Assemblea 7/03 dalle 16:00 @Quarticciolo

mAPPAcONSULTORI

UNA GIORNATA PER IL DIRITTO ALLA SALUTE DELLE DONNE

Il Consultorio è un servizio pubblico totalmente gratuito che garantisce e tutela la salute della donna nelle varie fasi della vita, svolgendo una funzione essenziale per la diffusione di corrette informazioni su sessualità e su contraccezione, la prevenzione di malattie, l’interruzione di gravidanze indesiderate, e per una maternità consapevole con assistenza durante e dopo la gravidanza.
Nel 2007 i Consultori in Italia erano 2.097, nel 2009 erano 1.911, e oggi continuano a diminuire, nonostante la legge del 1996 preveda un consultorio ogni 20 mila abitanti. Anche nel Comune di Roma i Consultori stanno subendo drastiche riduzioni di orario, accorpamenti e chiusure.
Da sempre, i Consultori sono oggetto di pesanti attacchi politici e di stampo cattolico, che mirano a privatizzali e a snaturarli, in quanto luoghi dell’emancipazione femminile e della ripresa delle proprie scelte individuali, in particolare, sull’interruzione Volontaria di Gravidanza.
Unici presidi socio-sanitari ad accesso gratuito, in un’ottica di privatizzazione, i Consultori sono il primo servizio a essere tagliato.

Solo chi ha i soldi potrà curarsi?

Difendiamo il diritto alla salute di tutte le donne

Incontriamoci

GIOVEDì 7 MARZO DALLE 16.00

davanti al consultorio di via Manfredonia 45, Quarticciolo

per una giornata di condivisione in cui poter parlare di questo e altro: contraccezione, RU486, obiezione di coscienza, procreazione medicalmente assistita, tagli alla sanità pubblica, violenza sulle donne…

E A SEGUIRE BALLI E CANTI!

Comitato in difesa del Consultorio di Via Manfredonia, Assemblea Donne Consultorio di Piazza dei Condottieri, Assemblea Donne Consultori IV Municipio, Centro Donna L.I.S.A., Collettivo Femminista Le Ribellule, Comitato Donne 100celle&dintorni, Lucha y Siesta, Rete Donne II Municipio

Vengo alla Prima 16/02 @Tuba Bazar

vengoallaprima

16 Febbraio 2013

V E N G O   A L L A   P R I M A
@Tuba Bazar – Via del Pigneto, 19

Dalle ore 18:00 _Proiezione del video-documentario “La mia scelta viene prima”. Strumento di denuncia, d’informazione e di lotta, nonché un gesto di vicinanza verso chi ha vissuto esperienze simili, di e con il collettivo femminista e lesbico Vengo Prima di Venezia

a seguire dibattito sull’obiezione di coscienza e sui consultori.
Confronto sullo stato dell’arte in varie regioni italiane rispetto alla libertà di scelta e sugli strumenti collettivi di lotta
Sulla salute delle donne non si obietta!

intervengono:
Collettivo femminista e lesbico Vengo Prima
Mirella Parachini – ginecologa, vice presidente FIAPAC
Pina Adorno – Consulta dei consutori
Lisa Canitano – Vita di Donna Onlus

Sono invitate a partecipare le donne, le operatrici dei consultori, comitati e collettivi a difesa della salute pubblica e della libertà di scelta.

E Allora… V I E N I   A L L A   P R I M A???
16/02@Tuba Bazar – Via del Pigneto, 19

Contro ogni violenza sulle donne

Esprimiamo solidarietà con il centro antiviolenza dell’Aquila dopo le minacce subite a seguito della condanna a 8 anni per lo stupratore Tuccia: militare in servizio per il progetto “strade sicure”, che, nonostante abbia lasciato Rosa gravemente ferita e abbandonata in mezzo ad un cumulo di neve, è stato prosciolto dall’accusa di tentato omicidio.

Dopo le violenze inflitte nuovamente a Rosa durante il processo, veniamo a sapere che l’avvocata che la difende, Simona Giannangeli del centro antiviolenza dell’Aquila, ha subito delle gravi minacce; il biglietto che ha ritrovato sulla propria macchina riportava: “Ti passerà la voglia di difendere le donne…. Stai attenta e guardati sempre le spalle, da questo momento questo posto non è più sicuro per te”.

Nello stesso momento apprendiamo che a Roma, nel IV Municipio, i servizi contro la violenza sulle donne vengono affidati ad associazioni senza esperienza nel campo e volti alla riconciliazione familiare
.
Ci uniamo dunque al centro Donna Lisa nella denuncia di tali scelte.

La sicurezza nostra, delle strade e delle nostre città non la fanno i militari, ma le donne che creano solidarietà.

Rosa e Simona non sono sole.

Contro ogni donna stuprata o offesa, siamo tutte parte lesa!!!

Sull’evoluzione del reato di stupro:
http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2007/02/23/i-soliti-sospetti-storia-della-legge-sullo-stupro-quando-c-erano-i-capi-famiglia-e-lo-ius-corrigendi/
Sulla violenza a cui puó arrivare, reiterando quella già subita, un
tribunale http://www.youtube.com/watch?v=RLurjfwjI4g

Libertà per Pinar Selek

Pinar è stata condannata all’ergastolo dopo l’ennesimo processo farsa.

Sabato 26 gennaio alle 14 tutte e tutti sotto l’ambasciata turca, via Palestro 28, Roma.

Pinar Selek è una femminista antimilitarista pacifista turca perseguitata da 14 anni dallo Stato turco, in seguito a una ricerca sociologica da lei condotta nel 1996 sulle condizioni del conflitto armato tra la Turchia e il Kurdistan e le possibilità di soluzione. Nonostante varie assoluzioni, lo Stato turco ha riaperto il suo caso per l’ennesima volta e il 24 gennaio 2013 la 12° Corte penale di Istanbul dovrà pronunciarsi sulla richiesta di 36 anni di carcere.
In tutti questi anni Pinar non ha mai smesso di lottare, non è mai rimasta in silenzio, non si è richiusa in casa, e per questo viene perseguitata.
La sua lotta è la lotta di tutte noi, la sua libertà è la nostra libertà! Con la nostra solidarietà possiamo impedire questa condanna! ll loro accanimento non ha limiti. Neanche la nostra solidarietà. Nella sua lotta per la libertà, Pinar Selek non è sola!
Saremo presenti al processo insieme alle delegazioni francese e tedesca.
Invitiamo tutte e tutti a sottoscrivere questo appello e a diffonderlo.
Scriveteci a solidarietapinarselek@autistici.org

La storia di Pinar, narrata dal collettivo turco Amargi (in inglese).

In english below… Continua a leggere

Lettere dal carcere

Ci sono momenti in cui arriva il sole, attraversa le sbarre, filtra dal
vetro, attraversa la bottiglia che hai sul tavolo, si allunga in stralci
sul tavolo, ti scalda un po’ l’orecchio.

Ci sono momenti in cui di notte guardi il soffitto, ascolti il silenzio,
senti il rumore del vuoto del corridoio, ascolti il sibilo di una porta
chiusa.

Ci sono momenti in cui ti siedi a fumare una sigaretta all’aperto e
guardi il cielo e pensi che se credessi in Dio lo ringrazieresti di
poter godere di tanta bellezza anche da qui.

Ci sono momenti in cui cammini per i corridoi e pensi che non ti
usciranno più dai polmoni.

Ci sono momenti, tanti momenti, in cui il tuo corpo è fermo e la tua
mente ti sta immaginando mentre distruggi tutto quello che ti capita tra
le mani.

Ci sono momenti in cui pagheresti oro per una bella birra fresca.

Ci sono momenti in cui ti arriva, da non sai bene dove, un odore di
terra, di foglie, di autunno e ti ricordi.

Ci sono momenti in cui il sole del cielo d’autunno ti fa ripensare alle
montagne e al fiato dei tuoi cani.

Ci sono momenti in cui finalmente tutte le parole vuote scompaiono,
tutte le maschere cadono.

Ci sono momenti in cui cadono tutte quelle degli altri senza che loro lo
sappiano.

Ci sono momenti in cui ti accorgi che questo posto ti ha cambiato e
altri in cui pensi di essere sempre la stessa; e ti scopri e ti riscopri.

Ci sono momenti in cui riconosci l’ora della giornata dal rumore che
senti nei corridoi e ti accorgi che sta diventando normale.

Ci sono momenti in cui di notte ti svegli di soprassalto perché una luce
ti spia il sonno.

Ci sono momenti in cui vedi una madre piangere perché non può fare la
cosa più naturale su questa terra: stare con i suoi figli.

Ci sono momenti in cui piangi per il pianto di quella madre, per gli
abbracci negati, per i rapporti mutilati, perché pensi che per tanto
dolore nessuno pagherà mai.

Ci sono momenti in cui pensi che potresti guardare per ore il viso delle
compagne che sono con te, perché sai che è solo per quegli occhi che
non hai mai avuto paura di questo inferno.

Ci sono momenti in cui pensi al dolore di chi viene a trovarti; alle
loro facce che, tutte le volte che se ne vanno, sbigottite, dicono “la
stiamo lasciando qui”.

Ci sono momenti in cui il sangue si gela al pensiero della libertà
perché pensi che non potrai portare fuori con te le tue compagne.

Ci sono momenti, tanti momenti, in cui una risata irrompe come un tuono,
come una cascata da un dirupo e si dipana fresca sulla pelle, sul viso,
nella testa.

Ci sono momenti in cui vedi tornare il sorriso sul volto di una compagna
e pensi di non voler altro dalla giornata.

Ci sono momenti in cui ti arriva la voce che qualcuno è uscito o evaso e
le sbarre si incrinano e il sorriso è beffardo.

Ci sono momenti, tanti, costanti, ripetuti in cui pensi ad un cumulo di
macerie, a chiavi spezzate, a divise bruciate e senti la freschezza dei
piedi nudi sull’erba e il respiro è profondo.
/
Giulia, da Informa-azione
per scriverle:/

*Giulia Marziale*
CC Rebibbia Femminile
Via Bartolo Longo 92
00156 Roma

La mia scelta viene prima

Pubblichiamo il video del Collettivo Femminista e Lesbico VengoPrima di Venezia e il loro comunicato.
Ci sentiamo di avvisare che il contenuto potrebbe creare disagio se si sta per effettuare un’Ivg, Interruzione Volontaria di Gravidanza, o si è subito un trauma in seguito.
Alcune di noi infatti sono state molto scosse da questo video che racconta l’esperienza traumatica di una donna che ha scelto di ricorrere all’ivg.

Questo video è uno strumento di denuncia, di informazione e di lotta, nonché un gesto di vicinanza a chi ha vissuto esperienze simili.

É un invito a difendere con le unghie e con i denti il nostro diritto di scelta, fondamentale tappa del processo di autodeterminazione della donna.

Siamo stanche di chi condanna l’aborto senza alcun riguardo per la storia della persona. Ogni donna sa se quello che sta vivendo è il momento giusto oppure no per avere un figlio. Può non esserlo per molti motivi. Possono sorgere conflitti di coppia, ci si può non sentire “predestinate” alla maternità, si ha già il numero di figli desiderato, si è sotto il giogo della precarietà o della disoccupazione e l’assenza di un vero welfare impedisce di fare questa scelta serenamente. Oppure, si è donna single o lesbica che vorrebbe essere madre, ma in questo paese le viene impedito per l’impossibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa. Anche per questo riconosciamo in chi condanna l’aborto non un appello alla “vita”, ma una volontà “normalizzante” rispetto a cosa è o deve essere la famiglia e rispetto a cosa deve essere l’individuo: uomo o donna ed eterosessuale.

Il crescente numero di obiettori di coscienza mette a rischio la nostra possibilità di scelta. Lo stigma morale che spesso ci viene addossato da parte di certo personale nelle strutture pubbliche la rende oltremodo difficile.

Vogliamo vivere in un paese laico e rifiutiamo qualsiasi interferenza confessionale all’interno delle strutture sanitarie pubbliche. Vogliamo consultori pubblici che forniscano un’informazione corretta sulla sessualità, sulla contraccezione, sulla gestazione, sull’interruzione di gravidanza e su ogni altra questione che riguarda la nostra salute e i nostri diritti. Diritti che non sembrano mai davvero acquisiti, se ciclicamente vengono messi in discussione.

Non accettiamo il sistema patriarcale e tradizionale, propagato da stato e chiesa, che impone la famiglia eterosessuale come base della società e diffonde idee sessiste – maternità come destino naturale di ogni donna – e omofobe – impossibilità per le lesbiche di esercitare il diritto alla maternità.
Non abbiamo bisogno di guardiani della morale, vogliamo scegliere sui nostri corpi.

Sulle nostre vite sappiamo scegliere.

Collettivo femminista e lesbico VENGOPRIMA

Pestaggio a Firenze

Esprimiamo massima solidarietà nei confronti di Anna. Picchiata il 7 dicembre a Firenze, S.Croce.

Di seguito riportiamo il suo racconto e  la sua corrispondenza su Radio Onda Rossa


In data 07/12/2012, in via Ghibellina, strada centrale a senso unico molto trafficata fino a tarda notte, vicino all’incrocio con via verdi, alle h 23.00 circa, in concomitanza con l’uscita dallo spettacolo al teatro verdi (spettacolo in data unica di M. Ranieri), mi stavo avvicinando alle strisce pedonali per attraversare l’incrocio con via verdi e recarmi verso la mia abitazione molto vicina a quel punto.
Parcheggiato sul marciapiede, c’era un suv di colore scuro che impediva l’accesso al marciapiede, l’accesso alle strisce pedonali ed occupava parte delle strisce pedonali a terra. Davanti a me c’era, inoltre, una coppia di anziani anch’essi impossibilitati a camminare e ad attraversare. Di fronte all’ennesimo atto di non rispetto nei confronti di pedoni anziani o con disabilità motoria, che ogni giorno trovano ostacoli e difficoltà per muoversi per le strade della zona, ho iniziato a battere le mani sul cofano della macchina nella speranza si attivasse l’allarme, con l’intento di attirare l’attenzione del proprietario, ovviamente sconosciuto. Ho girato attorno al potente mezzo ed ho rinvenuto a terra un pezzo di plastica nero, che si è poi rivelata la targa del veicolo. In quel momento dall’altro lato del marciapiede si staccava dal flusso dei passanti un gruppo di persone che hanno attraversato e mi sono venute incontro incolpandomi del danno alla targa. Il gruppo era di una decina di persone, in maggioranza uomini ed alcune donne, sui circa 40 anni, che mi hanno subito accerchiata e picchiata, aggredita, ingiuriata, minacciata.
La zona era popolata in quel momento, ma nessuno è intervenuto in alcun modo. In seguito al mio definirli “fascisti di merda”, mi hanno controbattuto: “fascisti sì e la merda sei tu” ed hanno continuato a picchiarmi. Ho cercato di difendermi creando uno spazio fra me e loro con il mio ombrello tascabile, che è stato da loro rotto malamente.
Cercando di svincolarmi, ho attraversato la strada, mentre loro continuavano a colpirmi, per recarmi in un punto più illuminato e popolato e mi sono rifugiata nel dehors del ristorante di fronte. Lì mi sono ritrovata un uomo davanti, sui circa 60/70 anni, che era fra me e la banda, che mi ha detto: “che cazzo c’hai contro i fascisti?”.
A quel punto ho iniziato a dirigermi verso casa, molto vicina a lì, quando dopo pochi minuti mi son sentita prendere per un polso, era un carabiniere che mi ha subito detto: “tu stasera finisci in galera”. I carabinieri, chiamati dagli aggressori presumibilmente per la targa, hanno preso solo me e portata con la volante in caserma. Nel tragitto, avvertendo dei forti dolori, ho più volte chiesto di avere dell’acqua e detto che stavo male perché mi avevano picchiata in banda. I carabinieri si sono un attimo fermati, uscendo entrambi dalla macchina per prendermi dell’acqua in un bar per la strada, quando me l’hanno data avevo difficoltà a bere e reggere il bicchiere per via dei dolori e dello shock, si sono spazientiti e mi hanno portato via l’acqua e chiuso di forza la portiera, ripartendo poi per la caserma.
Arrivati mi hanno messa a sedere su una sedia e mi hanno preso i documenti, per il resto non mi hanno fatto né testimoniare né mi hanno fatto domande sui fatti, non sono stata informata sui i miei diritti e su cosa avrei potuto fare per tutelarmi, né mi hanno informata di cosa stavano facendo loro a mio discapito. Allo stesso tempo non mi hanno soccorso nonostante i vari momenti di mancamento che mi colpivano, a causa delle mie gravi condizioni fisiche.
Del gruppo di aggressori sono arrivate con mezzo proprio solo 3 donne e un ragazzo, gli altri uomini del gruppo non essendo presenti, non sono stati né nominati né identificati, né comparsi come partecipi al pestaggio. Una delle 3 passando mi ha detto: “E ora ti stai più fermina”. Dalla stanza dove le donne parlavano con i carabinieri, ho potuto sentire che uno di loro aveva giocato a calcio con il fratello di una delle 3; inoltre un carabiniere ha fatto loro una pacata paternale riguardo all’errato parcheggio che avevano fatto con il suv. L’unica cosa su cui contavo era poter utilizzare il mio ombrello fracassato dagli aggressori, come testimonianza dell’efferato pestaggio che mi avevano arrecato, ma lo stesso oggetto in realtà mi è stato sequestrato dai carabinieri e da loro indicato falsamente come lo strumento che avevo utilizzato nel danno alla targa del veicolo che mi è stato attribuito. Dopo l’ennesimo svenimento e dopo aver ripetutamente chiesto dell’acqua, continuavo ad essere deliberatamente ignorata, finché non ho detto al carabiniere: “Potrei essere tua madre”, a quel punto ho avuto l’acqua.
Come ultimo atto sono arrivati gli operatori dell’ambulanza, dove mi hanno fatto salire per portarmi in ospedale. Nel trasporto mi è stato dato ossigeno ed è stato constatato il mio stato di shock, gli operatori mi hanno chiesto se fossi “borderline” e se fossi seguito da uno psicologo. Ho detto subito che ero stata picchiata da una banda di persone.
Sono uscita con una prognosi di 30 giorni, con una frattura alla costola e ponte dentario rotto. Due giorni dopo sono tornata in ospedale poiché avvertivo forti dolori e mi hanno rilevato una frattura anche alla costola destra.

Siamo tutte No Tav!

Diffondiamo il comunicato delle compagne del Laboratorio Sguardi Sui Generis (To).
Solidali con chi lotta giorno dopo giorno.
Sempre contro la violenza dello Stato sui nostri corpi e sui nostri territori.
Siamo tutte No Tav!
Libere Tutte / Liberi Tutti

 

Questa mattina all’alba è scoppiata l’ennesima operazione di intimidazione e repressione nei confronti di quanti, da tempo, s’impegnano nella battaglia notav. 17 persone colpite personalmente da provvedimenti giudiziari. Migliaia di uomini e donne sottoposte all’ennesimo affronto, all’ennesima aggressione e violenza.

Altrettanti e altrettante danneggiati/e – forse senza neppure rendersene davvero conto – dal consolidarsi di una pratica diffusa di amministrazione giudiziaria e poliziesca delle questioni politiche.

La cronaca di questa mattina, infatti, contiene tante storie – una dentro l’altra, come le scatole cinesi. Tutte importanti, tutte fondamentali, intrecciate l’una con l’altra. In primis le storie di coloro che sono stati/e direttamente colpiti/e dai provvedimenti: biografie sulle quali oggi si appiccicano con la forza menzogne tratteggiando profili improbabili di pseudo-criminali. Biografie che si cerca di complicare, indebolire, tacitare proprio perché – troppo spesso – traboccano di energia, intelligenza e dolcezza. Biografie che raccontano una lotta popolare, capace di trapassare da una generazione all’altra, di contaminare luoghi e situazioni; capace – per certi versi – di cambiare la vita restituendole la bellezza della sua dimensione sociale. Questa, infatti, è la realtà di un blocco autostradale, di un presidio, persino di un’occupazione: sono fatti sociali – pensati, agiti e discussi da uomini e donne in carne ed ossa. E se fatti simili tecnicamente possono costituire dei reati è solo perché le istituzioni, i palazzi, la cultura politica e giuridica si scollano sempre più dai bisogni di persone in carne ed ossa. Per questo la storia di questa mattina non narra soltanto le vicende individuali di alcuni e per questo ogni accusa, persecuzione e diffamazione va rigettata in un coro di migliaia di voci.

C’è tutto il movimento no tav dentro le accuse di questa mattina. Ci sono altre lotte e altre realtà, magari anche molto lontane. Ci sono anche – forse paradossalmente – coloro che stanno ai lati dei processi sociali e che osservano più o meno criticamente. Ci siamo tutti e tutte nella storia di questa mattina perché ci racconta le modalità con cui chi sta al potere intende accogliere la nostra voglia di agire socialmente, di migliorare le nostre vite e di non accettare tutto. Parlano di noi le denunce di oggi, parlano del clima intimidatorio che respiriamo. Ma parlano di noi anche le biografie degli/delle arrestati/e: esistenze determinate e appassionate che non sono disposte a fare alcun passo indietro. Non per ostinazione, ma perché la vita – se non la si mortifica – è affare collettivo che si costruisce a partire da piccole cose, reali e concrete. Dove vivo? in quale ambiente? con quali tempi? con quali risorse? etc… Il Tav non è un treno, è la risposta a queste e altre domande, per questo ci sta a cuore.

Laboratorio Sguardi sui generis

È morto un ragazzo, riprendiamoci la lotta!

È vero: omofobia e transfobia sono una piaga sociale. Ma lo sono in quanto “sintomo” dell’eterosessismo, del razzismo, del fascismo dei corpi e dei desideri che costituiscono i pilastri delle nostre società, dell’ordine culturale e politico prodotto e riprodotto dalle chiese e incarnato dallo stato che ne sorveglia i confini. Viviamo in un sistema capitalistico finalizzato alla produzione di ricchezza economica per pochi e alla criminalizzazione di ogni altra forma di ricchezza non commercializzabile, individuale e collettiva, come il dissenso. Perché il capitalismo riconosce un solo genere di “uomo”: maschio, bianco, etero e as-soggettato alle regole sociali che ne mantengono i privilegi. Noi, invece, siamo lesbiche, femministe, froce, trans, nere, clandestine e incazzate. Oggi non siamo lacrime né fiaccole, non siamo una generica legge contro l’omofobia perché il sistema deve essere rivoltato, non “curato”.L’unica alternativa che conosciamo è la r-esistenza che nasce dall’alleanza tra soggetti eccentrici, eccedenti, che porta alla condivisione di un percorso comune di lotta e di rivendicazione. Perché noi siamo quelle non integrate e integrabili e il nostro obiettivo è dis-integrare le politiche fasciste ed escludenti di ogni stato.Siamo studentesse che vivono nelle macerie della scuola pubblica mai stata laica cercando di immaginarne un’altra; siamo clandestine rinchiuse nei CIE, senza i diritti minimi e fondamentali, colpevoli di aver cercato spazi di libertà; siamo precarie che vogliono scendere in piazza generalizzando lo sciopero ad oltranza; siamo donne senza pillola del giorno dopo, stigmatizzate se scegliamo di abortire ma con contratti in bianco che lottano per affermare un’autentica libertà sessuale; siamo trans che alla patologizzazione rispondono con l’autodeterminazione.E allora in queste ore scendiamo in piazza oltre la retorica dell’autocommiserazione e fuori dalle strumentalizzazioni. Siamo ribelli e siamo contro un sistema che ci vuole omologate e standardizzate. Scendiamo in piazza sia per ricordare D. sia per ricordare che esistiamo tutte e siamo arrabbiate; per dire che le froce rigettano la ripulita immagine gayfriendly di Israele e sono al fianco delle queer palestinesi, che si oppongono alle politiche di austerity della UE e a tutte le politiche di devastazione sociale. Più determinate che mai a difendere i nostri pantaloni rosa e i nostri dildo, per rivendicare un reddito di esistenza, il nostro diritto allo studio e alla riappropriazione dei saperi, la nostra libertà politica di manifestare.È morto un ragazzo, riprendiamoci la lotta.

 

Sommovimento spontaneo nazio-anale di singolarità e gruppi Queer

 

Cime di Queer, Laboratorio Smaschieramenti, Sguardi Suigeneris, Collettivo Femminista Le Ribellule, Slavina, Figliefemmine, Forum delle donne di Brindisi, QUEERomagna, Collettivo Tabù, AteneinRivolta (coordinamento nazionale dei collettivi)