Dal “Pane e le Rose” del 1973.
Come si fa l’amore? Alcuni credono di saperlo molto bene, in genere sono uomini dal sorriso facile, che di donne “ne mettono sotto” quante ne vogliono. Altri credono di aver imparato al terzo colpo, dopo l’angoscia della prima volta, consumata, magari, con qualche ragazzina dai gusti semplici, che non destasse imbarazzo o con una tardona vogliosa carica di iniziative, ma inferiore al partner, per le tare estetiche della maturità.
Le donne a far l’amore, per definizione, non imparano mai. Imparano a subire le effusioni maschili, prima. Poi si abituano, o imparano a mentire mugulando improbabili orgasmi cinematografici. Alcune col tempo ci provano gusto, pur mantenendo una passività di fondo, quell’atavico “stare sotto” ondeggiando appena i fianchi, come un delicato congegno che regola il flusso del piacere altrui.. Altre non ci provano gusto, non imparano, non si chiedono neppure perché diavolo non ci provino gusto.
A far l’amore, però, si continua, e non certo per non estinguere la stirpe, (preoccupazione tipicamente vaticana). Non è neppure soltanto un bisogno fisiologico, comparabile in tutto alla fame e alla sete, o a una cattiva abitudine, come l’alcool. Il fatto è che fare l’amore è bello, o almeno lo sarebbe, e tutti, proprio tutti, lo intuiscono più o meno confusamente fin da piccoli. Infatti si va in giro cercandosi dalla prima infatuazione da pianerottolo fino al matrimonio.
Sarebbe bello se fosse vero, cioè se fosse l’incontro fisico, emotivo, carnale di due individui diversi e simili, fisicamente complementari. Se fosse la spartizione del piacere, condividere, nel senso più profondo del termine, un’esperienza di felicità. Si diventerebbe complici, per aver fatto l’amore insieme, come ladruncoli fortunati (succede, in alcune occasioni felici, di guardarsi, dopo, con una solidarietà nuova), allora si parlerebbe anche meglio, con meno antagonismo. Fare l’amore sarebbe ad un tempo il presupposto e la sintesi del rapporto con un uomo, del rapporto con una donna. Non lo strumento del piacere, né lo strumento attraverso cui l’uomo conquista, la donna si fa accettare ed entrambi si difendono dalla solitudine (“se non gliela do non mi sposa”, “se non la soddisfo va con un altro”). Ma non è così. Una religione vecchia di secoli ci ha insegnato che il corpo è cosa ben diversa dallo spirito.
Ci spogliamo imbarazzati. Come in un rito recuperiamo la dimensione-anima con poche parole d’amore. Intanto ci prepariamo per una battaglia in cui, tra l’altro, bisogna vincere in due. Lui vuole il suo piacere, ma vuole anche offrire una prestazione degna, da stallone. Lei ha paura. Il piacere (le hanno detto) è una cosa da uomini, come la pipa e il dopo barba. Il piacere dell’uomo è il dovere della donna, e altre piacevolezze. Se, poi, ha la disgrazia di essere una compagna con fama di emancipazione deve ostentare fantasia e partecipazione, pur senza sottrarsi al suo ruolo di subordinata. Deve starci con tutti quelli che glielo chiedono, e, in genere, sono molti, perché la fama di emancipazione è un richiamo universale per uomini pigri e amanti del quieto vivere (“A questa almeno, non devo fare la corte”). Se si fa pregare, rischia una vibrante accusa di anticomunismo (“AH allora non sei liberata…”). Se si fa l’amore uno contro l’altra, controllandosi, se ti distrai e ti metti a pensare a qualche sciocchezza come prima di addormentarti, ti vergogni. Se l’orgasmo non compie il miracolo di chiudere l’amplesso in bellezza, ti senti malata, frigida, cretino, impotente, finocchio.
L’orgasmo non è obbligatorio e neppure la penetrazione, il corpo è grande e, se non fosse addormentato dalla repressione, sarebbe tutto sensibile e quanto e, magari, chissà, anche più sensibile di quei due tirannici organi addetti al piacere (in realtà solo alla procreazione). Non è obbligatorio arrivare insieme al culmine, urlare insieme, non è obbligatorio travestire la sessualità di parole dolci, spegnere le luci, accendere il giradischi (per caso, naturalmente perché la premeditazione non è gradita alle signore). Non è obbligatorio che sia di notte, che sia sabato, che ci sia un letto. Non è obbligatorio essere sposati, fidanzati, neppure amanti. Non è obbligatorio avere gli occhi chiusi e il corpo profumato. Fare l’amore è bello, non è uno strumento per qualcos’altro che magari è bello, ma è qualcos’altro.
Si arriva a letto come due naufraghi, carichi di colpe e aspettative. A nessuno viene in mente di fare l’amore per allegria, per simpatia, per tenerezza, è sempre un ricatto, un rapporto commerciale, la clausola di un contratto, oppure un prestito, un regalo, un’offerta. La battaglia ininterrotta del corpo e dello spirito: spontaneità zero. Come si fa l’amore? Non esiste un kamasutra di sinistra, una topografia delle zone liberate (“per favore, toccami qui che è più erogeno”). E se esistesse bisognerebbe affrettarsi a distruggerlo.
L’amore bisogna proprio reiventarselo. Non basta applicare le stesse tecniche tre centimetri più in là. Ma allora come si fa l’amore? In terra? Con la luce al neon negli occhi? In tre? Chiacchierando? Camminando? Con le mani legate? Con l’uomo sotto? Senza l’uomo? Azzardiamo alcune ipotesi, sotto forma di consiglio, anche noi siamo ancora in piena sperimentazione:
a) ricordare che nel letto non ci sono il suo organo sessuale e la sua testa, e neppure due organi sessuali, ma due persone con le loro teste e i loro sessi.
b) parlare, senza pudori o mistificazioni, del fatto che si fa, si è fatto, si sta facendo l’amore. Non è “sesso e silenzio” la consegna. Il rischio è di metterci otto anni a imparare cosa piace.
c) evitare la fretta, l’intervallo delle dieci, l’armadio delle scope, le situazioni, insomma, che richiedono un eccesso di tensione. Non si può far l’amore con l’occhio all’orologio.
d) sconfiggere a tutti i costi qualsiasi dimensione agonistica, io sono più bella, lui è più bravo, io sono più imbranato, adesso ti faccio veder io quanto duro…
e) evitare la falsa naturalezza tipo scivolare sul letto felpati e casuali, slacciarsi la camicetta a dieci gradi dicendo: “Ho caldo”, ecc…
f) liberarsi il più possibile dal proprio ingombrante ego, non per donarsi come dicono i cattolici, ma perché l’amore si fa in due
Tutto questo è vago, incerto e scarsamente indicativo, ma la verità vera è che l’amore si fa bene volendosi bene. Oltre l’individualismo l’amore. Ma non si può andare in bianco fino al socialismo, allora….