Report – Laboratorio My Slut Walk @FeministBlogCamp2012

 

L’obiettivo del workshop che abbiamo proposto era interrogarsi collettivamente sul proprio corpo come simbolo, veicolo di contenuti,  strumento di lotta e autodeterminazione.

Siamo partite dalle “Slut Walk” che, da Toronto (3 aprile 2011),  sono diventate un fenomeno internazionale.

Ci siamo chieste quale sarebbe stata la Slut Walk che avremmo voluto costruire e ci siamo dette che il punto non era se e come sfoggiare i requisiti della “femminilità” , visto che la libertà di camminare svestite può non rappresentare per tutte la libertà tout court.

Il nodo gordiano ci è sembrato piuttosto ciò che ci impongono a livello di vestiario  e comportamenti (educati, remissivi…), cosa introiettiamo senza averne coscienza, cosa ci frustra perché vorremmo fare diversamente ma alla fine per quieto vivere, abitudine, paura, vergogna non facciamo.

Abbiamo pensato ad un laboratorio pratico-teorico per elaborare insieme ad altre queste tematiche e  provare a liberarci, forti di una collettività che aspira all’autodeterminazione e lo fa attraverso il conflitto, delle inibizioni che non vorremmo avere.

Abbiamo scelto il nome di “my” slut walk per sottolineare la non conformità a nessuno stereotipo. I vari momenti del laboratorio volevano essere tappe di un percorso che, dal riconoscimento dei giudizi che subiamo fino ad assimilarli, terminava con la consapevolezza e rivendicazione dei propri desideri e bisogni. Nella “passeggiata” in giro per Livorno avremmo cercato di sperimentare una pratica di liberazione individuale attraverso la potenza collettiva. Continua a leggere

Rivolta alle donne: dibattito sulle pratiche di lotta

### Giovedì 18 ottobre ###
Al “Fronte del Porto – Sala da thè dell’occupazione Porto Fluviale” in via del Porto Fluviale 18 – Metro B – Piramide

Ore 18:00 – Incontro fra donne
R I V O L T A A L L E D O N N E – Dibattito sulle pratiche di lotta.

 

Gli strumenti ufficiali per normalizzare lo sfruttamento e l’asservimento sono da sempre il controllo dei corpi e la sorveglianza dei territori.
La militarizzazione degli spazi è il dato più evidente di una guerra che viene dichiarata dall’alto verso il basso: le strade, i mercati, le stazioni, le frontiere o le terre dove vorrebbero imporre progetti mortiferi diventano campo di battaglia.
Rifiutare chi prova a schiacciarci o ad imporci relazioni di potere, nei contesti pubblici o privati, è una pratica necessaria, soprattutto quando l’invisibilità diventa il recinto dove avviene la vittimizzazione, la criminalizzazione o la punizione di soggetti da addomesticare.

Durante l’incontro parleremo dell’esperienza delle donne nelle rivolte popolari, con l’attenzione rivolta alle condizioni fuori e dentro i contesti di lotta. E affronteremo il problema della militarizzazione a partire dalle conseguenze che produce nelle nostre vite.
Dalle rivolte popolari di piazza Tahrir a quelle di San Salvador Atenco, dalle frontiere di Ciudad Juarez ai campi d’internamento per migranti, da L’Aquila alle guerre umanitarie e le conquiste coloniali, la violenza contro le donne è uno strumento di oppressione scientifico per colpire, annientare e ricattare.

L’arrivo di Rasha, compagna che vive in Egitto e tra coloro che animano la campagna “No Military Trials for Civilians”, sarà un’occasione per riconoscere insieme le strategie della repressione nei confronti delle donne e scambiarci le pratiche di lotta che scegliamo, abbattendo confini, muri e gabbie.
Incontrarsi e scambiare la nostra esperienza di donne attive nelle lotte è un passo per rompere l’isolamento nel quale vorrebbero consegnarci e un contributo alla lotta collettiva.

L’incontro tra donne dal titolo “Rivolta alle donne” si terrà giovedì 18 ottobre alle ore 18.00 al “Fronte del Porto – Sala da thè dell’occupazione Porto Fluviale” in via del Porto Fluviale 18.

La mattina dello stesso giorno saremo alle 8.30 al sit-in di donne davanti il tribunale a L’Aquila, durante il processo di Francesco Tuccia, stupratore e militare.

A seguire…

**Apericena per tutt* benefit FreePalestine Roma**
___Proiezioni video “Words of women from the Egyptian Revolution –
Herstory”___

Per ogni stupratore, con o senza uniforme, vita breve e sofferta.

Collettivo femminista Le Ribellule, FreePalestine Roma

Per tutto il programma “Words of Women from the egyptian Revolution” 17-18-19 ottobre 2012 – Tre giorni di iniziative con Rasha Azab clicca qua.

Feminist Blog Camp 2012

Quest’anno il Femnist Blog Camp si terrà a Livorno, presso l’ Ex-Caserma Del Fante, il 28/29/30 settembre 2012.
Anche noi saremo lì con un workshop teorico pratico, dal titolo “MYSLUTWALK”. Discuteremo sul riconoscimento e decostruzione del nostro imbarazzo e sugli strumenti di autoderminazione dei corpi. Vedremo filmati e rifletteremo collettivamente sul significato delle slut walk nel mondo e della nostra personale slut.
Il ws prevede un’uscita libera di corpi autodeterminati…Stay tuned!!!
Per info e programma potete vedere qui e qui!
Ci si vede a Livorno…Dé!

Pussy is the riot: La Rivolta è figa!

 

In questo afoso Agosto di crisi ci tocca rimetterci a parlare di perché e per come la lotta femminista non sia – necessariamente – borghese e reazionaria e di perché abbiamo preso parola anche di fronte al caso Pussy Riot. Tanto per affrontare la (altrui) noia estiva proviamo a scrivere due righe.

Già, perché alcuni compagni e compagne forse un po’ troppo militont*, forse perché annoiati da Caligola, Lucifero o chissà che altro vento, hanno pensato bene di scrivere pagine e pagine su quanto le suddette Pussy Riot, o “Fighe riottose” come preferiscono malamente tradurle, siano parte di un gioco di potere e lotta tra imperialismi vari. Pedine coscienti o meno di giochi tutti volti a far prevalere l’aborrito concetto “diritti umani” in contrapposizione a quello bello, sano e forte di “lotta di classe”, lotta che come ben sappiamo spazzerà via ovunque le inuguaglianze di genere, religione e razza per portare il sol dell’avvenir.

Mentre attendiamo il sorgere del suddetto sole, a noi sono venuti alcuni dubbi. E non (solo) perché abbiamo già preso le parti delle Pussy Riot in più occasioni e la CIA manco c’ha dato na lira.

Il primo dubbio è perché i suddetti compagni abbiano pensato di fare dibattito su questa questione, attaccandone i promotori e le promotrici invece di lanciare una qualche campagna su temi che alla colonna destra di Repubblica non arrivano e che loro evidentemente ritenevano più importanti. Sarebbe interessantissimo fare un’analisi più a tutto tondo del problema mediatico e di come certe notizie rimbalzino molto meglio di altre tra media mainstream e radical blog. Ma prendere spunto da azioni in solidarietà di persone che sono appena state condannate, dopo una detenzione preventiva anche piuttosto lunga, a una pena per quanto “minore”, ci sembra quantomeno scortesi. D’altra parte i militont* amano la sofferenza: sarebbe stato molto meglio una condanna a trent’anni (o a dieci anni, come le nostre compagne e compagni devastatori e saccheggiatori), forse.

In ogni caso prendere le parti delle Pussy Riot non ci allontana da una riflessione sulla non neutralità dei mezzi di informazione, palese e spesso strumentalizzata. Così come non ci allontana dalla critica ai padroni e ai poteri, dovunque si trovino.

Il dubbio che però ci attanaglia maggiormente è quello sull’antisessismo subordinato alla lotta di classe. Come se il patriarcato fosse nato con la borghesia (grasse risate) come se i movimenti ne fossero scevri, come se la lotta femminista (nel senso antiborghese e rivoluzionario del termine) possa essere davvero subordinata alla sola questione dei rapporti di produzione. Ci dicono: “noi non siamo femministi, ma antisessisti” peccando di semplificazione di fronte alla molteplicità dei femminismi e delle lotte delle donne nel mondo. Come se Beatriz Preciado fosse uguale a Carla Lonzi. Ci dicono che “Non ci sono le *donne sfruttate* ma, nell’ambito della condizione femminile, ci sono le donne povere che sono sfruttate e le donne ricche che sfruttano”, ma basta guardare le statistiche sulla violenza domestica per capire che i proletari e padroni picchiano e stuprano in ugual percentuale. Amara verità per la vostra lotta di classe.

Per concludere vorremmo spendere due parole sulle lotte dei movimenti lgbtq, che pare non siano lecite e dignitose come quelle da condurre nelle fabbriche….che possano aspettare! Ci dicono: “non siamo contro i diritti umani, nel senso che non sacrifichiamo, in nome della lotta di classe, i diritti umani di chi viene a trovarsi in mezzo a essa”. Ma se a illuminare le coscienze sono i media occidentali, le istituzioni politiche ed economiche europee e statunitensi, le ONG più ambigue che mai, gli oligarchi russi, allora qualche sospetto ci viene”. Ma allora chi dovrebbe prendere parola su questi temi? Visto che sono presi in considerazione da organizzazioni poco chiare dobbiamo rinunciare a dire la nostra, a prendere parola, azione e forza di fronte alle limitazioni di tali “diritti”? Aspettiamo che se ne parli nel movimento? Sarebbe necessario anche solo per evitare che diventino consumismo e capitale allo stato puro, come spesso purtroppo accade. A noi stare zitte non è mai piaciuto, e se dobbiamo prendere parola preferiamo il chiasso e i colori, ma non dimentichiamo Stonewall.

Pensateci compagni, voi che non avete paura nella lotta dura e pura, ma vi sentite a disagio di fronte a una performance o di fronte a un commento “violento”. E fatevela una risata ogni tanto, che non fa male, specialmente co’ ‘sto caldo. L’eteronormatività non è un destino neanche per voi!

Infine, saremmo ben liete se si riaprisse un dibattito collettivo sul genere e sul sessismo. Ad esempio ci si potrebbe confrontare sulla violenza privata o sull’omofobia nel movimento. Una discussione non retorica e per questo anche lontana dall’analisi del “cosa viene prima” perché – senza dubbio – o será feminista o no será.

Contro ogni carcere e repressione, che fanno rima con testosterone.

Collettivo Femminista Le Ribellule

nb. Esprimiamo solidarietà con i minatori morti in Sudafrica, con gli operai che lottano a Taranto, con tutte le persone che vivono e muoiono di carcere, ma anche con le lesbiche che subiscono gli stupri “correttivi” in Sudafrica, o finiscono frustate nelle prigioni di Ahmadinejad, e tutte le sorelle che lottano e che guardacaso non vengono in mente a nessuno dei suddetti compagni.

Waiting for Roma Pride 2012 -VOGLIAMO TUTTO!-

In breve: Love&Fight

Leggo il documento del Roma Pride 2012 ( non credo che siamo in molt@ a farlo) e ciò che mi colpisce è il titolo..VOGLIAMO TUTTO..e penso subito: Bene, non ci metteranno in una gabbia con colori uguali, non fermeranno la nostra favolosità, non bloccheranno le nostre passioni,la nostra riflessione e le nostre alte aspirazioni. Il secondo pensiero mi riporta alla realtà: ma noi chi??A me questa scena lgbt non mi piace. Non mi piace proprio a partire dal fatto che sia glbt e non Q, ad esempio. Non mi piace perchè pur essendo soggetti favolosi non eccede non strappa non libera. Anzi quel clima di arroganza, di acchitto, di commerciale da una parte e di diritto, di garanzie e di conformismo dall’altra uccide qualsiasi forma di eccedenza.

Sono femminista e la famiglia mi sta stretta, e sono anche lesbica per cui mi sta ancora più stretta. Mi stanno strette le leggi perchè concedono si, ma regolano. Mi stanno strette le leggi perchè partono da questo sistema basato sullo sfruttamento. Un giorno lessi questa frase, ovvero che tutte le tutele e i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici che abbiamo ottenuto sono stati un evento straordinario, una piega del sistema capitalista che ha dovuto concedere per non essere abbattuto. Erano gli inizi degli anni 70. Oggi quei diritti li stiamo perdendo uno ad uno, ma il tessuto sociale non è fermo, non è passivo. Tante lotte si sono espresse in Italia negli ultimi anni, tantissime a livello internazionale. E non è vero che bisogna raggiungere un risultato concreto o un ‘obiettivo per vincere. Personalmente ritengo più importante che si consolidi una coscienza critica che sedimenta nel tempo piuttosto che si raggiunga il piccolo obiettivo. D’altronde il 68 come il 77 non sono stati momenti di lotta spontanea, ma un accumulo di energie e prospettive.
È vero ci sono diritti e tutele che vanno rivendicate ad esempio sulla salute o sul lavoro (meno sulle coppie per quanto mi riguarda), è anche vero che se non si cambia il sistema educativo poco sembra possibile, ma ciò che più mi preme è comprendere come accelerare le lotte e come entrare in un sistema virtuoso di rivolta dell’esistente, di ripresa delle nostre vite e dei nostri desideri, dei nostri tempi. Intrecciare, intersecare lotte, relazioni, vissuti .. sentirsi parte del cambiamento, sentire il cambiamento come necessario, indispensabile per respirare e vivere.
Vogliamo tutto era uno degli slogan del movimento del 68, ripreso poi nel 77, ed è anche un grande libro di lotta scritto da Nanni Balestrini. Del 77 rimangono i racconti di libertà e di liberazione, momenti in cui era chiaro che per cambiare le cose bisognava assaltare il cielo. Oggi le cose non sono migliorate. Io quel cielo ho ancora voglia di assaltarlo, magari con una Bici da corsa e una parrucca fucsia. A quel punto mi verrebbe da urlare: Prendeteci, se ne siete capaci.
Questo è il mio più grande augurio.

Pollon* -identità collettiva decostruzionista-

Documento Politico Roma Pride 2012

 

La marcia per la vita!?…no! IL MARCIO DELLA VITA!

 

Domenica 13 maggio 2012, un gruppo di donne, femministe e lesbiche ha deciso di boicottare attraverso azioni di controinformazione la manifestazione “Marcio della vita”. Una giornata indetta dai movimenti prolife capeggiati da Olimpia Tarzia: promotrice della proposta di legge che caldeggiava la privatizzazione dei consultori del Lazio e voleva inserirvi cattolici ed obiettori di coscienza.
I movimenti delle donne hanno raccolto migliaia e migliaia di firme per rigettare questo abominio dimostrando che su temi tanto dibattuti come l’aborto e la Ru486 la società civile è attenta e responsabile.
Abbiamo preso parola rispetto alla vergognosa apertura del cosiddetto” cimitero dei bambini mai nati” che è stato pagato profumatamente dalle amministrazioni locali. Questo luogo è l’ennesima occasione per strumentalizzare il corpo delle donne e imporre la loro morale bigotta e catto – fascista.
In questo momento di crisi, i discorsi dei movimenti pro life sono ancora più irresponsabili e fuori dalla realtà: a maternità non è una scelta. Come si decide quando avere figli/e se non si non arriva a fine mese e/o sei precaria?
D’altronde a questa gente in linea di principio interessano solo due momenti: il concepimento e la morte. Nel mezzo, come ironizzava Padre Pizarro (Corrado Guzzanti), c’è un “grandissimo chi se ne frega”!
L’unico modo per conoscere e riconoscere la propria sessualità è non considerarla un tabù e una vergogna.
L’unico modo per prevenire gravidanze indesiderate è il sesso libero e consapevole.

Contro chi vuole marciare su Roma e chi su Roma ci marcia privatizzandola, noi rivendichiamo libertà di scelta sulle nostre vite!