We have nothing to lose but our chains – 14 gennaio Libano

Manifestazione il 14 gennaio alle 12, presso il Ministero dell’Interno per migliorare la legge contro la violenza sessuale organizzata dalle libanesi, qui il blog.

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Any state that does not criminalize all forms of rape cannot be counted on

We, the women who reside in Lebanon, excuse ourselves from playing the decorative role that has been imposed on us.

We take to the streets today to say that we are aware and knowledgeable about the methodical war that state and society have waged on our bodies and our safety through their political parties and leaders.

From now on, we will not accept empty promises that are heaped upon us every time we call for our rights.

We will not give in to patience. We will not bite our wounds and postpone the battles of today to tomorrow.

Our voices will be louder than the bickering between your parties and your sporadic yet connected wars.

We call on Parliament to:

Pass the draft law for Protection from Domestic Violence as it has been written and with no delay.

2. Intensify punitive measures against rapists and those who attempt rape, amending the respective law.

3.Treat verbal harassment as physical harassment, especially in the work place, making it a crime subject to judicial penalties.

4. Deal with complaints related to sexual violence with rigor and consistency. We call on the Interior Ministry and the Municipalities to also apply those measures. The three bodies should work to make our streets and neighborhoods safe, especially during the night-time, by ensuring proper street-lighting, and permitting us to carry tools of self-defense, like taser guns and pepper spray.

We extend this invitation to all women and girls who have been exposed to rape or attempted rape or harassment in all its forms, to all so-called ‘housewives‘ that have been subjected to beating and verbal abuse, to all those employees, teachers, activists, workers and union leaders who experience sexual abuse time and time again, and to all those who feel the injustice and lack of equality.

We call on you to join us on the streets on the 14th of January 2012.

We begin the march at 12:00 PM from the Interior Ministry near the Sanayeh Garden, and move toward Parliament at Nejmeh Square.

We women no longer possess anything but solidarity with one another. We must stand shoulder to shoulder and unite. What lies before us is the last of our battles: the defense of our rights, bodies and security.

We have nothing to lose but our chains. The time is now

Ha ancora senso essere femministe?

Solo in Italia succede ogni tre giorni a una di noi (ma non sappiamo a quante sorelle migranti e prostitute succeda, perché “stranamente” non sono comprese nei dati che abbiamo). Succede grazie a un sistema che lo permette, che lo prepara con le violenze subdole e giornaliere. Oggi è successo a una compagna e una femminista, Stefania Noce, uccisa insieme al nonno da un ragazzo che non voleva accettare la decisione di lasciarlo della sua ex compagna. Ma è solo rivoltando il patriarcato gambe all’aria che non succederà più e per questo anche lei era femminista e scriveva:

“Abbiamo denunciato qualsiasi forma di “patriarcato”, le sue leggi, le sue immagini. Pensavamo di aver finito. Ma non è finita qui.

Abbiamo grandi debiti con le donne che ci hanno preceduto.

Il corpo delle donne, ad esempio, in quanto materno, è ancora alieni iuris per tutte le questioni cosiddette bioetiche (vedi ultimo referendum), che vorrebbero normarlo sulla base di una pretesa fondata sulla contrapposizione tra creatrice e creatura, come se fosse possibile garantire un ordine sensato alla generazione umana prescindendo dal desiderio materno. Di questa mostruosità giuridica sono poi antecedenti arcaici la trasmissione obbligatoria del cognome paterno, la perdurante violabilità del corpo femminile nell’immaginario e nella pratica sociale di molti uomini e, infine, quella cosa apparentemente ineffabile che è la lingua con cui parliamo, quel tradimento linguistico che ogni donna registra tutte le volte che cento donne e un ragazzo sono, per esempio, andati al mare. Tutto, molto spesso, inizia nell’educazione giovanile in cui è facile rilevare la disuguaglianza tra bambino e bambina: diversi i giochi, la partecipazione ai lavori casalinghi, le ore permesse fuori casa. Tutto viene fatto per condizionare le ragazze all’interno e i ragazzi all’esterno.

Pensiamo poi ai problemi sul lavoro e, dunque, ai datori che temono le assenze, i congedi per maternità, le malattie di figli e congiunti vari, cosicchè le donne spesso scelgono un impiego a tempo parziale, penalizzando la propria carriera.

Un altro problema, spesso dimenticato, è quello delle violenze (specie in famiglia). Malgrado i risultati ottenuti, ancora nel 2005, una donna violentata “avrà avuto le sue colpe”, “se l’è cercata” oppure non può appellarsi a nessun diritto perchè legata da vincolo matrimoniale al suo carnefice. Inoltre, la società fa passare pubblicità sessiste o che incitano allo stupro; pornografie e immagini che banalizzano le violenze alle donne.

Per non parlare di quanto il patriarcato resti ancora profondamente radicato nella sfera pubblica, nella forma stessa dello Stato.

Uno Stato si racconta attraverso le sue leggi, attraverso i suoi luoghi simbolici e di potere. Il nostro Stato racconta quasi di soli uomini e non racconta dunque la verità. Da nessuna parte viene nominata la presenza femminile come necessaria e questo, probabilmente, è l’effetto di una falsa buona idea: le donne e gli uomini sono uguali, per cui è perfettamente indifferente che a governare sia un uomo o una donna. Ecco il perchè di un’eclatante assenza delle donne nei luoghi di potere.”

(tutta la lettera su Officina Rebelde)

“Per quelle donne che non hanno ancora smesso di lottare. Per chi crede che c’è ancora altro da cambiare, che le conquiste non siano ancora sufficienti, ma le dedico soprattutto a chi NON ci crede. A quelle che si sono arrese e a quelle convinte di potersi accontentare.[…]Dobbiamo, quindi, trovare il modo di pensare a un’uguaglianza carica delle differenze dei corpi, delle culture, ma che uguaglianza sia, tenendo presente l’orizzonte dei diritti universali e valorizzandone l’altra faccia. Ricordando, ad esempio, che la famiglia non ha alcuna forza endogena e che è retta dal desiderio femminile, dal grande sforzo delle donne di organizzarla e mantenerla in vita attraverso una rete di relazioni parentali, mercenarie, amicali ancora quasi del tutto femminili; ricordando che l’autodeterminazione della sessualità e della maternità sono OVUNQUE le UNICHE vie idonee alla tutela delle relazioni familiari di fatto o di diritto che siano; ricordando che le donne sono ovviamente persone di sesso femminile prima ancora di essere mogli, madri, sorelle e quindi, che nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato, nè, tantomento, di una religione.

Sen – Stefania Noce

Occupare il Natale, occupare l’INPS

Guidati dal Santo un centinaio di precarie si è fatto strada fino alla sede dell’INPS chiedendo la comparsa della lacrimante ministra Fornero. Nel video la lettura, tra lo sconcerto e il disorientamento della dirigenza dell’istituto, della lettera indirizzata alla ministra del Lavoro e del Welfare.

Solidarietà alle FEMEN

сумнозвісний охоронців і свиней, ви будете платити дорогою нічого платити!

ACAB

Lunedi 19 dicembre, le FEMEN hanno manifestato a Minsk la capitale della Bielorussa in solidarietà ai detenuti politici bielorussi e contro il regime dittatoriale di Aleksandr Lukašenko. Nel video sotto vedete: Inna Shevchenko, Oksana Šačko, Alexander Nemchinova. Il video è stato fatto dall’operatrice delle FEMEN, Kitty Greene. Trovate le foto e i commenti sul loro blog a questa pagina.

Riportiamo di seguito un breve estratto dalla conferenza stampa che denuncia cosa è successo alle attiviste a seguito dell’azione davanti la sede dei servizi segreti bielorussi.

“Siamo state sequestrate da poliziotti e agenti del KGB in borghese presso la stazione ferroviaria di Minsk ieri alle 19. Siamo state bendate e ci hanno caricato su un furgone dai vetri oscurati. Ci hanno portato in un bosco, ci hanno fatto a spogliare e cosparse di benzina, minacciandoci di darci fuoco. Con un coltello ci hanno tagliato i capelli. Successivamente ci hanno lasciato nel bosco senza documenti. La responsabilità di ciò che è accaduto è del KGB.” […] “Vi promettiamo che ritorneremo in Bielorussia, dal popolo bielorusso, ma con molta più forza.”

INCONTRO CON LYDIA CACHO

 tratto da zeroviolenzedonne.it

Martedì 13 dicembre, abbiamo intervistato Lydia Cacho, ospite dell’Istituto Cervantes di Roma per presentare il libro “Memorias de una infamia”.

Lydia è una delle più note giornaliste investigative dell’America Latina e scrive notizie sui diritti delle donne, sulle violenze e anche sugli abusi a minori. Dal 2006 si è impegnata in prima persona nelle indagini e nella soluzione di casi irrisolti, ripetuti e numerosi, di abusi e omicidi di donne a Ciudad Juárez.

 

Le abbiamo chiesto, perché si usa il termine femminicidio?

L. Cacho: Femminicidio è il termine coniato per indicare violenza fisica, psicologica, economica e istituzionale rivolta contro la donna, attualmente utilizzato per il caso messicano di Juárez.
La parola omicidio è generale e semplicistica, la definizione di violenza contro le donne è “femminicidio” e non dobbiamo limitarci ad utilizzarlo solo per il Messico, poiché in tutto il mondo le donne sono uccise e maltrattate.

I giornali messicani come affrontano le notizie di violenza?

L. Cacho: Il tema del linguaggio è molto importante nell’ambito del giornalismo, la terminologia usata è maschile e si tende a colpevolizzare le donne quando si parla dei casi di violenza, però la battaglia di donne e di femministe sta lentamente cambiando la società e la cultura messicana.
Il femminismo italiano è molto importante, anche storicamente, le messicane e le italiane in questo momento parlano il “mismo idioma”.

Cosa significa essere una giornalista, femminista messicana?

L. Cacho: In Messico è in atto una guerra, dove le donne sono le più colpite, dal 2000 sono stati uccisi almeno 70 giornalisti mentre non è nota la sorte di altri 13, che sono stati rapiti. Io stessa sono stata sequestrata nel dicembre 2005, attualmente ricevo minacce sistematiche.
Il mio tipo di giornalismo è ostacolato e molti miei colleghi si sono trasferiti, soprattutto quelli che abitano al nord. Anche la vita delle attiviste per i diritti delle donne non è molto facile: il 3 dicembre scorso Norma Andrade, fondatrice di un’organizzazione di parenti di donne rapite o uccise a Ciudad Juárez , è stata vittima di un attentato in cui è rimasta ferita, racconta di aver dato la borsa agli aggressori che le hanno detto “non vogliamo nulla, solo te”.

Ci racconti il contesto messicano che descrivi nei tuoi libri e articoli giornalistici?

L. Cacho: Corruzione e impunità sono all’ordine del giorno e il governo messicano nasconde l’evidente, in questi giorni l’ambasciata messicana non è contenta che io sia qui… questo mi rende felice.
Le violazioni dei diritti umani attribuite alla polizia ed all’esercito e la corruzione dei dirigenti politici, frequentemente implicati nei reati di traffico di stupefacenti, costituiscono dei freni alle inchieste sugli attacchi o i crimini subiti dai giornalisti e dalle loro redazioni.
All’ultimo trimestre del 2010, l’8% degli effettivi della polizia federale messicana erano stati rinviati a giudizio per sospetti di collusione col narcotraffico. In questo contesto, le forze istituzionali, il vicino governo statunitense con anni di politiche neoliberiste e la Chiesa giocano un ruolo fondamentale.

In conclusione Lydia Cacho ribadisce di essere una “ciudadana activa” e che non concluderà mai la sua attività di scrittrice e femminista.

Gli stereotipi sulla violenza maschile sulle donne

L’immagine è di vitadiunozero.noblogs.org

Noi Ribellule abbiamo deciso di affrontare gli stereotipi che il tema della violenza porta con sé chiedendoci in primo luogo in che modo e con quali strumenti possano essere disinnescati.

La violenza è un fatto trasversale a tutta la società: non si differenzia per classi sociali, per cultura o per nazionalità…la violenza viene attuata dagli uomini e se questi sono mariti, cugini, fratelli, compagni, extracomunitari, avvocati o operai non fa differenza..

Partendo dal presupposto che la solidarietà fra donne dovrebbe essere la nostra arma e la nostra forza ci siamo chieste come smantellare quegli stereotipi che giorno dopo giorno sentiamo affermare dalle stesse donne su altre donne oltre che, ovviamente dagli uomini stessi.

Ci è sembrato innanzitutto fondamentale partire da quello che noi viviamo tutti i giorni da quelle frasi, da quei pensieri che pervadono le nostre orecchie e le nostre menti, davanti ai quali spesso ci sentiamo non solo insofferenti ma anche impotenti.

Come possiamo trasmettere alle donne, così come agli uomini, così come alla società tutta il fatto che se una donna subisce violenza questa non è in nessun modo responsabile di ciò che avviene, che non se l’è cercata che non è la sua gonna corta, o il suo essere ubriaca, o il suo non essere comprensiva che l’ha portata ad essere protagonista di un sopruso fisico, psicologico, economico che sia???

Come possiamo andare ad incentivare nelle donne tutte e in primis nelle donne che la subiscono, il tarlo della domanda: “perché a me\lei?” Facendo in modo che la risposta non sia: “era stanco”, “non sono stata attenta alle sue esigenze, dovevo essere più puntuale nel rispettare le sue richieste, alla fine si era raccomandato!”, “in fondo anche lui ha subito o è stato spettatore di violenza, all’interno del suo nucleo familiare, poverino!”, “sono stata troppo provocante\provocatoria”, “stava scherzando!”, “è solo la sua insicurezza che lo porta a comportarsi così”, “è successo oggi non succederà più”?

La donna che subisce violenza entra in un circolo vizioso in cui non soltanto spesso non si rende conto della violenza che sta subendo, ma in qualche modo tende a giustificare “l’aggressore” ad autoesaminarsi e a ritrovare in se stessa la causa del sopruso subito. Spesso, purtroppo, tutto questo viene sostenuto da persone vicine che non solo hanno difficoltà a riconoscere la violenza ma che fondamentalmente processano la donna stessa in quanto la sua presunta insicurezza o la sua presunta leggerezza nel rapportarsi a uomini sempre non adatti a lei, aggressivi, violenti, la portano a vivere situazioni “scomode”.

E si ritorna di nuovo a processare chi è l’oggetto della violenza e a giustificare il soggetto che la attua.

Senza contare che la donna subisce un doppio processo, non solo personale in quanto si considera causa stessa del’atto di violenza altrui, ma anche sociale, in quanto la società tutta la giudica e e la “criminalizza”.

Questo meccanismo di doppio processo che la donna subisce è ciò che va disinnescato: in una cultura dove l’uomo da sempre risulta essere l’individuo dominante, la colpa non può che essere additata al soggetto più “debole” e la donna “violentata” non può che fare lo stesso, avendo introiettato quel senso di subalternità che giorno dopo giorno invade le nostre vite.

E a questo punto le domande sono: “ come incentivare una società maschilista e patriarcale a disinnescare prototipi, stereotipi e pregiudizi sulla violenza maschile sulle donne?” “come costituirci noi donne come forza e strumento non solo di solidarietà ma anche di trasformazione nostra e della società tutta?”

Gender subversion! :)

Per Ogni Ragazza Stanca Di Fingersi Debole Quando Si Sente Forte, C’e’ Un Ragazzo Stanco Di Apparire Forte Quando Si Sente Vulnerabile.

Per Ogni Ragazzo Schiacciato Dalla Continua Aspettativa Di Dover Sapere Tutto, C’e’ Una Ragazza Stufa Di Quelle Persone Che Non Confidano Nella Sua Intelligenza.

Per Ogni Ragazza Stanca Di Sentirsi Chiamare  Iper-Sensibile, C’e’ Un Ragazzo Che Ha Paura Di Esprimere La Sua Gentilezza E Sensibilita’.

Per Ogni Ragazzo Costretto A Competere Per Provare La Sua Mascolinita’, C’e’ Una Ragazza Che Viene Bollata Come Maschiaccio  Perche’ Cerca La Competizione.

Per Ogni Ragazza Che Butta Via Il Suo Dolce Forno, C’e’ Un Ragazzo Che Spera Di Trovarne Uno.

Per Ogni Ragazzo Che Lotta Affinche’ Il Marketing Non Piloti I Suoi Desideri, C’e’  Una Ragazza Che Protegge La Sua  Autostima Dai Condizionamenti Dell’industria  Pubblicitaria.

Per Ogni Ragazza Che Fa’ Un Passo In Piu’ Verso La Sua Liberazione, C’e’ Un Ragazzo Che Trova La Via Della Liberta’ Un Po’ Piu’ Facile.

Adattato da un poema di Nancy R. Smith, tradotto dall’inglese all’italiano dal progetto Grafica Nera,per ulteriori grafiche puoi visitare i siti web www.crimethinc.com e pure http://graficanera.noblogs.org.

la versione originale la trovate qui!

I CENTRI ANTI VIOLENZA: CONOSCIAMOLI!

COSA SONO I CENTRI ANTI VIOLENZA??

I Centri Anti Violenza svolgono un ruolo fondamentale di sostegno e assistenza per le donne vittime di violenza.

Attraverso i racconti di alcune donne che si sono autorganizzate per portare avanti questo tipo di progetto, andremo a scoprire l’importanza del lavoro dei centri antiviolenza e le innumerevoli difficoltà che devono affrontare per nascere e sostenersi.

PARTECIPERANNO:

il CENTRO DONNA L.I.S.A.
il CENTRO DONNE DALIA
UNA STANZA TUTTA PER SE’
DONNE ROMA NORD

Un’iniziativa di THETRIS – LA SALA DA THE DELL’EX51!
Spazio Sociale Occupato EX51 – via Bacciarini, 12 (Valle Aurelia)
DOMENICA 18 DICEMBRE DALLE ORE 16.30.

VI ASPETTIAMO!