14N e scioperi (anche) della cura

Sciopero generale del 14 Novembre 2012, Madrid. Riprese nel percorso della manifestazione (spezzone 15M) e dal sit in presso l’ospedale La Princesa.

Un appunto sulla traduzione: quando si parla di comunità di Madrid ci si riferisce alla comunità autonoma della città; la traduzione di despedidxs come cassa integrat* è sbagliata (piuttosto sono le persone licenziate).

Ci siamo rotte le ovaie dei tagli sociali.

I tagli di oggi sono il fascismo di domani.

 

La mia scelta viene prima

Pubblichiamo il video del Collettivo Femminista e Lesbico VengoPrima di Venezia e il loro comunicato.
Ci sentiamo di avvisare che il contenuto potrebbe creare disagio se si sta per effettuare un’Ivg, Interruzione Volontaria di Gravidanza, o si è subito un trauma in seguito.
Alcune di noi infatti sono state molto scosse da questo video che racconta l’esperienza traumatica di una donna che ha scelto di ricorrere all’ivg.

Questo video è uno strumento di denuncia, di informazione e di lotta, nonché un gesto di vicinanza a chi ha vissuto esperienze simili.

É un invito a difendere con le unghie e con i denti il nostro diritto di scelta, fondamentale tappa del processo di autodeterminazione della donna.

Siamo stanche di chi condanna l’aborto senza alcun riguardo per la storia della persona. Ogni donna sa se quello che sta vivendo è il momento giusto oppure no per avere un figlio. Può non esserlo per molti motivi. Possono sorgere conflitti di coppia, ci si può non sentire “predestinate” alla maternità, si ha già il numero di figli desiderato, si è sotto il giogo della precarietà o della disoccupazione e l’assenza di un vero welfare impedisce di fare questa scelta serenamente. Oppure, si è donna single o lesbica che vorrebbe essere madre, ma in questo paese le viene impedito per l’impossibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa. Anche per questo riconosciamo in chi condanna l’aborto non un appello alla “vita”, ma una volontà “normalizzante” rispetto a cosa è o deve essere la famiglia e rispetto a cosa deve essere l’individuo: uomo o donna ed eterosessuale.

Il crescente numero di obiettori di coscienza mette a rischio la nostra possibilità di scelta. Lo stigma morale che spesso ci viene addossato da parte di certo personale nelle strutture pubbliche la rende oltremodo difficile.

Vogliamo vivere in un paese laico e rifiutiamo qualsiasi interferenza confessionale all’interno delle strutture sanitarie pubbliche. Vogliamo consultori pubblici che forniscano un’informazione corretta sulla sessualità, sulla contraccezione, sulla gestazione, sull’interruzione di gravidanza e su ogni altra questione che riguarda la nostra salute e i nostri diritti. Diritti che non sembrano mai davvero acquisiti, se ciclicamente vengono messi in discussione.

Non accettiamo il sistema patriarcale e tradizionale, propagato da stato e chiesa, che impone la famiglia eterosessuale come base della società e diffonde idee sessiste – maternità come destino naturale di ogni donna – e omofobe – impossibilità per le lesbiche di esercitare il diritto alla maternità.
Non abbiamo bisogno di guardiani della morale, vogliamo scegliere sui nostri corpi.

Sulle nostre vite sappiamo scegliere.

Collettivo femminista e lesbico VENGOPRIMA

Pestaggio a Firenze

Esprimiamo massima solidarietà nei confronti di Anna. Picchiata il 7 dicembre a Firenze, S.Croce.

Di seguito riportiamo il suo racconto e  la sua corrispondenza su Radio Onda Rossa


In data 07/12/2012, in via Ghibellina, strada centrale a senso unico molto trafficata fino a tarda notte, vicino all’incrocio con via verdi, alle h 23.00 circa, in concomitanza con l’uscita dallo spettacolo al teatro verdi (spettacolo in data unica di M. Ranieri), mi stavo avvicinando alle strisce pedonali per attraversare l’incrocio con via verdi e recarmi verso la mia abitazione molto vicina a quel punto.
Parcheggiato sul marciapiede, c’era un suv di colore scuro che impediva l’accesso al marciapiede, l’accesso alle strisce pedonali ed occupava parte delle strisce pedonali a terra. Davanti a me c’era, inoltre, una coppia di anziani anch’essi impossibilitati a camminare e ad attraversare. Di fronte all’ennesimo atto di non rispetto nei confronti di pedoni anziani o con disabilità motoria, che ogni giorno trovano ostacoli e difficoltà per muoversi per le strade della zona, ho iniziato a battere le mani sul cofano della macchina nella speranza si attivasse l’allarme, con l’intento di attirare l’attenzione del proprietario, ovviamente sconosciuto. Ho girato attorno al potente mezzo ed ho rinvenuto a terra un pezzo di plastica nero, che si è poi rivelata la targa del veicolo. In quel momento dall’altro lato del marciapiede si staccava dal flusso dei passanti un gruppo di persone che hanno attraversato e mi sono venute incontro incolpandomi del danno alla targa. Il gruppo era di una decina di persone, in maggioranza uomini ed alcune donne, sui circa 40 anni, che mi hanno subito accerchiata e picchiata, aggredita, ingiuriata, minacciata.
La zona era popolata in quel momento, ma nessuno è intervenuto in alcun modo. In seguito al mio definirli “fascisti di merda”, mi hanno controbattuto: “fascisti sì e la merda sei tu” ed hanno continuato a picchiarmi. Ho cercato di difendermi creando uno spazio fra me e loro con il mio ombrello tascabile, che è stato da loro rotto malamente.
Cercando di svincolarmi, ho attraversato la strada, mentre loro continuavano a colpirmi, per recarmi in un punto più illuminato e popolato e mi sono rifugiata nel dehors del ristorante di fronte. Lì mi sono ritrovata un uomo davanti, sui circa 60/70 anni, che era fra me e la banda, che mi ha detto: “che cazzo c’hai contro i fascisti?”.
A quel punto ho iniziato a dirigermi verso casa, molto vicina a lì, quando dopo pochi minuti mi son sentita prendere per un polso, era un carabiniere che mi ha subito detto: “tu stasera finisci in galera”. I carabinieri, chiamati dagli aggressori presumibilmente per la targa, hanno preso solo me e portata con la volante in caserma. Nel tragitto, avvertendo dei forti dolori, ho più volte chiesto di avere dell’acqua e detto che stavo male perché mi avevano picchiata in banda. I carabinieri si sono un attimo fermati, uscendo entrambi dalla macchina per prendermi dell’acqua in un bar per la strada, quando me l’hanno data avevo difficoltà a bere e reggere il bicchiere per via dei dolori e dello shock, si sono spazientiti e mi hanno portato via l’acqua e chiuso di forza la portiera, ripartendo poi per la caserma.
Arrivati mi hanno messa a sedere su una sedia e mi hanno preso i documenti, per il resto non mi hanno fatto né testimoniare né mi hanno fatto domande sui fatti, non sono stata informata sui i miei diritti e su cosa avrei potuto fare per tutelarmi, né mi hanno informata di cosa stavano facendo loro a mio discapito. Allo stesso tempo non mi hanno soccorso nonostante i vari momenti di mancamento che mi colpivano, a causa delle mie gravi condizioni fisiche.
Del gruppo di aggressori sono arrivate con mezzo proprio solo 3 donne e un ragazzo, gli altri uomini del gruppo non essendo presenti, non sono stati né nominati né identificati, né comparsi come partecipi al pestaggio. Una delle 3 passando mi ha detto: “E ora ti stai più fermina”. Dalla stanza dove le donne parlavano con i carabinieri, ho potuto sentire che uno di loro aveva giocato a calcio con il fratello di una delle 3; inoltre un carabiniere ha fatto loro una pacata paternale riguardo all’errato parcheggio che avevano fatto con il suv. L’unica cosa su cui contavo era poter utilizzare il mio ombrello fracassato dagli aggressori, come testimonianza dell’efferato pestaggio che mi avevano arrecato, ma lo stesso oggetto in realtà mi è stato sequestrato dai carabinieri e da loro indicato falsamente come lo strumento che avevo utilizzato nel danno alla targa del veicolo che mi è stato attribuito. Dopo l’ennesimo svenimento e dopo aver ripetutamente chiesto dell’acqua, continuavo ad essere deliberatamente ignorata, finché non ho detto al carabiniere: “Potrei essere tua madre”, a quel punto ho avuto l’acqua.
Come ultimo atto sono arrivati gli operatori dell’ambulanza, dove mi hanno fatto salire per portarmi in ospedale. Nel trasporto mi è stato dato ossigeno ed è stato constatato il mio stato di shock, gli operatori mi hanno chiesto se fossi “borderline” e se fossi seguito da uno psicologo. Ho detto subito che ero stata picchiata da una banda di persone.
Sono uscita con una prognosi di 30 giorni, con una frattura alla costola e ponte dentario rotto. Due giorni dopo sono tornata in ospedale poiché avvertivo forti dolori e mi hanno rilevato una frattura anche alla costola destra.

Siamo tutte No Tav!

Diffondiamo il comunicato delle compagne del Laboratorio Sguardi Sui Generis (To).
Solidali con chi lotta giorno dopo giorno.
Sempre contro la violenza dello Stato sui nostri corpi e sui nostri territori.
Siamo tutte No Tav!
Libere Tutte / Liberi Tutti

 

Questa mattina all’alba è scoppiata l’ennesima operazione di intimidazione e repressione nei confronti di quanti, da tempo, s’impegnano nella battaglia notav. 17 persone colpite personalmente da provvedimenti giudiziari. Migliaia di uomini e donne sottoposte all’ennesimo affronto, all’ennesima aggressione e violenza.

Altrettanti e altrettante danneggiati/e – forse senza neppure rendersene davvero conto – dal consolidarsi di una pratica diffusa di amministrazione giudiziaria e poliziesca delle questioni politiche.

La cronaca di questa mattina, infatti, contiene tante storie – una dentro l’altra, come le scatole cinesi. Tutte importanti, tutte fondamentali, intrecciate l’una con l’altra. In primis le storie di coloro che sono stati/e direttamente colpiti/e dai provvedimenti: biografie sulle quali oggi si appiccicano con la forza menzogne tratteggiando profili improbabili di pseudo-criminali. Biografie che si cerca di complicare, indebolire, tacitare proprio perché – troppo spesso – traboccano di energia, intelligenza e dolcezza. Biografie che raccontano una lotta popolare, capace di trapassare da una generazione all’altra, di contaminare luoghi e situazioni; capace – per certi versi – di cambiare la vita restituendole la bellezza della sua dimensione sociale. Questa, infatti, è la realtà di un blocco autostradale, di un presidio, persino di un’occupazione: sono fatti sociali – pensati, agiti e discussi da uomini e donne in carne ed ossa. E se fatti simili tecnicamente possono costituire dei reati è solo perché le istituzioni, i palazzi, la cultura politica e giuridica si scollano sempre più dai bisogni di persone in carne ed ossa. Per questo la storia di questa mattina non narra soltanto le vicende individuali di alcuni e per questo ogni accusa, persecuzione e diffamazione va rigettata in un coro di migliaia di voci.

C’è tutto il movimento no tav dentro le accuse di questa mattina. Ci sono altre lotte e altre realtà, magari anche molto lontane. Ci sono anche – forse paradossalmente – coloro che stanno ai lati dei processi sociali e che osservano più o meno criticamente. Ci siamo tutti e tutte nella storia di questa mattina perché ci racconta le modalità con cui chi sta al potere intende accogliere la nostra voglia di agire socialmente, di migliorare le nostre vite e di non accettare tutto. Parlano di noi le denunce di oggi, parlano del clima intimidatorio che respiriamo. Ma parlano di noi anche le biografie degli/delle arrestati/e: esistenze determinate e appassionate che non sono disposte a fare alcun passo indietro. Non per ostinazione, ma perché la vita – se non la si mortifica – è affare collettivo che si costruisce a partire da piccole cose, reali e concrete. Dove vivo? in quale ambiente? con quali tempi? con quali risorse? etc… Il Tav non è un treno, è la risposta a queste e altre domande, per questo ci sta a cuore.

Laboratorio Sguardi sui generis

È morto un ragazzo, riprendiamoci la lotta!

È vero: omofobia e transfobia sono una piaga sociale. Ma lo sono in quanto “sintomo” dell’eterosessismo, del razzismo, del fascismo dei corpi e dei desideri che costituiscono i pilastri delle nostre società, dell’ordine culturale e politico prodotto e riprodotto dalle chiese e incarnato dallo stato che ne sorveglia i confini. Viviamo in un sistema capitalistico finalizzato alla produzione di ricchezza economica per pochi e alla criminalizzazione di ogni altra forma di ricchezza non commercializzabile, individuale e collettiva, come il dissenso. Perché il capitalismo riconosce un solo genere di “uomo”: maschio, bianco, etero e as-soggettato alle regole sociali che ne mantengono i privilegi. Noi, invece, siamo lesbiche, femministe, froce, trans, nere, clandestine e incazzate. Oggi non siamo lacrime né fiaccole, non siamo una generica legge contro l’omofobia perché il sistema deve essere rivoltato, non “curato”.L’unica alternativa che conosciamo è la r-esistenza che nasce dall’alleanza tra soggetti eccentrici, eccedenti, che porta alla condivisione di un percorso comune di lotta e di rivendicazione. Perché noi siamo quelle non integrate e integrabili e il nostro obiettivo è dis-integrare le politiche fasciste ed escludenti di ogni stato.Siamo studentesse che vivono nelle macerie della scuola pubblica mai stata laica cercando di immaginarne un’altra; siamo clandestine rinchiuse nei CIE, senza i diritti minimi e fondamentali, colpevoli di aver cercato spazi di libertà; siamo precarie che vogliono scendere in piazza generalizzando lo sciopero ad oltranza; siamo donne senza pillola del giorno dopo, stigmatizzate se scegliamo di abortire ma con contratti in bianco che lottano per affermare un’autentica libertà sessuale; siamo trans che alla patologizzazione rispondono con l’autodeterminazione.E allora in queste ore scendiamo in piazza oltre la retorica dell’autocommiserazione e fuori dalle strumentalizzazioni. Siamo ribelli e siamo contro un sistema che ci vuole omologate e standardizzate. Scendiamo in piazza sia per ricordare D. sia per ricordare che esistiamo tutte e siamo arrabbiate; per dire che le froce rigettano la ripulita immagine gayfriendly di Israele e sono al fianco delle queer palestinesi, che si oppongono alle politiche di austerity della UE e a tutte le politiche di devastazione sociale. Più determinate che mai a difendere i nostri pantaloni rosa e i nostri dildo, per rivendicare un reddito di esistenza, il nostro diritto allo studio e alla riappropriazione dei saperi, la nostra libertà politica di manifestare.È morto un ragazzo, riprendiamoci la lotta.

 

Sommovimento spontaneo nazio-anale di singolarità e gruppi Queer

 

Cime di Queer, Laboratorio Smaschieramenti, Sguardi Suigeneris, Collettivo Femminista Le Ribellule, Slavina, Figliefemmine, Forum delle donne di Brindisi, QUEERomagna, Collettivo Tabù, AteneinRivolta (coordinamento nazionale dei collettivi)

Femminicidio è

Il femminicidio è l’epilogo della violenza sistematica, esercitata dal genere maschile, allo scopo di affermare e perpetuare il suo potere.

Il contesto in cui viviamo è responsabile della percezione della violenzadi genere e degli strumenti che abbiamo a disposizione per eliminarla.

In riferimento ai media ci sentiamo di dare qualche consiglio sulla narrazione dei fatti di cronaca:

* Non chiamateci gentil sesso.

Questo produce l’aspettativa che dobbiamo subire in silenzio, e la punizione in caso contrario.

* Non fate sciacallagio con le nostre immagini da ragazze acqua e sapone.

Non azzardatevi a considerare la nostra morte in relazione al nostro aspetto fisico.

* Non fingete che sia strano ed eclatante quello che è successo.

Succede tutti i giorni e per le stesse identiche ragioni ovunque nel mondo, provate a farvi domande su questo piuttosto che su chi frequentavamo.

* Non fate riferimenti ambigui all’ora in cui tornavamo a casa e a come eravamo vestite.

La responsabilità degli atti di violenza è di chi la compie, sempre e comunque.

* Non date per scontato che è successo perché siamo puttane.

Essere stuprate, picchiate e uccise non fa parte del nostro lavoro.

* Non sforzatevi a cercare particolari interessanti nelle nostre vite.

La violenza che subiamo è dovuta al fatto che siamo donne, è trasversale e si palesa negli stessi modi, a prescindere dai gusti personali.

* Non nominateci al maschile se abbiamo scelto di essere donne.

Decidiamo noi cosa essere, siamo persone e transessuali, ignorandolo ci fate violenza.

* Non stupitevi e non colpevolizzateci se reagiamo.

Abbiamo diritto a difenderci. Quando capita, raramente, che siamo noi ad avere la meglio non abbiamo fatto altro che tutelarci.

* Non pensate che non l’abbiamo detto prima perché abbiamo una parte di colpa.

Ci vergogniamo di quello che succede nelle nostre sacre famiglie,pensiamo che non ci crederete, abbiamo paura delle ripercussioni, non pensiamo di cavarcela contro un uomo di potere.

* Non associate l’ amore alla violenza sul nostro corpo.

L’amore è un’altra cosa.

* Non parlate di raptus, inspiegabile follia, deliri vari.

Chi ci fa del male sa di farlo e lo fa sistematicamente.

* Non sentitevi in dovere di precisare che chi ci fa violenza beve e si droga.

Un uomo non stupra, picchia, uccide solo perché è fatto o ubriaco.

* Non rimarcate il fatto che lui non è d’italica stirpe.

Non ci cambia niente, lui è un uomo violento. Non vogliamo essere strumentalizzate per campagne razziste.

Parlate dei centri antiviolenza di dove stanno e di quello che fanno. Raccontate ciò con cui devono scontrarsi pur di portare avanti questo impegno(non ultimo la mancanza di fondi e di spazi).

Raccontate delle donne che si autorganizzano per aiutare altre donne ad uscire dal “vortice della violenza”.

#nonsonounmediacomplice #25N

Sciopero, sciopero, generale, contro l’austerity eteropatriarcale!

 
Puttane, trans, gigolò, intersex, lesbiche, bis, froci e  altre deviate, ci dichiariamo in sciopero. Questo 14 di novembre non esercitiamo: non lavoriamo, non consumiamo, non vi sopportiamo.
Questa mattina, al risveglio, non ci cercare. Non ti faremo una puntura, non spazzeremo le tue strade, non baderemo al tuo bebé, non alzeremo un mattone, non assisteremo alle tue lezioni e non ti serviremo un caffè corretto.
Occuperemo la strada contro i bilanci della vergogna, contro i tagli alla sanità e all’educazione, in difesa delle contrattazioni collettive, contro i licenziamenti a basso costo, contro la privatizzazione del servizio pubblico e l’aumento brutale dei privilegi dell’imprenditoria per  peggiorare coscientemente le nostre condizioni di lavoro. Non accetteremo le loro minacce nèi  loro ricatti. Noi rifiutiamo che continuino a degradare senza limiti le nostre condizioni di lavoro e vita.
Porgiamo la spalla per molte cose, per noi stess*, però non per mantenere la festa senza fine di quell* di sempre. Non manterremo speculatori immobiliari, banchieri, mafiosi internazionali che accorrono come avvoltoi alla chiamata della miseria, né a una classe politica corrotta, cinica, ipocrita che ci condanna a uno stato di crisi permanente sottomessa ai dettami del mercato e del neoliberalismo. Non paghiamo i vostri debiti.
Questo 14, come sempre e più che mai, continuiamo la lotta. Le più precarie del precariato non retrocediamo, non ci facciamo intimidire, non abbiamo paura.

I TAGLI SOCIALI SONO ETEROPATRIARCALI

da Asamblea Transmaricabollo

Report – Laboratorio My Slut Walk @FeministBlogCamp2012

 

L’obiettivo del workshop che abbiamo proposto era interrogarsi collettivamente sul proprio corpo come simbolo, veicolo di contenuti,  strumento di lotta e autodeterminazione.

Siamo partite dalle “Slut Walk” che, da Toronto (3 aprile 2011),  sono diventate un fenomeno internazionale.

Ci siamo chieste quale sarebbe stata la Slut Walk che avremmo voluto costruire e ci siamo dette che il punto non era se e come sfoggiare i requisiti della “femminilità” , visto che la libertà di camminare svestite può non rappresentare per tutte la libertà tout court.

Il nodo gordiano ci è sembrato piuttosto ciò che ci impongono a livello di vestiario  e comportamenti (educati, remissivi…), cosa introiettiamo senza averne coscienza, cosa ci frustra perché vorremmo fare diversamente ma alla fine per quieto vivere, abitudine, paura, vergogna non facciamo.

Abbiamo pensato ad un laboratorio pratico-teorico per elaborare insieme ad altre queste tematiche e  provare a liberarci, forti di una collettività che aspira all’autodeterminazione e lo fa attraverso il conflitto, delle inibizioni che non vorremmo avere.

Abbiamo scelto il nome di “my” slut walk per sottolineare la non conformità a nessuno stereotipo. I vari momenti del laboratorio volevano essere tappe di un percorso che, dal riconoscimento dei giudizi che subiamo fino ad assimilarli, terminava con la consapevolezza e rivendicazione dei propri desideri e bisogni. Nella “passeggiata” in giro per Livorno avremmo cercato di sperimentare una pratica di liberazione individuale attraverso la potenza collettiva. Continue reading

Rivolta alle donne: dibattito sulle pratiche di lotta

### Giovedì 18 ottobre ###
Al “Fronte del Porto – Sala da thè dell’occupazione Porto Fluviale” in via del Porto Fluviale 18 – Metro B – Piramide

Ore 18:00 – Incontro fra donne
R I V O L T A A L L E D O N N E – Dibattito sulle pratiche di lotta.

 

Gli strumenti ufficiali per normalizzare lo sfruttamento e l’asservimento sono da sempre il controllo dei corpi e la sorveglianza dei territori.
La militarizzazione degli spazi è il dato più evidente di una guerra che viene dichiarata dall’alto verso il basso: le strade, i mercati, le stazioni, le frontiere o le terre dove vorrebbero imporre progetti mortiferi diventano campo di battaglia.
Rifiutare chi prova a schiacciarci o ad imporci relazioni di potere, nei contesti pubblici o privati, è una pratica necessaria, soprattutto quando l’invisibilità diventa il recinto dove avviene la vittimizzazione, la criminalizzazione o la punizione di soggetti da addomesticare.

Durante l’incontro parleremo dell’esperienza delle donne nelle rivolte popolari, con l’attenzione rivolta alle condizioni fuori e dentro i contesti di lotta. E affronteremo il problema della militarizzazione a partire dalle conseguenze che produce nelle nostre vite.
Dalle rivolte popolari di piazza Tahrir a quelle di San Salvador Atenco, dalle frontiere di Ciudad Juarez ai campi d’internamento per migranti, da L’Aquila alle guerre umanitarie e le conquiste coloniali, la violenza contro le donne è uno strumento di oppressione scientifico per colpire, annientare e ricattare.

L’arrivo di Rasha, compagna che vive in Egitto e tra coloro che animano la campagna “No Military Trials for Civilians”, sarà un’occasione per riconoscere insieme le strategie della repressione nei confronti delle donne e scambiarci le pratiche di lotta che scegliamo, abbattendo confini, muri e gabbie.
Incontrarsi e scambiare la nostra esperienza di donne attive nelle lotte è un passo per rompere l’isolamento nel quale vorrebbero consegnarci e un contributo alla lotta collettiva.

L’incontro tra donne dal titolo “Rivolta alle donne” si terrà giovedì 18 ottobre alle ore 18.00 al “Fronte del Porto – Sala da thè dell’occupazione Porto Fluviale” in via del Porto Fluviale 18.

La mattina dello stesso giorno saremo alle 8.30 al sit-in di donne davanti il tribunale a L’Aquila, durante il processo di Francesco Tuccia, stupratore e militare.

A seguire…

**Apericena per tutt* benefit FreePalestine Roma**
___Proiezioni video “Words of women from the Egyptian Revolution –
Herstory”___

Per ogni stupratore, con o senza uniforme, vita breve e sofferta.

Collettivo femminista Le Ribellule, FreePalestine Roma

Per tutto il programma “Words of Women from the egyptian Revolution” 17-18-19 ottobre 2012 – Tre giorni di iniziative con Rasha Azab clicca qua.