuto i pantaloni.

Persino un giornale liberal come il New York Times è finito nella bufera di recente per un controverso articolo sullo stupro di gruppo ai danni di una ragazzina di una scuola elementare del Texas, “colpevole”, secondo il giornalista James McKinley Jr. di “truccarsi e vestirsi in una maniera più adeguata ad una donna di 20 anni”.

“Si dà la colpa al padrone se qualcuno irrompe nella sua bella casa?”, punta il dito Elizabeth Webb, animatrice della marcia svoltasi a Dallas lo scorso 23 aprile, anche lei vittima di violenza sessuale. “Lo stupro è un’esperienza già molto traumatica”, teorizza la Webb, “imputarne la responsabilità a chi lo subisce ingigantisce la ferita psicologica”.

Speriamo che il messaggio venga recepito anche dal giudice di Manitoba che lo scorso febbraio ha assolto uno stupratore (“un maldestro Don Giovanni”, l’ha definito) che non aveva saputo resistere all’adescamento della sua vittima, “colpevole” di aver indossato

“una maglietta troppo attillata senza reggiseno, tacchi alti e make-up”, rendendo secondo lui “inevitabile” l’aggressione sessuale.

Ciudad Juarez

A un mese di distanza dall’assassinio di Marisela Escobado, un altro femminicidio ha insanguinato la citta di Juarez : il brutale omicidio della poeta e attivista Susana Chávez, ideatrice del progetto “Ni una muerta más”, in difesa delle donne di Ciudad Júarez.
Ciudad Juárez si trova al Nord del Messico al confine con El Paso, Stati Uniti,  è il simbolo del femminicidio, un fenomeno diffuso in tutto il Messico e il Centro America, ma qui ha assunto una frequenza e un’efferatezza senza paragoni, complice  la negligenza della polizia e delle autorità, il mancato riconoscimento del problema, talvolta una vera e propria ostilità, da parte della stampa e dell’opinione pubblica. Spesso sono le stesse forze di polizia, forti dell’ impunità loro garantita, ad abusare di donne che si trovano in loro custodia.
Le modalità con cui sono state assassinate sono raccapriccianti, quasi tutte quelle ritrovate avevano segni di stupro, crani fracassati, arti tagliati e indumenti lacerati.
Il 1993 è l’ anno in cui iniziano i femminicidi ed è anche la data dell’accordo di libero scambio (NAFTA) che ha permesso il proliferarsi  nel territorio juárense di circa un migliaio di maquiladoras, fabbriche straniere di assemblaggio che utilizzano manodopera  per la maggior parte femminile.
Le donne coinvolte sono prevalentemente povere, lavorano nelle maquiladoras per pochi soldi e vivono in bidonville.
<a href="http://www.youtube.com/watch?v=fuy0qQBx264" target="_blank">http://www.youtube.com/watch?v=fuy0qQBx264</a>

<a href="http://www.youtube.com/watch?v=UUwRov-nYjY" target="_blank">http://www.youtube.com/watch?v=UUwRov-nYjY</a>

Comunicato: la legge Tarzia è una violenza contro le donne

Il 25 novembre 2010 durante la giornata internazionale contro la violenza sulle donne abbiamo scelto di far sentire la nostra voce, presenza e lotta in tutti i luoghi di conflitto, le manifestazioni e i
cortei che hanno attraversato la città di Roma: dal presidio di donne davanti alla Regione Lazio, al corteo dei Movimenti Uniti contro la crisi,dalla protesta studentesca contro il DDL Gelmini al Consiglio Municipale del III Municipio dove stanno approvando una mozione a
favore della legge Tarzia e al presidio a Piazza Trilussa contro i C.I.E.
Le donne, i collettivi femministi, i comitati di donne e sindacati riuniti nell’Assemblea permanente delle donne contro la proposta di legge Tarzia hanno manifestato il 25 mattina di fronte alla Regione Lazio dove il 24 novembre è iniziata la discussione sulla proposta di
legge Tarzia sui Consultori .
Durante il nostro presidio, sono arrivati una decina di ‘provocatori non autorizzati’ appartenenti al Forum delle associazioni familiari del Lazio e, tra gli altri, l’Alleanza evangelica italiana capeggiati dalla stessa Olimpia Tarzia con cartelli a favore della proposta di legge e inneggiando alla famiglia hanno provato a disturbare la protesta ma sono stati cacciati dalla piazza.
Le donne con questo vogliono ribadire che gli antiabortisti e movimenti per la vita non sono ben accetti e non avranno alcun spazio nelle piazze, nei consultori e nelle strutture pubbliche.
Una delegazione di 15 rappresentanti delle diverse realtà presenti sotto la Regione Lazio, tra cui anche due compagne, sono entrati in Regione. Attendendo un colloquio con la presidentessa della Regione Lazio Renata Polverini.
La nostra lotta non si ferma e continuerà fino a che la Legge Tarzia non verrà definitivamente ritirata.

Collettivi femministi e donne contro la legge Tarzia.

sportello antiviolenza

Siamo il collettivo femminista “le Ribellule”, un gruppo di donne nato 5 anni fa all’Università di Roma3 e trasferitosi da 2 anni in via Passino 20 a Garbatella. Le nostre attività hanno sempre avuto come fine l’autodeterminazione delle donne; il costruire insieme le condizioni per cui ognuna possa sentirsi libera di realizzare i propri desideri.
La società attraverso i mass media, ci classifica utilizzando stereotip i(ad esempio lo stigma di santa o di puttana) che ci condizionano nel pensare e nell’agire.

Le costrizioni di questa società ingiusta sono subite da tutti e tutte, ma nel caso delle donne hanno una loro specificità. Siamo esposte a violenza perché siamo percepite come oggetti sessuali, come sesso debole (dolci e silenziose), come coloro che si sacrificano per la famiglia e/o sul posto di lavoro, come corpi da violare.
La violenza di genere è un fenomeno purtroppo diffusissimo (secondo gli ultimi dati Istat quattro donne su cinque l’hanno subita nella propria vita)soprattutto all’interno delle mura domestiche; nasce dal desiderio di sopraffazione dell’uomo sulla donna e oltre che fisica e psicologica, la violenza può essere costituita o rafforzata anche dal ricatto economico.

Collettivamente abbiamo seguito un corso di formazione per operatrici di centri antiviolenza.
Il nostro obiettivo è di aprire uno sportello antiviolenza nell’XI municipio, in cui questo servizio è assente, per:

* accogliere le donne che subiscono o hanno subito violenza

* aiutarle a riconoscerla e iniziare un percorso personale volto a comprendere che non hanno colpe,
che non è un problema personale di cui vergognarsi, ma un problema sociale e politico

* promuovere iniziative utili a sensibilizzare l’opinione pubblica

* consolidare un punto di riferimento per la solidarietà e l’iniziativa tra donne

* svolgere attività di ricerca, documentazione e diffusione delle informazioni

* offrire un servizio di supporto legale

Vogliamo creare uno spazio che metta al centro l’autodeterminazione, l’autonomia e la consapevolezza così come la sorellanza e la solidarietà, per permettere alle donne di riappropiarsi della propria vita e di partecipare alla lotta contro il patriarcato: il responsabile di tutte le violenze che subiamo in quanto “donne”.
Vogliamo cambiare radicalmente il contesto in cui viviamo e lo strumento che vogliamo utilizzare è quello dell’autorganizzazione. Per questo rivendichiamo l’autonomia del nostro progetto, e l’indipendenzada partiti e da
istituzioni, che nel migliore dei casi agiscono solo sulle conseguenze senza intaccare i rapporti di potere. Stiamo costituendo un’associazione senza fini di lucro e stiamo cercando di rendere accogliente il luogo in cui apriremo lo sportello.
Chiediamo un contributo a chiunque voglia sostenere il nostro progetto e la lotta contro la violenza
sulle donne, che sia un apporto di idee, politico, pratico o economico.

Napoli. Ragazza pestata a sangue, rischia di perdere l’occhio


La
folla pietrificata dalla paura, Piazza Bellini, skinheads scatenati:
hanno insultato ragazzi omosessuali, solo la 27enne è intervenuta.
Omofobia, ma soprattutto indifferenza. A meno di una settimana dalla
diffusione del video della morte del suonatore romeno Petru a
Montesanto (spirato in mezzo alla folla che fuggiva), ancora una volta
i napoletani devono interrogarsi sulla difficile conciliazione tra
paura e senso civico. In piazza Bellini, intorno alle due di notte, un
gruppetto di delinquenti con il capo rasato ha malmenato alcuni giovani
omosessuali e mandato all’ospedale una ragazza che era intervenuta
(unica a farlo) in loro soccorso. Tutto si è svolto all’aperto, al
centro di Napoli, sotto gli occhi di centinaia di persone che non hanno
mosso un dito. Solo quando il raid omofobo è terminato, qualcuno si è
avvicinato alla ragazza ferita, offrendo dell’acqua, ma lei ha
rifiutato rispondendo sdegnata: «L’acqua mi serviva prima».

Già dal loro ingresso nella piazza si è capito quali fossero le loro
intenzioni. I bulli skinheads hanno cominciato a dare fastidio a un
gruppo di giovani, che frequentano la sede dell’Arcigay. Prima hanno
cominciato con gli insulti, poi è volato qualche schiaffo. Le parole
sono diventate sempre più pesanti, come gli schiaffoni, inferti in
mezzo al divertimento dei membri del gruppo.

Coloro che erano intorno hanno fatto finta di non vedere. Solo una
ragazza di 27 anni, non ce l’ha fatta a trattenere lo sdegno per
l’aggressione verbale che si stava compiendo. Ha avvicinato il
gruppetto e ha urlato: «Basta fermatevi! Ma che volete? Perché non ci
lasciate in pace?». Per tutta risposta, la giovane ha ricevuto uno
spintone, è caduta per terra ed è stata presa a calci. La violenza dei
colpi è stata così forte che la ragazza, ora ricoverata in ospedale,
rischia di perdere un occhio».

Le associazioni omosessuali napoletano hanno fatto un comunicato
congiunto, denunciando l’insicurezza vissuta dai gay in piazza Bellini:
«La vera vergogna che denunciamo è la “licenza di aggredire” che viene
così indirettamente concessa a chi viola i corpi e la dignità di altri
esseri umani e la deriva violenta di false propagande: un “Decreto
sicurezza” che non tutela un bel nulla, le istigazioni allo squadrismo
violento e la cancellazione dell’omofobia dal novero degli allarmi
sociali di questo Paese». (Giorgio Mottola – il Corriere della Sera)

http://www.notiziegay.com/?p=31169