Nessun pacchetto sicurezza sui nostri corpi!

Il decreto legge sul Femminicidio, che prevede al suo interno misure varie ed eventuali senza relazione con la violenza di genere, è stato ratificato. Noi lo respingiamo al mittente. Continuiamo a lottare contro la violenza maschile sulle donne e contro chi utilizza i nostri corpi per attivare solo politiche repressive e campagne elettorali securitarie.

Chi governa ha capito che il femminicidio è utile per acquisire consensi e in nome di presunte emergenze, dispone provvedimenti contro fasce di popolazione per loro problematiche: migranti nel caso del pacchetto sicurezza del 2008, le lotte sociali, come la NO-TAV, oggi. 

 Presentare infatti un decreto legge come “strumento per combattere la violenza sulle donne” e infilarci dentro inasprimenti di pene per la violazione dei cantieri delle cosiddette “grandi opere” significa imporre uno stato di polizia contro la popolazione utilizzando le donne come espediente. Il decreto è servito ad aumentare la presenza di forze dell’ordine senza prendere in considerazione misure non repressive, nessun riconoscimento al lavoro dei centri antiviolenza mentre aumentano gli stanziamenti per chi maltratta e stupra nelle caserme e nei C.I.E., o nel migliore dei casi risponde ad una donna “torni a casa e faccia pace con suo marito, certe cose succedono, è normale”.  

La violenza sulle donne non è un fenomeno emergenziale, ma un sistema estremamente radicato e strutturato nella società, non può essere “ridotto” a questione di ordine pubblico, ad alibi per blindare interi territori. I femminicidi non sono “eventi” imprevedibili come i terremoti, associare violenza sulle donne a catastrofi naturali in una legge è quantomeno bizzarro.

Il dl femminicidio è una legge pericolosa perché intrisa di tutti quei principi di cui si nutre la violenza di genere: la rappresentazione della donna come una persona debole, da tutelare, non in grado di autodeterminarsi. Lo stato pretende di sostituirsi a lei, la delegittima sul piano della scelta quando la costringe ad andare in tribunale per ritirare una querela. In sostanza stanno usando le lotte e le rivendicazioni del femminismo per imporre un sistema di tutela patriarcale che delegittima i percorsi di liberazione.

Le donne che decidono di uscire dalla violenza ricevono la beffa dell’ennesimo finanziamento “una tantum” destinato ai centri antiviolenza, i quali hanno più volte ribadito la necessità di risorse adeguate perché si possa uscire dai luoghi della violenza, soprattutto quelle case in formato “mulino bianco” proposte quotidianamente come brand della famiglia perfetta.

 Non saranno 10 milioni, inseriti per mascherare ben più sostanziosi finanziamenti per esercito e polizia, a cambiare la situazione se non si supportano centri antiviolenza, case di semi autonomia e sportelli antiviolenza.

 Non servono i braccialetti elettronici utili solo per arricchire le aziende che li producono: un costo pubblico abnorme per controllare che l’uomo maltrattante in questione non violi i domiciliari e rispetti i divieti di avvicinamento.  Un altro dispositivo che non è assolutamente un deterrente, le statistiche di altri paesi sono chiare, per un uomo che vuole sovradeterminare, perseguitare e dominare una donna che considera suo possesso. 

Servono investimenti programmatici per creare una rete di supporto e di accoglienza per le donne che decidono di lasciare l’uomo che le maltratta, che decidono di autodeterminarsi e di iniziare una nuova vita. 

Questo decreto legge, è solo l’ennesima dimostrazione di come lo stato ci voglia strumentalizzare, di come i partiti vogliano fare campagna elettorale sui corpi delle donne, di come una cultura sessista ci voglia meste, docili e obbedienti…noi schifiamo questo dl femminicidio!

“[Una donna] non è definita da quello che le persone le hanno fatto, e nemmeno dalle cicatrici che porta, sia letteralmente che figurativamente, o da come decide di indossare le proprie ferite” Jay su http://happyblood.tumblr.com/

#19O: un report di pancia

Condividiamo da Sopravvivere non mi basta.

Sabato 19 ottobre ero a Roma. Vi voglio raccontare la mia esperienze nell’unico modo che conosco, quello di pancia. Non ci saranno grandi riflessioni, di cui non sono capace, ma che vi consiglio di leggere/ascoltare* perché sono indispensabili per comprendere quanto importante sia ciò che sta accadendo. Mi limito a raccontarvi le mie emozioni, quello che ho provato, quello che mi porto dietro.

Ciò che mi ha spinto a partecipare a questa manifestazione è che sono una delle tante che lavora a nero e che viene sottopagata, un euro a ora è quanto mi viene concesso. Ho partecipato perché reputo giusto lottare per il diritto alla casa, per la difesa dei propri territori dalla devastazione e dalla speculazione, per un sapere libero e un reddito per tutt@.

Parto con un bus di compagn@ e quando arriviamo a Roma, non ricordo precisamente a che altezza dell’autostrada, i nostri pullman vengono fatti fermare da alcune pattuglie della polizia e scortati in una stazione di servizio. Ci fanno scendere e noi non capiamo a quale scopo. C’è chi rivendica il diritto a manifestare, chi ricorda che quel diritto ce lo siamo garantiti con la lotta, che non ci possono impedire di arrivare a Roma, che questo è terrorismo psicologico. Personalmente posso dirvi che è la prima volta che mi succede, la prima volta che vengo fermata perché voglio manifestare. Questo è un segno sul quale bisognerebbe riflettere per capire che, quando si dice che il livello di repressione sta aumentando, non si sta usando un modo di dire, ma che è vero, una realtà che fin quando non la vivi sulla tua pelle non la comprendi appieno.

Dopo un po’, forse una mezz’oretta, ci lasciano andare perché eravamo numericamente superiori a loro. Arriviamo a Roma e lì ci sono davvero tanti spezzoni, tante realtà, quella dei/lle migrant@, dei No Mous, dei No Tav, dei movimenti per la lotta alla casa, quelli di studenti/tesse e precar@ e tanto altro. Non avevo mai visto tutti questi movimenti riuniti in un’unica piazza e soprattutto in quella di San Giovanni dove è accaduto ciò che ricordiamo tutt@.

Parte il corteo e si sentono gli slogan, i discorsi dalla casse, penso che è tutto giusto, che il domani deve essere nelle nostre mani, che il futuro ce l’hanno scippano e dobbiamo riprendercelo. Si balla, si scherza, si incontrano persone che non vedevi da un po’, si scambiano chiacchiere, si progettano cose insieme. Poi arriviamo vicino al Ministero della Finanza.

Non avevo avuto notizie sugli scontri avvenuti nella prossimità della sede di Casapound, ma leggendo ho capito che la storia si ripete: i fasci scortati dai poliziotti e i/le compagn@ che ribadiscono ciò che dovrebbe esser sacrosanto, ovvero che la lotta al fascismo non si è conclusa e che noi siamo e saremo sempre antifascist@.

Davanti al Ministero vedo solo la rabbia di chi non ce la fa più e la polizia che si prepara a caricare per difende il vero violento, lo Stato. In quel momento ho paura, afferro le mani di una compagna, lo zaino di un’altra e iniziamo ad allontanarci in fretta, poi ci arrivano le urla di chi dice che stanno caricando, che bisogna scappare. Corri, corri, cerchi di non perdere le compagne, la mano di una mi sfugge, mi giro di scatto, ho paura di perderla e perdere le altre, la afferro in uno scatto furioso e raggiungiamo le altre. Ci fermiamo perché non sappiamo dove andare, quella città non la conosciamo bene.

Il tempo per capire è poco, presto veniamo raggiunge da un altro gruppo di persone in fuga che urlano “scappate caricano!”. E allora tu afferri chi puoi e scappi, e chiami a squarcia gola chi non vedi. Nessun@ dovrebbe restare indietro ma alcun@ l@ perdiamo. Partono telefonate: “Tu come stai?”, “Dove stai?”, “Io sto qui?”, “E lì che si dice?”, “Hai avuto notizie di tizi@?” ed etc..

Una compagna sta male perché soffre d’asma, ma sai che non puoi fermarti, devi scappare e arrivare ad un punto tranquillo, ma devi prima capire dov’è. Quindi provi a farle coraggio, anche se hai paura tu stessa e altre compagne ti sostengono. E’ un aiuto/collaborazione che mi ha commosso, che non so spiegarvi a parole, ma che dimostra la bellezza che c’è tra i/le compagn@.

Arrivano notizie che a Porta Pia si può andare, che la situazione è calma, ma alcune persone che incontriamo per strada ci dicono il contrario. Decidiamo di andarci lo stesso. La situazione è calma ma in un modo angosciante, almeno per me. Tutte le strade, quattro se non sbaglio, che confluiscono nella piazza sono bloccate da blindati o poliziotti schierati in assetto antisommossa.

Io non me la sento di restare ad accamparmi quindi cerco di capire come raggiungere i pullman. Se non avessi avuto l’aiuto delle compagne, che mi hanno indicato un gruppo che si dirigeva proprio dove dovevo andare io, non ci sarei riuscita. Saluto la compagna che mi indicato il gruppo, lo scambio di un sorriso veloce tra chi va e chi resta, e poi via. Mentre mi incammino, continuo a ringraziare le sorelle/amiche/compagne per non aver lasciato nessun@ indietro e per aver trovato soluzioni per tutte.

Riparto verso i pullman, verso casa. Un ringraziamento va anche ad un compagno romano che mi stava raggiungendo per aiutarmi e che io ho mollato lì, perché dovevo raggiungere il gruppo di cui parlavo sopra. Anche il suo aiuto non dimenticherò.

In questa giornata, più di tutte quelle altre che ho vissuto, ho avuto paura della violenza della polizia, della repressione che stavano organizzando, perché quello che sta accadendo gli fa paura. In questa giornata ho capito che avere paura è normale ma che se non ci fossero le compagne (parlo al femminile perché principalmente loro mi hanno aiutata) non avrei saputo gestire la situazione. Ho capito cosa significa sorellanza e le ringrazio dal profondo del mio cuore. Le ringrazio per avermi tenuto la mano mentre si correva, per avermi mantenuta mentre stavo per cadere, evitandomi di essere travolta dalla folla, per avermi tranquillizzata, per esserci state.

Le cariche fanno paura a tutt@, ma è insieme che si supera la paura. Il potere e la sua manifestazione, la sua violenza, la sua arroganza ti fanno cagare sotto, non posso negarlo, ma con loro accanto non mi sono sentita sola e ho resistito finché ho potuto.

I miei problemi con la gestione del panico non mi aiutano ma sono contenta di esserci stata, di aver manifestato quando hanno fatto l’impossibile per impedircelo, perché so che da questi giorni può uscire qualcosa che può generare il cambiamento che desidero e che so essere raggiungibile solo con la lotta, la resistenza.

Nel pacifismo non ci credo, non ci ho mai creduto. Non sono un’eroina, io mi cago sotto dalla paura, ma la violenza che subiamo ogni giorno è più forte e, se restiamo insieme, se impediamo di dividerci, possiamo farcela. E’ questo quello che ho capito ieri.

In ultima battuta, ma non perchè sia meno importante, vorrei dare la mia solidarietà ai/alle compagn@ fermat@ ieri. Si contano 14 fermi.

Come sempre liber@ tutt@. Libere Sara e Celeste!!!

Il sistema binario dei sessi è fantascienza: #intersex

Ormai quasi un mese fa su La Repubblica abbiamo letto un articolo in cui il direttore ospedaliero del San Camillo, Aldo Morrone, si vantava dell’aumento di operazioni “risolutive” su bambin* dal “sesso incerto”, grazie all’avvenuta presa di coscienza dei loro genitori sull’importanza del loro incasellamento in uno dei due generi socialmente accettabili: maschio o femmina.
Cheryl Chase, presidente dell’isna (società intersex nord america), che ha subito un’operazione di questo tipo, di fatto una cliteredectomia, ha osservato che:
    “Mentre un  maschio con un pene ‘inadeguato’ (piccolo, ma con una normale sensazione erotica) è considerato una tragedia, lo stesso individuo trasformato in femmina con sensazione genitale ridotta o assente ed una vagina artificiale è considerato normale.”
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   Nei nostri civili ospedali si compiono violenze quotidiane su bambin* intersessuali, limitandone il piacere e la possibilità di scegliere a che genere appartenere. Lorenzo Santoro ha scritto un bellissimo articolo in merito, partendo dalla propria esperienza.
   Anche noi partiamo dalla nostra esperienza: come donne ci siamo viste negare la sessualità per secoli. Biologia e medicina riconoscono almeno cinque sessi possibili: maschile, femminile, ermafrodita, merms e ferms, a seconda che si guardi ai genitali o a cromosomi e ormoni. La nostra società, riconosce solo due sessi, due ruoli: il padre padrone rappresentato dal fallo, la donna madre con l’invidia del pene e che non conosce la sua clitoride (che veniva recisa per curare l’isteria, fino a qualche decennio fa anche nella civile Europa).
   Noi riconosciamo tutte le infinite possibilità di vivere e giocare con i nostri generi, le nostre clitoridi troppo grosse, i nostri piccoli peni, le nostre protesi sessuali di qualsiasi tipo.
    Quello che speriamo è che i genitori preoccupati di come possa crescere la propria figlia intersessuale lascino a lui la possibilità di scelta e l’educhino al rispetto delle proprie esigenze fisiche e sociali, non a quelle della medicina, della scuola in cui l’iscriveranno o dei propri vicini di casa. Ricordiamo ai signori medici, invece, che ciò che promuovono come innovativo è oggetto di critica da anni da parte delle persone intersessuali e non, in quanto fortemente lesivo dei loro diritti.
    Le vostre divisioni sessuali, potete tenervele. A noi lasciateci il piacere.
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The fact that the binary sex sistem is a fiction is written in the  bodies of intersex people. 
Il fatto che il sistema binario dei sessi sia fantascienza è scritto sui  corpi delle persone intersessuali.
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Potete scaricare le immagini di cocoriot e attaccarle ovunque anche voi, sono state pensate per ri-generare i binarismi dei bagni di ogni dove:

L’omissione del corpo intersex

NEONATI DAL SESSO INCERTO E DISTURBI DELLA DIFFERENZIAZIONE SESSUALE: RENDERE RETORICI IL PENE E LA VAGINA ATTRAVERSO L’OMISSIONE DEL CORPO INTERSEX.

di Lorenzo Santoro

Ermafrodita, III sec. a.C., Museo Archeologico di Istanbul

Quello di cui sono sempre stato accusato è di voler tenere un piede in due scarpe, per il semplice motivo di aver scelto oltre il mio genere anche il mio sesso; sono cosciente di essere una persona scomoda, un soggetto che fa diventare folle uno psichiatra, fantasioso l’empirismo e irragionevole la ragione. Sono la dimostrazione vivente che si può togliere per edificare senza però rimuovere, processo questo che può avvenire solo nella piena coscienza della persona altrimenti si può parlare solo di distruzione, l’esperienza è quanto di più prezioso abbiamo e non deve essere un lusso permettersela. Sono stato riconosciuto alla nascita come maschio, sento mio questo sesso, è con questo segno che ho costruito il mio linguaggio psico-corporeo, sono uomo, sono frocio.

A 14 anni ho sviluppato il seno evento che non ha inficiato la mia identità, a 20 anni mi è stata diagnosticata la sindrome di Klinefelter 47 xxy. La letteratura medica e i metodi contenitivi della sanità pubblica che sono stati scritti, creati, applicati e testati su pazienti come me accusati di essere affetti da disturbi della differenziazione sessuale sono pratiche di annientamento della salute psichica dell’individuo, nonché di censura di quelle forme che né un neonato né un adulto può rimuovere nel profondo solo perché eliminate in superficie. Mi scuso con chi non è mai riuscito a tenere il suo fottuto piede in due scarpe, per aver fatto mia per un periodo della mia vita la parola intersex che mi ha permesso di uscire dalla catena di montaggio della creazione di corpi e menti standard, uso che è stato solo transitivo, ma che mi ha messo nella posizione di poter andare avanti per poi tornare indietro alla mia salda identità di maschio, uomo, frocio. Non sono l’unico, sono l’unico che lo dice, non è questo un atto di accusa, io stesso forse per aver frequentato troppo a lungo corridoi, panche, sale di attesa, studi e lettini di ospedali ho paura di ripercussioni che possano mettere in pericolo la mia salute, ma è proprio per questo che ho deciso di parlare, per scindere tra corpo e salute. L’iter medico che seguo, che tra l’altro previene e non cura, è ottimale per il mio benessere fisico; è l’invenzione che ci sia un nesso tra sesso e salute a mettere in pericolo la vita delle persone che si definiscono intersex o che non si definiscono in tale modo. Lungi dal mettermi nei panni di un chirurgo ho scelto di intervenire, ma non ai fini di censurare un corpo ma per portare alla luce quali sono le prassi del discorso e dell’azione che vengono compiute nei confronti di persone considerate alla nascita come incerte.Quello di cui sono sempre stato accusato è di voler tenere un piede in due scarpe, per il semplice motivo di aver scelto oltre il mio genere anche il mio sesso; sono cosciente di essere una persona scomoda, un soggetto che fa diventare folle uno psichiatra, fantasioso l’empirismo e irragionevole la ragione. Sono la dimostrazione vivente che si può togliere per edificare senza però rimuovere, processo questo che può avvenire solo nella piena coscienza della persona altrimenti si può parlare solo di distruzione, l’esperienza è quanto di più prezioso abbiamo e non deve essere un lusso permettersela. Sono stato riconosciuto alla nascita come maschio, sento mio questo sesso, è con questo segno che ho costruito il mio linguaggio psico-corporeo, sono uomo, sono frocio.

A 14 anni ho sviluppato il seno evento che non ha inficiato la mia identità, a 20 anni mi è stata diagnosticata la sindrome di Klinefelter 47 xxy. La letteratura medica e i metodi contenitivi della sanità pubblica che sono stati scritti, creati, applicati e testati su pazienti come me accusati di essere affetti da disturbi della differenziazione sessuale sono pratiche di annientamento della salute psichica dell’individuo, nonché di censura di quelle forme che né un neonato né un adulto può rimuovere nel profondo solo perché eliminate in superficie. Mi scuso con chi non è mai riuscito a tenere il suo fottuto piede in due scarpe, per aver fatto mia per un periodo della mia vita la parola intersex che mi ha permesso di uscire dalla catena di montaggio della creazione di corpi e menti standard, uso che è stato solo transitivo, ma che mi ha messo nella posizione di poter andare avanti per poi tornare indietro alla mia salda identità di maschio, uomo, frocio. Non sono l’unico, sono l’unico che lo dice, non è questo un atto di accusa, io stesso forse per aver frequentato troppo a lungo corridoi, panche, sale di attesa, studi e lettini di ospedali ho paura di ripercussioni che possano mettere in pericolo la mia salute, ma è proprio per questo che ho deciso di parlare, per scindere tra corpo e salute. L’iter medico che seguo, che tra l’altro previene e non cura, è ottimale per il mio benessere fisico; è l’invenzione che ci sia un nesso tra sesso e salute a mettere in pericolo la vita delle persone che si definiscono intersex o che non si definiscono in tale modo. Lungi dal mettermi nei panni di un chirurgo ho scelto di intervenire, ma non ai fini di censurare un corpo ma per portare alla luce quali sono le prassi del discorso e dell’azione che vengono compiute nei confronti di persone considerate alla nascita come incerte.
Quando ero bambino non mi piaceva molto anzi affatto la pasta con il sugo, che fosse con la carne, con le melanzane o finto (senza niente), comunque non mi andava giù, così mia nonna per farmi mangiare la pasta col pomodoro escogitò un metodo sublime per una piccola frocia come me: la pasta rosa. Questa pietanza che ai miei occhi appariva squisitamente eccentrica era semplicemente una pasta con meno passata e per questo aveva su per giù lo stesso colore delle big buble alla fragola. Nonna Tita aveva semplicemente cambiato le carte in tavola per farmela mandare giù senza che io me ne accorgessi e c’è riuscita, era il mio colore preferito!

Ma andiamo avanti nel tempo di 23 anni e spostiamo l’orologio indietro di 24 ore; ieri mentre mi stavo per tuffare nella mia insalata feta, cetrioli, peperoni e origano, poso lo sguardo su un articolo di la Repubblica online che titolava così: “Sesso incerto” dei bambini, al San Camillo boom di interventi: più 50 per cento in 5 anni. Sottotitolo: Un neonato su 5 mila è affetto da questo disturbo. L’operazione è risolutiva ma deve essere effettuata prima del compimento dei 6 anni. Continua a leggere

PinkCleaners – Ripulisci il tuo orgoglio dal Pink Market!

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Siamo il collettivo femminista le Ribellule di Roma, che dal 2005 si è impegnato a combattere la violenza contro le donne, ogni fascismo razzismo e sessismo, ogni limitazione dell’autodeterminazione, nei territori, in ospedali, C.I.E., carceri e camere da letto.
Per questo, prendiamo parola per denunciare il clima e lo contraddizioni politiche dei Pride in tutte le città.

Il Pride per noi ha sempre rappresentato un momento di contraddizioni: da una parte la rivendicazione della rivolta di Stonewall del 1969 e la nascita del movimento LGBTQI  e dall’altra la rappresentanza mainstream delle associazioni.

Riconosciamo le stessa radice della violenza eteronormata di quella sul corpo delle donne: si passa dagli stupri ai pacchetti sicurezza, alla repressione, alla normalizzazione, alla riduzione delle donne a soggetti deboli da mettere sotto tutela. Dall’omofobia al tentativo di integrare le soggettività lgbtqi innescando un sistema oppressivo, di neutralizzare ogni tipo di conflittualità creando l’esigenza di essere “come tutti gli altri”, quei “normali” che sgomitano e sono pronti a schiacciare chiunque per farsi togliere la libertà in cambio di un leggero riconoscimento.

Le istituzioni ti fanno sentire impotente per porsi garanti della tua esistenza, in cambio ti si richiede alienazione e produttività. Devi diventare uno strumento per annientare i suoi nemici, devi essere paladin@ della legalità sul piano interno e della civiltà su quello globale. E allo stesso modo, il mercato liberista fagocita le differenze per ridurle a merce: dalle diversità alla diversificazione del prodotto, da soggetti conflittuali a target commerciali.
Per pinkwashing e omonazionalismo qui.

Non a caso, a patrocinio del Pride nazionale di Palermo compaiono due brand: Confindustria e l’ambasciata Usa.
Questa partecipazione avviene in Sicilia, una terra che gli USA hanno devastato con basi militari, interventi economici e politici, loschi e palesi, e in un momento in cui le comunità sono ricattate sul piano della vita e del profitto.
La loro è stata una scelta politica ben precisa: mettere chi partecipa al Pride contro le lotte territoriali e viceversa.

Noi siamo femministe, lesbiche, queer e favolosità varie e stiamo con i/le NOMUOS!

In Italia, la crisi economica in corso arriva alla fine di un processo lungo vent’anni di depauperimento delle forme di vita e di ampliamento delle diseguaglianze.
Confindustria tana! La crisi siete voi.

Al Pride ha messo il bollino anche la Croce Rossa, responsabile di violenze nei confronti di chi fugge da situazioni di povertà, guerra e limitazione dei diritti umani, anche sul piano dell’orientamento sessuale!!!

Per questo abbiamo deciso di informare chi sta attraversando il Pride su quali sono i processi che si stanno verificando sui nostri corpi e di ripulire il Pride dal Pink Market che controlla i corpi e omologa i desideri e per spazzare via l’immagine gay-friendly che Confindustria, Ambasciata USA e anche la Croce Rossa utilizzano per distrarre dalle violazioni, violenze e i crimini che compiono.

Nessuna marcia sui nostri corpi, Giorgiana vive!

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Oggi, 12 maggio, il centro di Roma è stato attraversato da un corteo cittadino per ricordare Giorgiana Masi, uccisa nel 1977 dalle squadre speciali di Kossiga (allora Ministro dell’Interno).
Oggi come ieri la determinazione delle compagne e dei compagni ha sfidato il divieto della questura che ha difeso fino alla fine l’altro corteo previsto nella giornata.

Stiamo parlando della “Marcia per la vita”. Una schiera di bigotti cattolici integralisti, scortati da un servizio d’ordine fascista e difesi dal sindaco Alemanno, ha ottenuto l’agibilità politica di marciare su Roma, portando in piazza immagini macabre.
La Roma Antifascista e Antisessista, nonostante il divieto di scendere in piazza, si è autoconvocata in un corteo partito da Campo de’ Fiori. Durante il percorso abbiamo avuto modo di comunicare alla città che se il corpo delle donne diventa un campo di battaglia, noi rispondiamo guerra alla guerra.
La Ru486, l’obiezione di coscienza ma più in generale la libertà di scelta e di una sessualità consapevole sono dei punti su cui non siamo disposti a cedere, anzi: ciò che ci tolgono ce lo riprendiamo pezzo per pezzo.

Allo stesso modo risponderemo a qualsiasi attacco che vuole fare delle famiglie eterosessuali il nostro destino, condannandoci di fatto a subire violenza dentro e fuori le mura domestiche.
Il corteo ha raggiunto Ponte Garibaldi, dove Giorgiana è stata uccisa, dopo due ore di blocchi stradali.

PS: MA VOI LA CONOSCETE LA STORIA DE MARINO?!?!

A fine corteo, ci è arrivata la notizia che Ignazio Marino, candidato a Sindacodi Roma per il PD, ha dichiarato pubblicamente che la “marcia per la vita è giusta […]  io sono per la vita in ogni suo stadio”.

Non deleghiamo nessuna scelta sul nostro corpo ai poltronisti di turno, questo non significa però che non leggiamo come chiara scelta politica il silenzio in cui si è chiuso il PD in quest’ultima settimana pur di non rischiare di perdere voti dell’elettorato cattolico.

Lette le dichiarazioni inaccettabili di Marino, abbiamo deciso di chiedere conto al diretto interessato.
Nel pomeriggio un gruppo di donne ha occupato il comitato elettorale di Marino, in via Cristoforo Colombo 112. Il candidato sindaco ci ha ricevute assicurando di aver comunicato alla stampa in modo scorretto le sue opinioni in merito. Fatto sta, che almeno fino al tardo pomeriggio, il virgolettato compariva sulle principali testate giornalistiche.

Resta quindi il forte sospetto che si trattasse di becera campagna elettorale: cavalcare la marcia per la vita per non perdere voti.
Se è vero che c’è stato un errore di comunicazione con la stampa, nessun* ha chiaramente affermato che non vedremo più marciare sulle nostre strade squadristi antiabortisti, che ci sarà una distinzione chiara tra embrione e bambino, nè che ci sarà un chiaro indirizzo politico per il rispetto della legge 194/78, contro l’obiezione di coscienza.
La difesa della nostra libertà di scelta non la deleghiamo.

Ma quale marcia_ ma quale vita_siete muffa per la fica.

La Questura di Roma vieta il corteo in ricordo di Giorgiana Masi e contro il femminicidio

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Dopo 2 giorni di trattativa con la Questura di Roma, i gruppi e le associazioni di donne, i collettivi autorganizzati e liberi individui, promotori della giornata del 12 maggio in ricordo di Giorgiana Masi, contro il femminicidio e in contestazione alla “Marcia per la vita” convocata dall’oltranzismo cattolico, ricevono il divieto di manifestare in qualsiasi luogo adiacente al percorso della marcia.
Si tratta dell’ennesima dimostrazione di come l’operato delle forze dell’ordine sia asservito ai poteri del governo cittadino e allo stato del vaticano, nascondendo una marcia tutta politica sotto le vesti di manifestazione sportiva, e adducendo motivi di ordine pubblico.
Giorgiana Masi come centinaia di persone il 12 maggio del 1977 erano in strada sfidando, anche quella volta, il divieto di manifestare.
Oggi come ieri saremo nelle strade del centro di Roma, partendo da Piazza Campo de Fiori fino ad arrivare a Ponte Garibaldi.
Con o senza autorizzazioni noi costruiremo la nostra giornata.
La nostre vite sono autodeterminate e la nostra rabbia non si placa.

Slutwalk_Roma

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Sabato 6 aprile abbiamo attraversato il centro di Roma, un non-luogo  che è ormai  solo una vetrina per turisti. Con la SlutWalk, femministe, soggettività e collettivi lgbti, Queer, Cagne e favolosità varie si sono riappropriat@ delle strade da cui quotidianamente sono esclus@.
Siamo partit@ dal Teatro Valle, abbiamo fatto lo struscio al Pantheon, abbiamo inveito sotto il Parlamento e abbiamo  canzonato le boutique di via del Governo Vecchio. Poi ci siamo sciolt@ in una pomiciata collettiva a piazza Navona.

La Slutwalk di Roma è stata il punto di arrivo di un percorso e di un ragionamento sul corpo, per trovare collettivamente un modo con cui risignificarlo in senso politico.
Si è svolta all’interno del Festival “Da Mieli a Queer” perché abbiamo individuato nella normalizzazione e nell’omologazione i processi attraverso cui il controllo sociale reprime desideri e scelte.
La Slutwalk è un insieme di pratiche, per noi è stata l’occasione di intraprendere percorsi e tessere alleanze con altre soggettività che, come le donne, vengono stigmatizzate in base a scelte sessuali e attività riproduttive.
FUCK PATRIARCHY!

Il corpo, svincolato dalle imposizioni e dai condizionamenti esterni che lo rendono oggetto, diventa soggetto che rivendica bisogni e desideri all’interno di una collettività complessa; un soggetto che rivendica il diritto inalienabile di attraversare spazi pubblici e privati senza subire violenza, anche sotto forma di uno sguardo morboso.

Nella cultura in cui siamo immers@  le donne passano automaticamente da vittime di violenza ad ammaliatrici di uomini. Nella differenza delle storie ciò che rimane è il meccanismo giudicante (solo per fare alcuni esempi si potrebbe partire da “Processo per stupro” fino ai più recenti casi di violenza : Montalto di Castro, San Sepolcro, L’Aquila).

Con la SlutWalk ribaltiamo la logica della marginalizzazione con quella della rivendicazione, a partire dalla parola Puttana: la più usata per offendere le donne.
Nel nominarci Puttane abbiamo deciso di riappropriarci e gridare a squarciagola una parola che ci incolpa, spesso e volentieri, di andarci a cercare stupri e violenze con le nostre minigonne e le nostre scollature profonde.

Noi rivendichiamo il diritto di essere libere, di andare dove ci pare, baciare chi ci pare e scopare con chi ci pare.

Il Manifesto Cagna

Ecco l’ estratto di The Bitch Manifesto – Manifesto Cagna (qui in versione intera) scritto da Joreen nell’autunno del 1968 che abbiamo proposto nel workshop.

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“CAGNA è un’organizzazione che ancora non esiste. Il nome sta a significare esattamente quello che sembra.
CAGNA è formata da Cagne. Esistono molte definizioni di cagna.

Le Cagne ricercano rigorosamente la propria identità in sé stesse e in quello che fanno. Sono soggetti, non oggetti. Possono avere un rapporto con una persona o un’organizzazione, ma non ‘sposano’ mai qualcuno o qualcosa: un uomo, un palazzo o un movimento.

Come il termine “negro”, “cagna” ha la funzione sociale di isolare e screditare una categoria di persone che non si conformano ai modelli di comportamento socialmente accettati. CAGNA non usa questa parola in senso negativo. Dovrebbe essere un atto di affermazione di sé e non di negazione da parte di altri.
La caratteristica più notevole di tutte le Cagne è che violano brutalmente le comuni concezioni di comportamento sessuale appropriato. Le violano in modi diversi.
Le Cagne si rifiutano di servire, onorare e obbedire a nessuno.
Pertanto, se presa sul serio, una Cagna è una minaccia per le strutture sociali che tengono le donne schiave, e i valori sociali che giustificano il mantenimento delle donne ‘al proprio posto’. E’ la testimonianza vivente del fatto che l’oppressione della donna non deve esistere per forza, e come tale solleva dubbi sulla validità di tutto il sistema sociale. Poiché è una minaccia, non viene presa sul serio. Viene invece derubricata come ‘deviante’.
Le Cagne non sono oppresse solo in quanto donne, ma anche per non essere ‘come le donne’. Perché ha insistito per essere prima umana che femminile, di essere fedele a sé stessa prima di inchinarsi alle pressioni sociali, una Cagna cresce da outsider.
Tutte le Cagne hanno rifiutato, nella mente e nello spirito, di conformarsi all’idea che esistano dei limiti a ciò che possono essere e fare. Non hanno messo limiti alle proprie aspirazioni o alla propria condotta. Per questa resistenza sono state duramente condannate. Sono state ridotte al silenzio, snobbate, derise,chiacchierate, schernite e ostracizzate.
Una Cagna ha una mente tutta sua e vuole usarla. Vuole eccellere, essere creativa, assumersi responsabilità. Quando si scontra con l’incrollabile muro dei pregiudizi sessuali, non si conforma. Si annienterà piuttosto, a furia di scontrarsi contro quel muro, perché non può accettare il ruolo, scelto da altri per lei, di ausiliaria. Di tanto in tanto riuscirà ad aprire un varco. Utilizzerà il proprio ingegno per trovare una scappatoia, o ne creerà una.
Alcune si rendono conto che il loro dolore non deriva solo dal loro non essere conformi, ma dal loro non voler conformarsi. Da ciò deriva la consapevolezza che non ci sia nulla di particolarmente sbagliato in loro, semplicemente non possono adattarsi a questo tipo di società. Molte, infine, imparano a isolarsi da un ambiente sociale così duro. Le Cagne possono diventare così indurite e callose che le loro ultime vestigia di umanità restano sepolte nel profondo e quasi distrutte.
Alcune, al posto di callosità, sviluppano ferite aperte. Invece di sicurezza, sviluppano una malsana sensibilità al rifiuto. Apparentemente forti esteriormente, dentro sono una poltiglia sanguinolenta, scorticate dalle frustate verbali continue che hanno dovuto sopportare.
Solo con le altre Cagne una Cagna può essere veramente libera.
Le Cagne sono le meno celebrate degli eroi meno celebrati in questa società. Sono pioniere, avanguardie, punte di diamante. Sia che desiderino o meno ricoprire questo ruolo, lo realizzano essendo semplicemente sé stesse. Coloro che violano i limiti li ampliano, o causano falle nel sistema.
Cagne sono state le prime donne ad andare all’Università, le prime a rompere il soffitto di cristallo delle professioni, le prime rivoluzionarie sociali, le prime sindacaliste, le prime capaci di organizzare altre donne. Perché non erano esseri passivi e hanno agito spinte dal risentimento di essere schiacciate, hanno avuto il coraggio di fare quello che le altre donne non avrebbero fatto. Hanno subito l’artiglieria pesante e la merda che la società serve a coloro che vorrebbero cambiarla, e hanno aperto alle altre donne porte sul mondo che altrimenti sarebbero rimaste chiuse. Hanno vissuto ai margini. E da sole o con il supporto delle proprie sorelle hanno cambiato il mondo in cui viviamo.
Le Cagne sono, per definizione, esseri marginali di questa società. Non hanno un proprio posto e in ogni caso non lo occuperebbero. Sono donne, ma non ‘vere donne’. Sono esseri umani, ma non di sesso maschile.
Come alla maggior parte delle donne è stato insegnato loro ad odiare sé stesse e tutte le altre donne. Interiorizzare un’idea di sé negativa si traduce sempre in una buona dose di amarezza e risentimento. Questa rabbia è di solito o rivolta contro di sé – rendendo una persona sgradevole, o su altre donne – rafforzando perciò gli stereotipi sociali. Solo attraverso la coscienza politica la rabbia viene rivolta all’origine del problema – il sistema sociale.
Le Cagne devono formare un movimento per affrontare i problemi in maniera politica. Devono organizzare la propria liberazione così come tutte le donne devono organizzare la loro.
Dobbiamo essere forti, dobbiamo essere militanti, dobbiamo essere pericolose. Dobbiamo renderci conto che ‘Cagna è bella’ e che non abbiamo nulla da perdere. Niente di niente.”

Laboratorio sulla Slutwalk : *Pratiche Politiche E Corpi A Confronto*

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In occasione del Festival “Da Mieli A Queer”, Le Ribellule presentano…

Laboratorio sulla Slutwalk : *Pratiche Politiche E Corpi A Confronto* 

Poche e pochi conosconono la storia delle  SlutWalk. E’ stata una risposta collettiva nata il 3 aprile 2011 a Toronto, quando l’agente Michael Sanguinetti, un ufficiale della polizia locale, ha suggerito che per essere al sicuro, “le donne dovrebbero evitare di vestirsi come troie”, addossando così la colpa di stupri e violenze alle donne.
In molte città del mondo sono nate spontanteamente SlutWalk per rompere i confini del nostro agire, per riprendere la libertà dove censori violenti e moralisti vogliono toglierla.

In Italia succede lo stesso, ma fino ad oggi non c’è stata una reazione di questo tipo.

Quante volte sentiamo la frase ” te la sei cercata”? Quante volte siamo noi ad essere i/le sbagliat@?

La SlutWalk come pratica di piazza è riuscita a ribaltare i termini dell’attacco.

“Mi vesto come mi pare , bacio chi mi pare e scopo con chi mi pare”.

Insomma le piazze respiravano di puttane e il significato delle SlutWalk cresceva e si ampliava.

Oggi, in  questo spazio collettivo, vorremmo provare ad agire insieme questo discorso.

Riportarlo tra le pratiche di decostruzione e di lotta e rivendicando l’autedeterminazione sui nostri corpi e sulle nostre vite.
Risignificare il corpo in senso politico, ovvero agire con i nostri corpi per danneggiare l’opinione ben pensante, per rompere le catene del controllo sociale .

Partire da noi significa mettere in gioco i nostri desideri e le nostre paure.Riconoscersi, mescolarsi e agire collettivamente, una attenta all’altra.

Donne, lesbiche, froci, queer e favolosità varie in un esperimento dove conta il personale e il politico.

E’ questa la nostra sfida contro il potere.

Puttane united.
Adeschiamo desideri…
Riprendiamoci le strade!

Laboratorio Marcia delle Puttane.

 

PER GIORNATA DI VENERDI  5/04 @CCO Mieli

16,00 Laboratorio sulla Slutwalk : *pratiche politiche e corpi a confronto* a cura delle Ribellule – Collettivo femminista

NB: il laboratorio del venerdì avrà un numero chiuso di 25 partecipanti. Il luogo del ws sarà chiuso e protetto, per garantire la totale libertà di espressione – politica, personale, artistica – delle/i partecipanti. I posti sono pochi, quindi chi prima arriva… 😉

per iscriversi, mandare una mail a :

myslutwalk@gmail.com

PER LA GIORNATA DI SABATO 6/04 @Teatro Valle Occupato

16,30 Laboratorio sulla Slutwalk e a seguire la “Marcia delle puttane”

 per info:
Festival DaMieliAQueer
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