regina di cuori:oltre l’indignazione rabbia e autodetrminazione

Indecorose e libere!
In questa fase di profonda crisi, politica, economica, e culturale il tema della sessualità assume
una nuova centralità. Il ruolo delle donne viene infatti strumentalizzato da dinamiche di potere e da discorsi tradizionalisti.
La direzione politica di Berlusconi è stata artefice di feroci leggi che agiscono sul corpo delle donne, vittimizzandolo e stigmatizzandolo: la 40 sulla fecondazione assistita,  l’abrogazione della legge contro le dimissioni in bianco (che permette l’esclusione delle donne dal mercato del lavoro) e l’aumento dell’età pensionabile sono solo alcuni esempi eclatanti delle politiche messe in campo dal Governo.
A questi si aggiungono i ripetuti attacchi alla legge sull’aborto; la dequalificazione e privatizzazione delle strutture sanitarie come, ad esempio, i consultori (vedi la proposta di legge Tarzia per la regione Lazio) o l’ostracismo contro la diffusione della pillola abortiva RU486.
Gli scandali degli ultimi mesi che hanno avuto al centro la condotta sessuale del presidente del Consiglio fanno emergere un quadro di relazioni torbide e corrotte, relegate ai peggiori stereotipi: espressione di un sessismo arcaico e volgare e di violenza sulle donne.
D’altra parte, gli appelli che in questi ultimi giorni hanno chiamato a manifestare si rivolgono alle donne “per bene”, madri, mogli e lavoratrici, assumendo di fatto come prospettiva la separazione tra donne rispettabili e non rispettabili. Il rischio in cui incorrono queste posizioni è di colpire e stigmatizzare indiscriminatamente chi “vende il proprio corpo”, ma non i discorsi e le pratiche sessiste responsabili di tale dinamica. Invece di opporsi realmente ad una certa idea retrograda  della sessualità, non fanno che riproporne, in modo simmetrico, i contenuti.

Invece, in questo momento di crisi del potere e dell’autorità, messa in evidenza da numerose piazze che abbiamo attraversato, abbiamo una straordinaria occasione per suscitare una rivolta delle donne. Affermiamo l’importanza di una sessualità libera e consapevole svincolata dalla mercificazione e dalle norme imposte,  in cui decisivi siano il riconoscimento dei desideri, la liberazione dagli stereotipi, e l’esercizio dell’autodeterminazione.
Ci vogliono addomesticate… NOI SAREMO INDISPONIBILI E RIBELLI!

Oltre l’indignazione rabbia e autodeterminazione!

INDECOROSE E LIBERE

In questa fase di profonda crisi, politica ed economica, il tema della sessualità assume una nuova centralità; in questo contesto il ruolo delle donne viene nuovamente determinato e strumentalizzato da dinamiche di potere e ordini discorsivi ideologici e tradizionalisti.
Sicuramente da tempo c’è bisogno di una mobilitazione di donne contro il governo e il suo premier e non di certo solo per gli scandali sessuali. Le donne italiane si collocano tra gli ultimi posti in Europa per libertà e condizioni di vita, soprattutto in un quadro in cui il governo combina l’adesione incondizionata all’integralismo cattolico con quella ai dogmi del liberalismo sfrenato.
La direzione politica di Berlusconi è stata artefice feroci leggi che agiscono sul corpo delle donne, vittimizzandolo e stigmatizzandolo: la 40 sulla fecondazione assistita, l’abrogazione della legge contro la pratica delle dimissioni in bianco, che consente il licenziamento delle lavoratrici in gravidanza, l’aumento dell’età pensionabile sono solo alcuni esempi eclatanti delle politiche messe in campo dal Governo.
A questi si aggiungono i ripetuti attacchi alla legge sull’aborto; la dequalificazione e privatizzazione delle strutture sanitarie come, ad esempio, i consultori (vedi la proposta di legge Tarzia per la regione Lazio), l’ostracismo contro la diffusione della pillola RU486. Tutto questo in un paese che disinveste completamente sui giovani e  sul futuro, tagliando i finanziamenti all’università e precarizzando selvaggiamente il lavoro. Donne e migranti sono i soggetti che subiscono le maggiori conseguenze di questo sistema politico, vedendo negate le garanzie fondamentali ad un’esistenza libera e dignitosa. Non da ultimo, l’istituzione dei CIE, veri e propri Lager, in cui le donne sono costantemente esposte alla violenza e all’arbitrio.

Gli scandali degli ultimi mesi che hanno avuto al centro la condotta sessuale del presidente del Consiglio fanno emergere un quadro di relazioni torbide e corrotte, in cui il ruolo della donna viene relegato ai peggiori sterotipi espressione di un sessismo arcaico e volgare.
D’altra parte, gli appelli che in questi ultimi giorni hanno chiamato a manifestare si rivolgono alle donne “per bene”, madri, mogli e lavoratrici, assumendo di fatto come prospettiva la separazione tra donne rispettabili e non rispettabili, invocando la difesa di una moralità univoca e astratta. Il rischio in cui incorrono queste posizioni è di colpire e stigmatizzare indiscriminatamente chi “vende il proprio corpo”, ma non i discorsi e le pratiche sessiste responsabili della dinamica complessiva. Invece di opporsi realmente ad una certa idea retrograda e tradizionale della sessualità, non fanno che riproporne, in modo simmetrico, i contenuti.
Crediamo invece che i nodi politici da rimettere al centro siano di tutt’altra natura. Centrale è la questione della redistribuzione delle ricchezze tra chi fa i profitti e chi sta pagando questa crisi,  tra chi possiede palazzi e chi non ha casa, tra chi si giova di stipendi milionari e  chi non ha un lavoro.
Ma crediamo soprattutto che sia giunto il momento che le donne prendano in prima persona parola ed esprimano la propria posizione su temi che le coinvolgono direttamente. Da tempo la sessualità delle donne  viene controllata e disciplinata, ricondotta alla mera riproduzione e all’uso del piacere maschile, in un quadro ambiguo in cui se da un lato le prostitute vengono criminalizzate ed emarginate dalla società attraverso i pacchetti sicurezza e le campagne moraliste, dall’altro, nei palazzi politici, se ne fa uso e consumo.

E’ significativo che il momento di maggiore difficoltà del governo Berlusconi sia prodotto da una questione di rapporti sociali che hanno al centro la questione di genere. Questa volta sarebbe davvero una straordinaria occasione per suscitare una rivolta delle donne, che  affermi l’importanza di una sessualità libera e consapevole svincolata dalla mercificazione e dalle norme imposte, in cui decisivi siano il riconoscimento dei desideri, la liberazione dagli stereotipi, e l’esercizio dell’autodeterminazione.

E’ con questo sentimento che attraverseremo la giornata del 13, perché pensiamo che sia imprescindibile una presa di parola pubblica e determinata da parte di tutte, per costruire un nuovo immaginario che affermi di nuovo la vera libertà delle donne.

Ci vogliono addomesticate… NOI SAREMO INDISPONIBILI E RIBELLI!

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Lo Stato stupra e si assolve…

e si consola pure col Bunga Bunga, i processi brevi e le scarcerazioni ad amiche e amici…

da Noi non siamo complici

L’ispettore capo di polizia Vittorio Addesso è stato assolto…

Ascolta su Radio Onda Rossa il commento dell’avvocato di Joy, Eugenio Losco, e di una compagna.

Riportiamo un comunicato circolato oggi immediatamente dopo la sentenza di assoluzione. Lo sottoscriviamo pienamente, ricordando che la lotta non finisce qui.

SCANDALO!

E’ terminato da poco il processo con rito abbreviato nei confronti 
dell’ispettore di PS Vittorio Addesso.

Il tribunale accogliendo la richiesta del PM LO HA ASSOLTO!!!!!!!!

Non abbiamo mai creduto e non crediamo nella giustizia dei tribunali, ma 
l’esito ci conferma che quando viene agita violenza nei confronti delle donne e 
in particolare dallo stato, lo stesso si autoassolve sempre , ribadendo 
l’immunità e l’impunità dei suoi funzionari.

Tutte le realtà che si occupano dei Cie e della violenza nei confronti delle 
donne devono attivarsi e mobilitarsi per smascherare la natura della sentenza.
La ribellione delle donne alla violenza è sempre un percorso in salita e, 
quando coinvolge le istituzioni, a violenza si aggiunge violenza.

E’ necessario continuare a lottare!!!!!

Vogliamo giustizia, prendiamo posizione accanto a Pinar Selek

Questo è un appello urgente a tutte le donne, le lesbiche, i gruppi, associazioni e reti femministe da parte di Amargi Women’s Solidarity Cooperative.

Pinar Selek, femminista, sociologa, pacifista, antimilitarista, scrittrice e tra le fondatrici di Amargi, si trova ad affrontare di nuovo il rischio di un ergastolo in un processo per cui è stata già assolta due volte.

Come l’opinione pubblica in parte conosce già, è diventata un bersaglio a causa della sua ricerca sociologica condotta nel 1996, relativa alle condizioni del conflitto armato tra la Turchia e il Kurdistan e alle possibilità di riconciliazione. Condotta in detenzione  preventiva, la ricerca le è stata sequestrata ed è stata pesantemente torturata per farle dire i nomi delle persone curde che aveva  intervistato. Siccome si è rifiutata di dare alle autorità i nomi delle sue fonti, è stata arrestata. Mentre era già in carcere, il suo nome è stato collegato ad una esplosione avvenuta nel Bazar delle spezie di Istanbul e lei è accusata di aver preso parte a questa presunta cospirazione contro il governo. Durante il processo vennero smentite e annullate le false dichiarazioni ottenute torturando Pinar. Finalmente dopo due anni e mezzo Pinar Selek viene rilasciata. Tuttavia, anche se è stata assolta per ben due volte, la 9° Camera penale della Suprema Corte ha deciso di contestare per la seconda volta la sentenza di assoluzione e ha chiesto che Pinar Selek venga giudicata di nuovo chiedendo una pesante condanna a 36 anni di reclusione. L’Assemblea Penale Generale ha respinto l’obiezione del procuratore capo e ha inviato la causa alla 12° Corte dei crimini aggravati di Istanbul, che in passato aveva dato l’assoluzione.

Il caso di Pinar Selek verrà quindi ancora una volta riesaminato, il 9 febbraio 2011, dalla 12° Corte dei crimini aggravati di Istanbul, a Besiktas.

A questo punto tutte le azioni di solidarietà con Pinar Selek sono di vitale importanza e vi chiediamo di sostenere la nostra lotta per la giustizia, attraverso:
la partecipazione personale all’udienza del 9 febbraio, o inviando un comitato di    osservazione al processo

l’organizzazione di conferenze stampa, o la scrittura di vostre dichiarazioni di sostegno politico come gruppi, organizzazioni politiche, associazioni

• la diffusione di questo appello e della campagna di informazione sul caso di Pinar Selek per renderlo visibile nel vostro paese/Stato

la firma della petizione per la campagna di sostegno a Pinar Selek – organizzato dal PEN Germania (http://www.ps-signup.de/)

Questa petizione sarà annunciata pubblicamente dal PEN Germania il giorno del   processo, in una conferenza stampa a Istanbul. Qualsiasi contributo a questa petizione fino al giorno del processo è assolutamente benvenuto.

Il caso di Pinar Selek è già diventato un simbolo della lotta per la libertà e contro tutte le ingiustizie. Avendo rapporti molto stretti con gruppi “marginalizzati” dal sistema, Pinar Selek è molto conosciuta in Turchia e all’estero per i suoi libri sulla violenza contro le donne transgender a Istanbul, sulla storia delle lotte pacifiste in Turchia e, infine, sulla costruzione della mascolinità nel contesto del servizio militare. Questo ultimo libro Sürüne Sürüne Erkek Olmak (Condurre una vita da cani: la mascolinità) è pubblicato anche in Germania con il titolo, Zum Mann gehätschelt. Zum Mann gedrillt.

Da 12 anni, molti noti intellettuali turchi e stranieri, hanno dichiarato il loro aperto sostegno a Pinar Selek partecipando anche personalmente al suo processo. PEN Germania conduce una campagna internazionale di sostegno e solidarietà che è disponibile all’indirizzo

http://www.pen-deutschland.de/htm/aktuelles/pinar-selek , aufruf.php

Per maggiori informazioni e/o per qualsiasi proposta di sostegno a Pinar Selek si prega di contattare:

solidarietapinarselek.italia@gmail.com (comitato di solidarietà con Pinar Selek, Italia)

halatanigizplatformu@gmail.com (indirizzo email per la campagna turca “sempre testimoni per Pinar”)

karinkarakasli@yahoo.com (membro della campagna di sostegno a Pınar Selek)

yaseminsevval@yahoo.com (portavoce internazionale della campagna di sostegno)

Solidaritepinarselek.france@gmail.com (comitato di solidarietà con Pinar Selek, Francia)

http://pinarselek.fr (sito francese)

http://www.pinarselek.com/public/page_item.aspx?id=829

http://www.pinarselek.com/public/destek.aspx?id=45

E’ di nuovo l’ora della solidarietà

unitevi tutte a noi!

Amargi Women’s Solidarity Cooperative/Istanbul

21 gennaio comunicato stampa: Noi prostitute, sex workers, escort

da luccioleonline

Abbiamo scelto in questi giorni di non intervenire nel circo della “mediatizzazione” del lavoro della procura milanese sulle indagini che riguardano fatti di prostituzione e concussione ascrivibili a note persone della politica, del giornalismo e dell’imprenditoria dello spettacolo. Non crediamo che sia di aiuto all’accertamento della verità  esagerare con il clamore ne a farne capire la gravità.

Oggi però ancora una volta siamo a constatare che le giovani donne sentite come persone informate sui fatti, coinvolte in modo diverso nell’inchiesta, sono usate ed esposte sui media con grave pregiudizio della loro reputazione. Alcune certamente ci stanno per farsi pubblicità  ma altre non desiderano questo tipo di popolarità e ne sono certamente ferite e umiliate.

La loro reputazione e le loro vite non saranno più le stesse, questo in futuro potrà pregiudicare il loro lavoro ed emarginarle anche socialmente.

Il primo effetto si è già visto con lo sfratto che hanno avuto quelle che abitano a via Olgettina.

Vergognosa e senza scrupoli l’indignazione dei condomini che non esitano nel buttarle in strada ma che magari non si indignano verso chi questo sistema ingiusto e corruttore di accesso al lavoro nello spettacolo lo ha messo in piedi.

Giustamente l’On. Rosy Bindi oggi si indigna per lo sfratto dato alle ragazze in nome del decoro condominiale mentre tantissimi non si preoccupano del decoro delle istituzioni. E’ auspicabile che molti altri si indignino per come si sta insultando e degradando la reputazione delle ragazze aspiranti attrici e ballerine che certamente ogni giorno devono affrontare ricatti di ogni genere per fare carriera. Perché si insultano loro invece di condannare un sistema dove per emergere devi prostituirti? Non è spesso così anche nel giornalismo per esempio? E in quanti altri settori?

Se ci fosse più onestà intellettuale si metterebbero in discussione con maggior enfasi e responsabilità la drammatica situazione dei giovani e del lavoro.

Cosa dicono i tanti sindaci che per il decoro pubblico stanno vessando le povere prostitute di strada e i loro clienti? Come è che non sentiamo le loro voci? Questi campioni di destra e di sinistra che se ne stanno nei palazzi istituzionali e si esibiscono con le fasce tricolori non pensano che sia il caso di difendere il decoro del Paese? O si muovono solo per raccattare qualche voto e qualche soldo dai più sfigati nei propri feudi?

Concita De Gregorio e le donne del PD hanno lanciato un appello a tutte le donne italiane che si sentono offese a dire BASTA, molto suggestivo, anch’io mi sento offesa come prostituta onesta, donna e cittadina. Sarebbe davvero bello che tutte le donne di ogni classe si mobilitassero e riuscissero a costringere un politico dipinto come sàtiro alla ritirata. Si mostrerebbe al mondo che in questo Paese le donne nonostante tutto contano qualcosa. Ma il loro tentativo è stato subito fagocitato dai maschi di partito i quali lo hanno trasformato in una vastissima e generale raccolta di firme. Forse temevano che le donne da sole potessero riuscirci? Perché diciamocelo sarebbe stato un successo tutto al femminile di cui poi si sarebbe dovuto tenere conto nei futuri equilibri all’interno del partito.

Ma mi chiedo, sarebbe una vera vittoria sfrattare un governo perché il premier è scivolato sulla prostituzione quando invece ci sarebbero ragioni politiche, sociali e di democrazia, e altre ben più gravi per mandare a casa alcuni di costoro.

Il lavoro sessuale  per alcune migliaia di persone che scelgono liberamente è un lavoro, è inutile negarlo, confutarlo, condannare e svilire le persone che lo praticano. Serve essere onesti e ammetterlo definendone chiaramente i contorni, i diritti e i doveri, per non lasciarlo nell’illegalità e  nelle mani della criminalità.

Pia Covre

Comitato per i Diritti delle Prostitute

Pordenone 21-01-11

24 gennaio@ple Clodio: la nostra passione contro la vostra repressione

14 dicembre: contro la crisi esplode la rabbia.

 L’unica risposta di governo e magistratura è la repressione.

 Il 14 dicembre, a Roma, la piazza era gremita di studenti, lavoratori e lavoratrici, precari e precarie, migranti, cittadini aquilani e di Terzigno e molti altri ancora, a cui il governo da anni sta facendo pagare il prezzo della crisi, negando loro qualunque prospettiva di una vita dignitosa.

Quel giorno la piazza ha manifestato in massa la sua giusta rabbia, mentre a poche centinaia di metri uno dei governi più corrotti che questo paese abbia mai avuto si assicurava la sopravvivenza attraverso la compravendita di consensi parlamentari.

Per tutta risposta le forze dell’ordine rastrellavano persone per le vie del centro di Roma, e si scatenavano le dichiarazioni forcaiole degli uomini politici di vario colore. Costoro, abbandonando per un momento le loro invettive alle “toghe rosse”, hanno invocato un vigoroso intervento della magistratura.

Quel giorno sono state arrestate 23 persone. Uno di loro, Mario, è tutt’ora in regime di arresti domiciliari nonostante sia incensurato ed accusato di reati “minori”. Un altro, benché minorenne, sarà sottoposto fino a giugno agli arresti domiciliari.

Il 23 dicembre 2010 si è tenuta la prima udienza del processo contro Mario e gli altri compagni/e arrestati\e. Il processo è stato rinviato al 24 gennaio.

 Il motivo per il quale i giudici hanno negato la libertà a Mario è la permanenza in Italia di un “clima di tensione sociale”. Per fortuna è stata almeno respinta l’assurda richiesta avanzata da Alemanno per la costituzione di parte civile del Comune di Roma, in quanto a Mario non è addossata nessuna “lesione dell’arredo urbano”.  

Ai numerosi compagni/e presenti in aula – studenti, lavoratori, amici degli imputati – l’atteggiamento dei giudici non è apparso né sereno, né imparziale , ma anzi costoro sono sembrati partecipi e schierati con il clima fazioso e colpevolista voluto dal governo all’indomani del 14 dicembre.

Ad oggi è ormai noto alla cittadinanza che gli arrestati sono stati rastrellati a caso e accusati genericamente del reato di “resistenza in concorso”.   

 Del resto, è fallito anche il tentativo di dividere i manifestanti in “buoni e cattivi” sia per la compattezza del movimento, sia perché larga parte della società ha riconosciuto alla protesta motivazioni valide e concrete: la crisi economica e sociale che il paese sta attraversando non solo mette in pericolo il nostro futuro, ma cosa ben più grave, è un attacco al nostro presente e la protesta contro tutto ciò non può essere semplicemente ignorata e repressa. 

Tenere ulteriormente agli arresti domiciliari Mario è una iniqua punizione, una pena prima della sentenza.

Inoltre si preannunciano ulteriori e numerosi provvedimenti penali nei confronti di centinaia di partecipanti alla giornata del 14 dicembre.

E’ quindi quanto mai necessario che tutti coloro che hanno animato la piazza del 14 dicembre facciano sentire la loro voce durante la prossima udienza per esprimere la loro solidarietà a Mario e a tutti e tutte gli/le arrestati/e.

 

Lunedì 24 gennaio

Ore 9:30

Presidio a Piazzale Clodio

 

La nostra passione Contro la vostra repressione

Mario libero

Tutte Liberi

   Sostegnolegale14dicembre(at)autistici.org

Ciudad Juarez

A un mese di distanza dall’assassinio di Marisela Escobado, un altro femminicidio ha insanguinato la citta di Juarez : il brutale omicidio della poeta e attivista Susana Chávez, ideatrice del progetto “Ni una muerta más”, in difesa delle donne di Ciudad Júarez.
Ciudad Juárez si trova al Nord del Messico al confine con El Paso, Stati Uniti,  è il simbolo del femminicidio, un fenomeno diffuso in tutto il Messico e il Centro America, ma qui ha assunto una frequenza e un’efferatezza senza paragoni, complice  la negligenza della polizia e delle autorità, il mancato riconoscimento del problema, talvolta una vera e propria ostilità, da parte della stampa e dell’opinione pubblica. Spesso sono le stesse forze di polizia, forti dell’ impunità loro garantita, ad abusare di donne che si trovano in loro custodia.
Le modalità con cui sono state assassinate sono raccapriccianti, quasi tutte quelle ritrovate avevano segni di stupro, crani fracassati, arti tagliati e indumenti lacerati.
Il 1993 è l’ anno in cui iniziano i femminicidi ed è anche la data dell’accordo di libero scambio (NAFTA) che ha permesso il proliferarsi  nel territorio juárense di circa un migliaio di maquiladoras, fabbriche straniere di assemblaggio che utilizzano manodopera  per la maggior parte femminile.
Le donne coinvolte sono prevalentemente povere, lavorano nelle maquiladoras per pochi soldi e vivono in bidonville.
<a href="http://www.youtube.com/watch?v=fuy0qQBx264" target="_blank">http://www.youtube.com/watch?v=fuy0qQBx264</a>

<a href="http://www.youtube.com/watch?v=UUwRov-nYjY" target="_blank">http://www.youtube.com/watch?v=UUwRov-nYjY</a>

Il nostro corpo è nostro

Di fronte al nostro corpo fatto a pezzi, ci riprendiamo il nostro corpo.

“Non l’avevo mai vista veramente. Non mi era mai venuto in mente di guardarla. La mia vagina esisteva su un piano astratto. Sembrava così riduttivo e goffo guardarla, distese sui lucidi tappetini azzurri, con i nostri specchietti in mano. Mi ha fatto pensare ai primi astronomi coi loro telescopi primitivi.

Sulle prime l’ho trovata piuttosto inquietante, la mia vagina. Come la prima volta che vedi un pesce sventrato e scopri quell’altro mondo complesso e sanguinolento all’interno, proprio sotto la pelle. Era così cruda, così rossa, così fresca. E quello che mi sorprendeva di più era la quantità di strati. Strati dentro strati, che si aprono su altri strati. La mia vagina era come un evento mistico che continua a dispiegare un altro aspetto di sé, il che è in realtà un evento in sé, ma lo capisci solo dopo.

La mia Vagina mi ha lasciato stupefatta. Non riuscivo a parlare quando è venuto il mio turno.

Ero ammutolita. Avevo aperto gli occhi su ciò che la coordinatrice del laboratorio chiamava “stupore vaginale”. Volevo solo starmene lì distesa sul mio tappetino, con le gambe aperte, a esaminare la mia vagina per sempre.

Era meglio del Grand Canyon, antica e piena di grazia. Aveva l’innocenza e la freschezza di un vero giardino all’inglese. Era buffa, molto buffa. Mi ha fatto ridere. Poteva giocare a nascondino, aprirsi e chiudersi. Era una bocca. Era il mattino. E poi, per un istante, mi è venuto in mente che eram e , la mia vagina: era chi ero io . Non era un’entità a sé. Era dentro di me.

(…)

Non dovevo trovarla . Dovevo essere. Essere la clitoride. Essere la mia vagina. Mi sono sdraiata e ho chiuso gli occhi. Ho messo giù lo specchio. Mi sono guardata galleggiare al di sopra di me stessa. Mi osservavo avvicinarmi lentamente al mio io e a rientrarvi. Mi sentivo come un astronauta che rientra nell’atmosfera terrestre. E stato molto calmo il rientro: calmo e dolce. Rimbalzavo e atterravo. Atterravo e rimbalzavo. Entravo nei miei muscoli, nel cuore e nelle cellule e poi, ecco, scivolavo dentro la vagina. Improvvisamente era tutto così facile e io ci stavo comoda. Ero calda, pulsante, pronta, giovane e viva. E poi, senza guardare, con gli occhi ancora chiusi, ho messo il dito su ciò che tutt’a un tratto era diventato me. Ho sentito un piccolo tremito dapprima, che mi ha convinto a restare. Poi il tremito è diventato un terremoto, un’eruzione, con gli strati che si dividevano e si suddividevano. Il terremoto si disperdeva in un antico orizzonte di luce e silenzio, che si apriva su una piana di musica e colori e innocenza e nostalgia, e io mi sentivo collegata, unita mentre mi dimenavo sul mio tappetino blu.

 La mia vagina è una conchiglia, un tulipano e un destino. Arrivo mentre incomincio già a partire. La mia vagina, la mia vagina, io.”

 EVE ENSLER, I monologhi della vagina

Il testo completo.

Quando tutte le donne del mondo…

da carmillaonline.com

Il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. La giornata nasce in  ricordo delle sorelle domenicane Mirabal, uccise il 25 novembre del 1960 perché  impegnate nella lotta di liberazione nella Repubblica Dominicana. La commemorazione di questa data ebbe origine al primo incontro internazionale femminista in America Latina, celebrato in Colombia nel 1980. La Repubblica Dominicana propose questa data in onore di Patria Minerva e Maria Teresa Mirabal, nel ’98 l’assemblea generale delle Nazioni Unite approvò all’unanimità il 25 novembre come “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”.

La Casa delle donne di Bologna organizza la quinta edizione del Festival La violenza illustrata (www.casadonne.it) che dal 5 al 30 di questo mese dedicherà appuntamenti tematici inerenti a questo fenomeno. Finalmente si è radicata l’idea che festeggiare questa data è un appuntamento imprescindibile, e siamo molto felici che a sostenere questo progetto non siano solo le realtà che si occupano di donne, ma anche tante associazioni operanti sul territorio nei campi più disparati.
Abbiamo cercato di coordinare le direttrici teoriche del Festival lungo l’asse di alcune tematiche, una di quelle di quest’anno è Altri femminismi, un filone che indaga la situazione della violenza di genere in paesi come il Pakistan, l’Albania, l’India, l’Iran.
Ma la violenza è affare di casa nostra come di tutte le altre nazioni, la violenza contro le donne è un fatto culturale, un portato del patriarcato, e i dati dimostrano che nulla ha a che vedere con culture tradizionali, fondamentalismi e differenze di classi sociali. La violenza contro le donne è universale, trasversale, multiforme e cambia continuamente modalità, adeguandosi alle nuove tecnologie e alle nuove forme di relazioni della nostra contemporaneità. È così strettamente collegata, complice con la svalorizzazione del femminile, che ci attraversa gli occhi tutti i giorni e non ce ne accorgiamo.
A livello mondiale la violenza contro le donne commessa dal partner, marito, fidanzato o padre è la prima causa di morte e invalidità permanente per le donne fra i 16 e 44 anni, ancora prima del cancro, degli incidenti stradali e della guerra.
La Casa delle donne per non subire violenza a partire dal 2006 raccoglie e analizza tutti i casi di donne uccise riportati dalla stampa e riconducibili alla violenza di genere.
La ricerca svolta per il 2009 dimostra che le donne uccise sono in larghissima maggioranza italiane (il 70%, 83 in numero assoluto su 119), come sono italiani gli autori di queste uccisioni (76%, 86 in cifra assoluta). Questi dati, assolutamente in difetto, perché non danno conto delle donne scomparse, delle clandestine, di tutti i casi non ancora risolti, dimostrano comunque infondata la teoria secondo cui ad agire violenza contro le donne sarebbero i migranti o persone sconosciute.
La ricerca rileva che la donna viene uccisa per mano degli uomini a lei più cari: il marito nel 36% dei casi, l’amante convivente o partner nel 18%, e nel 9% dei casi da ex (mariti, conviventi o amanti), mentre nel 13% dei casi ad ucciderla è un altro parente (padre, fratello, figlio).
Inoltre, tra le cause si ritrova maggiormente la volontà dell’autodeterminazione legata alla sfera sentimentale: quando la donna cerca di interrompere una relazione, si espone al forte rischio di essere uccisa. Il possesso sembra essere il dato preponderante che emerge da queste relazioni di potere.
Le donne non denunciano, specie quando parliamo di violenza domestica. Esistono diversi fattori, economici, culturali, legislativi che inducono le donne al silenzio. In primis la dipendenza economica dal partner o da chi esercita violenza, dalla casa in cui risiede al reddito: negli ultimi anni, per la crisi economica molte donne sono state licenziate, i contratti a termine non rinnovati. Quelle che si sono azzardate a fare un figlio sono state le prime a pagare la flessibilità crescente. Si pensi solo a tutti i contratti precari che non contemplano il pagamento della maternità. E poi vi è un profondissimo problema culturale, che fa della donna un oggetto di controllo e dominio.
La separazione, vissuta come un’umiliazione e un affronto alla propria virilità, ma anche la perdita del lavoro della donna, per esempio dopo la nascita del figlio, possono far esplodere l’aggressività prima repressa. Le scarse tutele sul posto di lavoro, la morale della famiglia, il relegare ancora oggi la donna al lavoro di cura non retribuito e non condiviso con il partner (ma soprattutto non coadiuvato dai servizi sociali, cui il lavoro femminile di fatto supplisce completamente), i media che riducono la donna a corpo sessuato atto a vendere merci di qualunque genere, cui non è permesso invecchiare, parlare, pensare, in una parola, “esistere come soggetto”: tutto ciò contribuisce ad umiliare le donne, che di conseguenza, non denunciano, perché “non credono di avere dei diritti”.
La violenza di genere è un fenomeno invisibile per molti motivi, primo perché è pochissimo denunciata, e dunque anche i dati a nostra disposizione sono parziali e molto sottostimati. Secondo, perché se ne parla poco, i media concedono poco spazio a queste tematiche, e quando se ne parla, se ne parla male, il ché dal punto di vista di chi lavora nella prevenzione del fenomeno, è un ulteriore aggravamento della situazione. I media acutizzano questa piaga riportando le notizie in modo perturbante, misogino, spettacolarizzato, necrofilo, parziale o totalmente voyeuristico. Qui non siamo nel diritto di cronaca ma in una cosciente operazione di violenza verbale, visiva, emozionale, sociale. Si scivola nel reato di “violenza assistita”: dovete pensare ai bambini che guardano il plastico della casa di una ragazzina uccisa in prima serata, una “casa di bambola” dove il reale ha lasciato il posto al surreale.
Sappiamo che la visione della violenza genera emulazione, questa responsabilità dovrebbe essere parte di una riflessione culturale sulla discriminazione di genere in senso lato. Ogni volta che in televisione o sui giornali si parla di “Amore criminale” si ratifica uno stereotipo largamente diffuso anche in strati di ascolto “sensibili” all’argomento: qui non ci troviamo di fronte al romanticismo dell’unione di eros e thanatos, ma a ciò che le studiose chiamano ormai a livello internazionale FEMICIDIO (dall’inglese Femicide) cioè “l’uccisione di una donna in quanto donna”.
Il concetto di FEMMINICIDIO indica invece il complesso di pratiche discriminatorie nei confronti delle donne, dal mobbing allo stupro, dal maltrattamento allo stalking… Ovviamente ognuna di queste discriminazioni è una violenza, in particolare anche l’imposizione di stereotipi costrittivi rivolti alle adolescenti, che incrementano un uso allarmante di ricorso alla chirurgia estetica, con conseguenti problematiche non solo medico-sanitarie ma anche psicologico-sociali.
Quello che è in gioco è la costruzione dell’identità, lavorare per una educazione di genere significa regalare la speranza di un futuro a una generazione di bambine che ci chiede di stare, oggi più che mai, “dalla loro parte”.
A chi è cresciuta senza nessun diritto oltre al dovere sociale di “apparire bella” si devono consegnare le chiavi per la decostruzione di un immaginario capovolto, un percorso difficilissimo, ma non impossibile, che altre prima di loro hanno fatto, partendo da ben peggiori costrizioni: perché “donne non si nasce, si diventa”.
In fondo, oggi che siamo al “ground zero della rivoluzione femminista”, dove tutti i diritti acquisiti sono rimessi in discussione, “grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è dunque eccellente”: le giovani donne non hanno nulla da perdere, proprio come Franca Viola (la prima donna a opporsi alla legge del matrimonio riparatore) cinquant’anni fa.
Le ultime notizie della cronaca politica/mediatica non sono confortanti, ma credo anche che non ci sia un’esplosione di questi fenomeni, questo sottobosco c’è sempre stato: è figlio della mentalità di una gerontocrazia maschile, patriarcale e clericale che governa da secoli il nostro paese (e non solo). In particolare, si pensi all’uso che del gallismo fece il fascismo, l’atteggiamento misogino degli attuali politici al governo riporta in auge questo mito creato ad uso e consumo di un imperialismo fallologocentrico, destinato a dimostrare tutta la sua “impotenza” sul reale. È un apparato spettacolarizzato propinato ad una massa onnivora, costretta a digerire qualunque nefandezza (dalla necrofilia alla pedofilia), se opportunamente reclamizzata.
Gustave Le Bon in Psicologia delle folle sosteneva che la massa è femmina e che come tale il leader deve soggiogarla, possederla: non a caso uno dei libri preferiti di Mussolini, che ne aveva applicato i dettami nella sua immagine pubblica e privata, nella doppia morale con cui faceva convivere famiglia e amante. A lui faceva eco D’Annunzio che riteneva che le parole fossero femmine, mentre le azioni fossero maschi: d’altronde Freud, analizzando il saggio di Le Bon in Psicologia delle masse e analisi dell’Io, ci dice che «il poeta creò il primo ideale dell’Io», un mito fondativo paterno in cui la massa si identifica tramite la figura dell’eroe.
Quanto consciamente oggi Berlusconi utilizzi gli strumenti dei suoi predecessori, non ci è dato saperlo: certo è che, complice la tecnologia mediatica, il suo fascino ipnotico è divenuto “inarrestabile”. Il corpo dato in pasto a questa mitizzazione è un corpo sessuato, un corpo femminile, che, alienato dalla sua soggettività, viene recluso in uno spazio totalmente immaginario: la violenza, dunque, quella sì reale, viene come attutita in questa dimensione irreale, ma proprio per questo amplificata, aggiungendo indifferenza e naturalezza ad atti ormai declinati da una sola perturbante volontà di sapere.
Cosa importa al lettore la giostra sessuale di uno stupro di massa? I dettagli anatomici di una autopsia sul cadavere di una ragazzina? Cosa aggiungono le descrizioni dei rilievi dei liquidi organici o i volti disumanizzati dei congiunti incalzati dal reality della crudeltà?
Nella fragilissima e tragica fase di una elaborazione del lutto queste persone si trovano in uno stato di persecuzione giornalistica tale da configurare contro i media un reato di stalking.
Siamo passati dalla comunicazione della violenza alla violenza della comunicazione.
Ma poiché la violenza di genere è un fatto culturale si può combattere solo con la cultura ad una educazione di genere.

Comunicato: la legge Tarzia è una violenza contro le donne

Il 25 novembre 2010 durante la giornata internazionale contro la violenza sulle donne abbiamo scelto di far sentire la nostra voce, presenza e lotta in tutti i luoghi di conflitto, le manifestazioni e i
cortei che hanno attraversato la città di Roma: dal presidio di donne davanti alla Regione Lazio, al corteo dei Movimenti Uniti contro la crisi,dalla protesta studentesca contro il DDL Gelmini al Consiglio Municipale del III Municipio dove stanno approvando una mozione a
favore della legge Tarzia e al presidio a Piazza Trilussa contro i C.I.E.
Le donne, i collettivi femministi, i comitati di donne e sindacati riuniti nell’Assemblea permanente delle donne contro la proposta di legge Tarzia hanno manifestato il 25 mattina di fronte alla Regione Lazio dove il 24 novembre è iniziata la discussione sulla proposta di
legge Tarzia sui Consultori .
Durante il nostro presidio, sono arrivati una decina di ‘provocatori non autorizzati’ appartenenti al Forum delle associazioni familiari del Lazio e, tra gli altri, l’Alleanza evangelica italiana capeggiati dalla stessa Olimpia Tarzia con cartelli a favore della proposta di legge e inneggiando alla famiglia hanno provato a disturbare la protesta ma sono stati cacciati dalla piazza.
Le donne con questo vogliono ribadire che gli antiabortisti e movimenti per la vita non sono ben accetti e non avranno alcun spazio nelle piazze, nei consultori e nelle strutture pubbliche.
Una delegazione di 15 rappresentanti delle diverse realtà presenti sotto la Regione Lazio, tra cui anche due compagne, sono entrati in Regione. Attendendo un colloquio con la presidentessa della Regione Lazio Renata Polverini.
La nostra lotta non si ferma e continuerà fino a che la Legge Tarzia non verrà definitivamente ritirata.

Collettivi femministi e donne contro la legge Tarzia.