Acchiappa la Tarzia

Dopo 11 mesi di mobilitazioni e contestazioni contro la Proposta  Regionale di Legge Tarzia che:
-vuole privatizzare i consultori
-inserire all’interno di essi il Movimento per la Vita e associazioni pro-life
-sviluppare un percorso labirintico e senza privacy per le donne che decidono di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza
-che mette al centro dell’attenzione la famiglia e non più la donna e la sua salute
Vogliamo mandare un messaggio a tutte le città, comuni, provincie e regioni del territorio!
La Tarzia ha intenzione di esportare questo modello nelle altre regioni, dato che ha dei problemi a muoversi in questa città
dove c’è un moviemento che contesta ed è attento a tutte le sue iniziative!
Per questo chiediamo a tutte le donne, precarie, mamme, studentesse di tenersi pronte agli avvistamenti…
Acchiappate la Olimpia Tarzia con ogni mezzo necessario!

Occupazione di donne @Roma!

E se la vita ce la reinventassimo veramente?

CasaLiberaTutte
da oggi, 14 maggio 2011, è nostra!

 

 

 

 

 

 

 

 

Siamo disoccupate e precarie, studentesse e insegnanti, donne e lesbiche, ragazze e , bambini/e, siamo nate e cresciute qui o molto lontano da qui.

Così reagiamo alla crisi che vorrebbe ridurci a lavorare e basta, per pagare affitti insostenibili, facendo i salti mortali per arrivare alla fine del mese.

Scegliamo e ci prendiamo una casa per tutte, uno spazio che risponda al nostro bisogno di casa, di calore, di condivisione, di lotta, di creatività, di gioia.

Una casa per reagire all’imposizione eterosessista e patriarcale e riprenderci una vita libera.

Una casa in cui ci sia spazio per l’immaginazione e il sapere delle donne e delle lesbiche.

Una casa dove autodeterminare e reinventare la nostra vita giorno dopo giorno, libere da ricatti economici, politici, culturali, familiari.

Una casa aperta al quartiere e alla città, dove intrecciare percorsi di lotta e di vita differenti, e costruire reti di solidarietà, informazione e resistenza.

Una casa sociale di donne di paesi e culture diverse che sperimentano insieme la forza e la bellezza dell’incontro, dello scambio e della crescita comune.

Ci siamo incontrate all’interno del progetto Sportello Donna del Volturno Okkupato, che è uno spazio autogestito al femminile, voluto e sostenuto da donne che lottano per il diritto alla casa, contro la violenza maschile, contro la lesbofobia e per l’autodeterminazione della salute e della proprie scelte di vita.

All’interno di questo progetto è maturata sempre di più la consapevolezza della necessità di costruire insieme uno spazio separato di donne, per liberarci dalle sopraffazioni sia materiali che immateriali nelle quali le dinamiche di potere ci costringono.

Confrontandoci sulle nostre diverse esperienze abbiamo preso coscienza delle nostre diversità, dal vissuto delle donne all’interno delle occupazioni delle case a quello delle donne, femministe e lesbiche che abitano sedi politiche separatiste, ma anche della forza della socialità tra donne, e di quanto questa forza sia determinante nei percorsi di cambiamento dei rapporti di potere con gli uomini.

La fisicità di un luogo e la possibilità di sperimentazione sociale collettiva contro le logiche autoritarie sono centrali per i percorsi di rafforzamento e di autonomia delle donne. I luoghi di donne in questa città si contano sulle dita di una mano: alcuni sono sempre più stretta dalla morsa della raccolta di fondi per fare fronte alle insostenibili spese di affitto; mentre altri spazi occupati autogestiti sono sottoposti a minacce di sgombero o ricattati da logiche legaliste che vogliono la monetizzazione delle nostre esperienze.

Vogliamo un luogo dove possano dialogare differenti pratiche di vita, dove ognuna possa sperimentarsi nella composizione fantasiosa della propria esistenza, più libera dai ricatti di padri e padroni e dai compromessi sulla propria pelle.

Vogliamo un luogo che possa sottrarci sia al ricatto economico, sia alle dinamiche di potere familiare; un luogo in cui sperimentarci nella costruzione quotidiana di rapporti tra donne in un percorso di autoconsapevolezza ed espressione dei nostri desideri; un luogo in cui rafforzare la nostra autonomia e autodeterminazione.

La casa è un nostro bisogno, uno spazio per tutte è un nostro desiderio, l’autodeterminazione è una nostra scelta di esistenza!

Invitiamo tutte le donne, le lesbiche, le ragazze, le bambine della città a venirci a trovare e condividere con noi questa esperienza.

CasaLiberaTutte
Via dei Tordi 38, Torre Maura, Roma

Trenino Roma-Pantano direzione Giardinetti oppure 105, fermata Torre Maura

casaliberatutte@gmail.com

CORTEO: TARZIA FUORI DALLE OVAIE!!! O+

CONSULTORI PUBBLICI E GRATUITI

UN CORTEO PER CONSEGNARE LE PRIME 80.000 FIRME

… e la petizione continua

 

PER DIRE Sì ALLA SALUTE E ALL’AUTODETERMINAZIONE DELLE DONNE

CONFERENZA STAMPA

In corteo raggiungeranno la sede della Regione Lazio in Via Rosa Raimondi Garibaldi per consegnare le prime 80.000 firme alla Presidente Renata Polverini. alle ore 10 giovedì 14 aprile sotto al Consultorio di Via dei Lincei, 93. Le donne, i comitati e i vari gruppi che hanno raccolto le firme della petizione popolare che dice NO alla proposta di legge Tarzia si danno appuntamento

per illustrate le ragioni del totale disaccordo con la proposta di legge e della necessità di aprire i 117 consultori che dovrebbero essere attivati nel rispetto alle norme vigenti nonché dell’urgenza di migliorare le strutture esistenti (carenti e con poco personale).Alle 11,00 davanti all’ingresso della Regione è indetta una conferenza stampa

Chiediamo che:

* i consultori rimangano strutture pubbliche e laiche, rivolte e aperte alle donne, libere da condizionamenti di qualunque natura
* i consultori possano continuare ad offrire la prevenzione e promozione della salute necessarie soprattutto agli adolescenti, alle donne e alle coppie in età fertile, anche a quelle provenienti da altri paesi
* continui ad essere garantita alle donne la piena autonomia di scelta in materia di salute e di riproduzione
* la responsabilità politica e amministrativa di una pesante limitazione delle libertà conquistate dalle donne con anni di lotte non debba essere attribuita ad una donna alla guida della Regione Lazio
* la proposta di legge Tarzia sia definitivamente ed immediatamente ritirata

Le donne e le famiglie che vogliono LIBERAMENTE PROCREARE attendono risposte concrete:

LAVORO DIGNITOSO, SERVIZI SOCIALI ADEGUATI, UNA POLITICA DELLA CASA.

Respingono al mittente la proposta di legge Tarzia, che è esattamente il contrario.

Assemblea permanente delle donne contro la legge tarzia

8marzo: Riprendiamoci le nostre vite indecorose e libere! – CORTEO NOTTURNO

Corteo Notturno Martedi 8 marzo

Appuntamento ore 18:00 @ —->           Bocca  (di Rosa) della Verità

—–>>>percorso fino a Campo de fiori!

riprendiamoci le nostre vite …indecorose e libere!

Siete tutte invitate al corteo carnevalesco per le strade del centro di roma

per reclamare diritti e nuovo welfare,

riprenderci le piazze e i nostri desideri,

boicottare la paura e le parate bipartisan!

…mettete qualcosa di rosso!

Negli ultimi mesi un’energia nuova e dirompente è emersa dalle mobilitazioni delle università e dei precari, dalla resistenza degli operai e dei migranti, fino a giungere alle ribellioni dell’Egitto e delle coste del Mediterraneo.

E’ un grido di rivolta che denuncia un sistema sociale ingiusto e si rifiuta di pagarne i costi.

Il 13 febbraio scorso noi donne ci siamo opposte alle politiche che soffocano le nostre vite e che hanno portato al progressivo restringimento dei nostri diritti e dei nostri spazi di libertà. Abbiamo attraversato piazza del Popolo, invaso le strade di Roma e ci siamo spinte fino a Montecitorio per “restituire al mittente” le leggi contro le donne approvate negli ultimi anni dai governi sia di centrodestra che di centrosinistra: le dimissioni in bianco, il collegato lavoro, la legge 40 sulla procreazione assistita, l’innalzamento dell’età pensionabile, il pacchetto sicurezza e tante altre.

Anche l’8 marzo vogliamo riportare in piazza la stessa voce e, con lo stesso linguaggio impetuoso, rimettere al centro la questione della redistribuzione delle ricchezze: tra chi fa i profitti e chi sta pagando questa crisi, tra chi possiede palazzi e chi non ha casa, tra chi si giova di stipendi milionari e chi non ha un lavoro.
Vogliamo contestare chi mette in discussione la nostra autodeterminazione saturando le strutture pubbliche di obiettori di coscienza, limitando la diffusione della pillola RU486 o sostenendo la privatizzazione delle strutture sanitarie come i consultori (vedi la proposta di legge Tarzia per la regione Lazio), luoghi che noi invece vorremmo reinventare partendo dai nostri attuali bisogni.

Vogliamo ribellarci a una cultura e a un immaginario usati per controllare e disciplinare i nostri corpi e la nostra sessualità. Dal lavoro alla sanità, infatti, l’unico ruolo legittimato per le donne è quello di moglie e madre. Eppure spesso nel momento dell’assunzione ci vengono fatti firmare fogli di “dimissioni in bianco” che il datore di lavoro potrà tirar fuori nel momento in cui dovessimo dichiarare di essere incinte.

Viviamo nel Paese della doppia morale, dove l’unico modello accettato e promosso è la famiglia eterosessuale, quella stessa famiglia in cui, come le statistiche ufficiali ci raccontano, avvengono la maggior parte delle violenze sulle donne attuate da mariti, compagni e padri. E’ anche per questo che rifiutiamo la precarietà: perché ci obbliga a dipendere economicamente e culturalmente da un modello relazionale che ci impedisce di poter scegliere dove, come, quando e con chi essere o NON essere madri.

Eppure la stessa retorica familista che dichiara di promuovere e sostenere la genitorialità, di fatto ne ostacola la possibilità a lesbiche, single, gay, trans e a tutti quei soggetti che sfuggono alla norma eterosessuale e cattolica. Ed è sempre la stessa logica che da un lato stigmatizza e criminalizza le sex workers attraverso pacchetto sicurezza e campagne moraliste e sul “decoro”, e dall’altro ne fa un uso “spettacolarizzato” e strumentale al piacere maschile diffuso all’interno dei Palazzi del potere, ma non solo.

L’8 marzo scenderemo in piazza anche per smascherare le politiche razziste di questo governo che sfrutta il lavoro di cura svolto per la maggior parte da donne migranti e contemporaneamente le trasforma in “pericolose” protagoniste dell’“emergenza immigrati” oppure le priva della libertà e le rende vittime di violenze nei CIE.

Per tutte queste ragioni saremo in piazza l’8 marzo, per rivendicare diritti e libertà, perchè i nostri desideri non hanno né famiglia né nazione, noi non siamo “italiane per-bene”: siamo precarie, studentesse, lesbiche, trans, siamo donne che rifiutano il modello di welfare familistico, nazionalista, cattolico ed eterosessista.

Vogliamo riappropriarci delle nostre voci e dei nostri corpi e anche delle strade, della notte e delle nostre relazioni: rivendichiamo diritti, welfare e autodeterminazione.

Siamo tutte DONNE in CARNEvale e OSSA!!
L’otto… m’arzo e m’arivorto!

Centro Donna Lisa, Donnedasud, le Facinorosse, Infosex-Esc, Lucha y Siesta Action-A, le Malefiche, la Meladieva, le Ribellule, SuiGeneris

www.riprendiamociconsultori.noblogs.org/
Per info e adesioni : lottotuttolanno@gmail.com

Quando tutte le donne del mondo…

da carmillaonline.com

Il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. La giornata nasce in  ricordo delle sorelle domenicane Mirabal, uccise il 25 novembre del 1960 perché  impegnate nella lotta di liberazione nella Repubblica Dominicana. La commemorazione di questa data ebbe origine al primo incontro internazionale femminista in America Latina, celebrato in Colombia nel 1980. La Repubblica Dominicana propose questa data in onore di Patria Minerva e Maria Teresa Mirabal, nel ’98 l’assemblea generale delle Nazioni Unite approvò all’unanimità il 25 novembre come “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”.

La Casa delle donne di Bologna organizza la quinta edizione del Festival La violenza illustrata (www.casadonne.it) che dal 5 al 30 di questo mese dedicherà appuntamenti tematici inerenti a questo fenomeno. Finalmente si è radicata l’idea che festeggiare questa data è un appuntamento imprescindibile, e siamo molto felici che a sostenere questo progetto non siano solo le realtà che si occupano di donne, ma anche tante associazioni operanti sul territorio nei campi più disparati.
Abbiamo cercato di coordinare le direttrici teoriche del Festival lungo l’asse di alcune tematiche, una di quelle di quest’anno è Altri femminismi, un filone che indaga la situazione della violenza di genere in paesi come il Pakistan, l’Albania, l’India, l’Iran.
Ma la violenza è affare di casa nostra come di tutte le altre nazioni, la violenza contro le donne è un fatto culturale, un portato del patriarcato, e i dati dimostrano che nulla ha a che vedere con culture tradizionali, fondamentalismi e differenze di classi sociali. La violenza contro le donne è universale, trasversale, multiforme e cambia continuamente modalità, adeguandosi alle nuove tecnologie e alle nuove forme di relazioni della nostra contemporaneità. È così strettamente collegata, complice con la svalorizzazione del femminile, che ci attraversa gli occhi tutti i giorni e non ce ne accorgiamo.
A livello mondiale la violenza contro le donne commessa dal partner, marito, fidanzato o padre è la prima causa di morte e invalidità permanente per le donne fra i 16 e 44 anni, ancora prima del cancro, degli incidenti stradali e della guerra.
La Casa delle donne per non subire violenza a partire dal 2006 raccoglie e analizza tutti i casi di donne uccise riportati dalla stampa e riconducibili alla violenza di genere.
La ricerca svolta per il 2009 dimostra che le donne uccise sono in larghissima maggioranza italiane (il 70%, 83 in numero assoluto su 119), come sono italiani gli autori di queste uccisioni (76%, 86 in cifra assoluta). Questi dati, assolutamente in difetto, perché non danno conto delle donne scomparse, delle clandestine, di tutti i casi non ancora risolti, dimostrano comunque infondata la teoria secondo cui ad agire violenza contro le donne sarebbero i migranti o persone sconosciute.
La ricerca rileva che la donna viene uccisa per mano degli uomini a lei più cari: il marito nel 36% dei casi, l’amante convivente o partner nel 18%, e nel 9% dei casi da ex (mariti, conviventi o amanti), mentre nel 13% dei casi ad ucciderla è un altro parente (padre, fratello, figlio).
Inoltre, tra le cause si ritrova maggiormente la volontà dell’autodeterminazione legata alla sfera sentimentale: quando la donna cerca di interrompere una relazione, si espone al forte rischio di essere uccisa. Il possesso sembra essere il dato preponderante che emerge da queste relazioni di potere.
Le donne non denunciano, specie quando parliamo di violenza domestica. Esistono diversi fattori, economici, culturali, legislativi che inducono le donne al silenzio. In primis la dipendenza economica dal partner o da chi esercita violenza, dalla casa in cui risiede al reddito: negli ultimi anni, per la crisi economica molte donne sono state licenziate, i contratti a termine non rinnovati. Quelle che si sono azzardate a fare un figlio sono state le prime a pagare la flessibilità crescente. Si pensi solo a tutti i contratti precari che non contemplano il pagamento della maternità. E poi vi è un profondissimo problema culturale, che fa della donna un oggetto di controllo e dominio.
La separazione, vissuta come un’umiliazione e un affronto alla propria virilità, ma anche la perdita del lavoro della donna, per esempio dopo la nascita del figlio, possono far esplodere l’aggressività prima repressa. Le scarse tutele sul posto di lavoro, la morale della famiglia, il relegare ancora oggi la donna al lavoro di cura non retribuito e non condiviso con il partner (ma soprattutto non coadiuvato dai servizi sociali, cui il lavoro femminile di fatto supplisce completamente), i media che riducono la donna a corpo sessuato atto a vendere merci di qualunque genere, cui non è permesso invecchiare, parlare, pensare, in una parola, “esistere come soggetto”: tutto ciò contribuisce ad umiliare le donne, che di conseguenza, non denunciano, perché “non credono di avere dei diritti”.
La violenza di genere è un fenomeno invisibile per molti motivi, primo perché è pochissimo denunciata, e dunque anche i dati a nostra disposizione sono parziali e molto sottostimati. Secondo, perché se ne parla poco, i media concedono poco spazio a queste tematiche, e quando se ne parla, se ne parla male, il ché dal punto di vista di chi lavora nella prevenzione del fenomeno, è un ulteriore aggravamento della situazione. I media acutizzano questa piaga riportando le notizie in modo perturbante, misogino, spettacolarizzato, necrofilo, parziale o totalmente voyeuristico. Qui non siamo nel diritto di cronaca ma in una cosciente operazione di violenza verbale, visiva, emozionale, sociale. Si scivola nel reato di “violenza assistita”: dovete pensare ai bambini che guardano il plastico della casa di una ragazzina uccisa in prima serata, una “casa di bambola” dove il reale ha lasciato il posto al surreale.
Sappiamo che la visione della violenza genera emulazione, questa responsabilità dovrebbe essere parte di una riflessione culturale sulla discriminazione di genere in senso lato. Ogni volta che in televisione o sui giornali si parla di “Amore criminale” si ratifica uno stereotipo largamente diffuso anche in strati di ascolto “sensibili” all’argomento: qui non ci troviamo di fronte al romanticismo dell’unione di eros e thanatos, ma a ciò che le studiose chiamano ormai a livello internazionale FEMICIDIO (dall’inglese Femicide) cioè “l’uccisione di una donna in quanto donna”.
Il concetto di FEMMINICIDIO indica invece il complesso di pratiche discriminatorie nei confronti delle donne, dal mobbing allo stupro, dal maltrattamento allo stalking… Ovviamente ognuna di queste discriminazioni è una violenza, in particolare anche l’imposizione di stereotipi costrittivi rivolti alle adolescenti, che incrementano un uso allarmante di ricorso alla chirurgia estetica, con conseguenti problematiche non solo medico-sanitarie ma anche psicologico-sociali.
Quello che è in gioco è la costruzione dell’identità, lavorare per una educazione di genere significa regalare la speranza di un futuro a una generazione di bambine che ci chiede di stare, oggi più che mai, “dalla loro parte”.
A chi è cresciuta senza nessun diritto oltre al dovere sociale di “apparire bella” si devono consegnare le chiavi per la decostruzione di un immaginario capovolto, un percorso difficilissimo, ma non impossibile, che altre prima di loro hanno fatto, partendo da ben peggiori costrizioni: perché “donne non si nasce, si diventa”.
In fondo, oggi che siamo al “ground zero della rivoluzione femminista”, dove tutti i diritti acquisiti sono rimessi in discussione, “grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è dunque eccellente”: le giovani donne non hanno nulla da perdere, proprio come Franca Viola (la prima donna a opporsi alla legge del matrimonio riparatore) cinquant’anni fa.
Le ultime notizie della cronaca politica/mediatica non sono confortanti, ma credo anche che non ci sia un’esplosione di questi fenomeni, questo sottobosco c’è sempre stato: è figlio della mentalità di una gerontocrazia maschile, patriarcale e clericale che governa da secoli il nostro paese (e non solo). In particolare, si pensi all’uso che del gallismo fece il fascismo, l’atteggiamento misogino degli attuali politici al governo riporta in auge questo mito creato ad uso e consumo di un imperialismo fallologocentrico, destinato a dimostrare tutta la sua “impotenza” sul reale. È un apparato spettacolarizzato propinato ad una massa onnivora, costretta a digerire qualunque nefandezza (dalla necrofilia alla pedofilia), se opportunamente reclamizzata.
Gustave Le Bon in Psicologia delle folle sosteneva che la massa è femmina e che come tale il leader deve soggiogarla, possederla: non a caso uno dei libri preferiti di Mussolini, che ne aveva applicato i dettami nella sua immagine pubblica e privata, nella doppia morale con cui faceva convivere famiglia e amante. A lui faceva eco D’Annunzio che riteneva che le parole fossero femmine, mentre le azioni fossero maschi: d’altronde Freud, analizzando il saggio di Le Bon in Psicologia delle masse e analisi dell’Io, ci dice che «il poeta creò il primo ideale dell’Io», un mito fondativo paterno in cui la massa si identifica tramite la figura dell’eroe.
Quanto consciamente oggi Berlusconi utilizzi gli strumenti dei suoi predecessori, non ci è dato saperlo: certo è che, complice la tecnologia mediatica, il suo fascino ipnotico è divenuto “inarrestabile”. Il corpo dato in pasto a questa mitizzazione è un corpo sessuato, un corpo femminile, che, alienato dalla sua soggettività, viene recluso in uno spazio totalmente immaginario: la violenza, dunque, quella sì reale, viene come attutita in questa dimensione irreale, ma proprio per questo amplificata, aggiungendo indifferenza e naturalezza ad atti ormai declinati da una sola perturbante volontà di sapere.
Cosa importa al lettore la giostra sessuale di uno stupro di massa? I dettagli anatomici di una autopsia sul cadavere di una ragazzina? Cosa aggiungono le descrizioni dei rilievi dei liquidi organici o i volti disumanizzati dei congiunti incalzati dal reality della crudeltà?
Nella fragilissima e tragica fase di una elaborazione del lutto queste persone si trovano in uno stato di persecuzione giornalistica tale da configurare contro i media un reato di stalking.
Siamo passati dalla comunicazione della violenza alla violenza della comunicazione.
Ma poiché la violenza di genere è un fatto culturale si può combattere solo con la cultura ad una educazione di genere.