Il nostro corpo è nostro

Di fronte al nostro corpo fatto a pezzi, ci riprendiamo il nostro corpo.

“Non l’avevo mai vista veramente. Non mi era mai venuto in mente di guardarla. La mia vagina esisteva su un piano astratto. Sembrava così riduttivo e goffo guardarla, distese sui lucidi tappetini azzurri, con i nostri specchietti in mano. Mi ha fatto pensare ai primi astronomi coi loro telescopi primitivi.

Sulle prime l’ho trovata piuttosto inquietante, la mia vagina. Come la prima volta che vedi un pesce sventrato e scopri quell’altro mondo complesso e sanguinolento all’interno, proprio sotto la pelle. Era così cruda, così rossa, così fresca. E quello che mi sorprendeva di più era la quantità di strati. Strati dentro strati, che si aprono su altri strati. La mia vagina era come un evento mistico che continua a dispiegare un altro aspetto di sé, il che è in realtà un evento in sé, ma lo capisci solo dopo.

La mia Vagina mi ha lasciato stupefatta. Non riuscivo a parlare quando è venuto il mio turno.

Ero ammutolita. Avevo aperto gli occhi su ciò che la coordinatrice del laboratorio chiamava “stupore vaginale”. Volevo solo starmene lì distesa sul mio tappetino, con le gambe aperte, a esaminare la mia vagina per sempre.

Era meglio del Grand Canyon, antica e piena di grazia. Aveva l’innocenza e la freschezza di un vero giardino all’inglese. Era buffa, molto buffa. Mi ha fatto ridere. Poteva giocare a nascondino, aprirsi e chiudersi. Era una bocca. Era il mattino. E poi, per un istante, mi è venuto in mente che eram e , la mia vagina: era chi ero io . Non era un’entità a sé. Era dentro di me.

(…)

Non dovevo trovarla . Dovevo essere. Essere la clitoride. Essere la mia vagina. Mi sono sdraiata e ho chiuso gli occhi. Ho messo giù lo specchio. Mi sono guardata galleggiare al di sopra di me stessa. Mi osservavo avvicinarmi lentamente al mio io e a rientrarvi. Mi sentivo come un astronauta che rientra nell’atmosfera terrestre. E stato molto calmo il rientro: calmo e dolce. Rimbalzavo e atterravo. Atterravo e rimbalzavo. Entravo nei miei muscoli, nel cuore e nelle cellule e poi, ecco, scivolavo dentro la vagina. Improvvisamente era tutto così facile e io ci stavo comoda. Ero calda, pulsante, pronta, giovane e viva. E poi, senza guardare, con gli occhi ancora chiusi, ho messo il dito su ciò che tutt’a un tratto era diventato me. Ho sentito un piccolo tremito dapprima, che mi ha convinto a restare. Poi il tremito è diventato un terremoto, un’eruzione, con gli strati che si dividevano e si suddividevano. Il terremoto si disperdeva in un antico orizzonte di luce e silenzio, che si apriva su una piana di musica e colori e innocenza e nostalgia, e io mi sentivo collegata, unita mentre mi dimenavo sul mio tappetino blu.

 La mia vagina è una conchiglia, un tulipano e un destino. Arrivo mentre incomincio già a partire. La mia vagina, la mia vagina, io.”

 EVE ENSLER, I monologhi della vagina

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