Solidarietà alle Pussy Riot

 

Roma 21 aprile 2012

Maria, Nadezdha e Irina LIBERE!

Sabato alle 11:30 delle attiviste manifestavano sotto l’ambasciata russa per richiedere l’immediato rilascio delle 3 donne arrestate dal governo Russo, Maria, Nadezhda e Irina accusate di cospirazione contro lo stato e di far parte della band punk femminista Russa Pussy Riot.
La band, i cui testi sono vere e proprie denunce sulla corruzione del governo Putin e della stretta relazione tra stato e chiesa ortodossa, si è esibita più volte nella città di Mosca in solidarietà ai detenuti/e russe, ai popoli arabi in rivolta e ai movimenti lgbt.

In tutto il mondo si stanno dando azioni di solidarietà con le tre donne, che all’oggi sono ancora in prigione e rischiano 7 anni di carcere.

A Roma mente le attiviste inscenavano un concerto punk in stile pussy riot, maschere e vestiti colorati, sono intervenute le forze dell’ordine. Un’attivista è stata identificata e lo striscione con la scritta “free pussy riot – libere tutte” è stato sequestrato.
Denunciamo il clima di repressione che si vive in tutto il mondo nei confronti di chi oggi rivendica libertà e autodeterminazione, e lanciamo un grido di libertà femminista con cui chiese e governi dovranno fare i conti.

Se il potere è maschile noi saremo Pussyriot.
Solidarietà a Maria, Nadezhda e Irina.

“For Our Freedom and Yours”
Pussy International movement

Siamo tutte No Tav

“In questi giorni sto ricevendo molti abbracci e ringraziamenti dal popolo NO TAV, dalla mia gente della valle e di tutta Italia. Ma io ritengo doveroso ringraziare tutti per essere stati vicino a noi proprietari NO TAV (una decina) e i tecnici e gli avvocati che hanno svolto egregiamente il loro lavoro.Un ringraziamento a tutti quelli che, a ogni chiamata, vanno alle reti; alle tre donne che, dopo il taglio delle reti, sono entrate nel fortino e sono state denunciate; alle altre donne che, al di là delle reti, mi sono state vicino e mi hanno tenuto la mano e, durante la carica della polizia, non si sono mosse, a costo di essere manganellate e a coloro che hanno resistito alla carica e non sono indietreggiati.Un grazie a tutti gli arrestati che, per essere venuti in Valle Susa, pagano per noi un caro prezzo, in particolare a Giorgio, Luca e Guido, che hanno vissuto con noi per molti mesi l’esperienza della Repubblica della Maddalena, e a Luca per la paura che mi ha fatto prendere e per il culo che ha avuto, nonostante tutto quello che sta passando in questo periodo.
Voglio poi mettere in rilievo un episodio odioso di alcuni giornalisti che sono entrati nel fortino anche se, ai cancelli della Centrale, fosse vietato l’accesso ai giornalisti; si tratta di un giornalista di Repubblica, uno de La Stampa (Numa) e altri. Il giornalista di Repubblica si è avvicinato a dove ero ammanettata per parlarmi. Alle mie rimostranze per il fatto di essere all’interno con la Digos, ha cercato delle giustificazioni che io non ho voluto neanche sentire. Durante lo scontro verbale mi ha detto: “E’ grazie a me che lei è qui ammanettata e può manifestare!”. A lui dico: “Vergogna perché nonostante i suoi capelli bianchi, come i miei, non ha capito niente, o forse troppo perché fa parte della casta, mentre ci sono giornalisti giovani e precari che in questi giorni ci hanno seguito al di là della reti e hanno fatto dei servizi che forse non verranno mai pubblicati.”

Marisa, via notav.info

La Fazenda resiste. RIPRENDIAMOCI TUTTO!

 

Il 12 aprile alle 9.30, a due settimane dalla riapertura degli spazi di Via Boccea 506, (“La Fazenda”) le forze dell’ordine hanno fatto irruzione nello stabile sgomberandolo. Durante l’operazione di sgombero la polizia ha rotto le finestre dell’edificio, danneggiato e distrutto oggetti. Ci hanno spinto fuori, messo le mani in faccia, sequestrato foto e volantini e una ragazza che cercava di avvisare la sua probabile assenza a lavoro è stata presa per il collo da un agente. Dieci le identificazioni, nessun arresto. Questo atto di forza è l’ennesima conferma di come le istituzioni intendono affrontare l’emergenza abitativa come un questione esclusivamente di ordine pubblico. Oltre a soddisfare l’emergenza abitativa di un gruppo di persone, Il lavoro svolto in queste due settimane aveva restituito questi spazi ad una socialità fuori dalla logica del profitto, in una zona come quella di Casalotti dove la mancanza di servizi e di luoghi di aggregazione rende veramente difficile una vita dignitosa. In queste giornate le realtà associative e gli abitanti del territorio hanno condiviso con noi questa esperienza, contribuendo alla pulizia e alla sistemazione degli spazi e partecipando attivamente alle iniziative. In questo momento l’importante è far sì che una risorsa preziosa come gli stabili di Via Boccea 506 non torni nelle mani della speculazione, che sgomberi e denunce non arrestino la lotta. Vogliamo dimostrare che è possibile soddisfare esigenze collettive e bisogni individuali attraverso percorsi di partecipazione dal basso, dove tutti e tutte possiamo migliorare le nostre vite con soluzioni fuori dalla logica di profitto, speculazione e sfruttamento. Non è un caso che questa operazione sia stata effettuata durante la settimana di  mobilitazione nazionale a sostegno della lotta NOTAV contro l’esproprio dei terreni per lasciar spazio alla costruzione del tunnel per la linea ad alta velocità Torino-Lione. Come in Val Susa, ripartiamo dai nostri territori per riprenderci quello che dall’alto ci hanno rubato: case, socialità, pezzi di vita, in un quadrante come quello di Roma Nord-Ovest  dove i problemi sono reali ed evidenti. Rilanciamo convocando

 ASSEMBLEA PUBBLICA SABATO 14 ORE 10 A PIAZZA ORMEA

 Casa per tutti e tutte, La Fazenda

 

 

Il ricordo di un’ esistenza lesbica (radicale)

Il 27 marzo 2012 muore Adrienne Rich, poeta contemporanea femminista e lesbica. Oggi, vive il suo pensiero e la traccia della sua esistenza lesbica radicale.
Riportiamo una breve biografia e il link ad uno dei suoi testi più importanti, “Compulsory Heterosexuality and Lesbian Existence”,1980.

L’esistenza lesbica comporta sia la caduta di un tabù che il rifiuto di un sistema di vita obbligato, significa anche un attacco diretto o indiretto al diritto maschile di accesso alle donne.

Adrienne Rich, Eterosessualità obbligatoria ed esistenza lesbica, in Signs: Journal of Women, 1980

 

Adrienne Rich (1929)

In modo significativo tutti i poeti si occupano di trasformazione. Fare poesia coinvolge una trasformazione dall’esperienza o realtà percepita all’espressione verbale modellata dall’immaginazione e dalla tecnica del poeta. Tuttavia per Adrienne Rich la trasformazione va ben oltre l’atto di scrittura; si estende fino alla cultura in generale, attraverso la capacità poetica di confrontare i dati presupposti e offrire nuove visioni. Lei definì la propria poetica quasi all’inizio della sua carriera, nel 1971, con il saggio “Quando noi morti ci svegliamo: scrittura come re-visione” (“When We Dead Awaken: Writing as Re-Vision”).
Perché una poesia si concretizzi, perché un personaggio o una azione prendano forma, ci deve essere una trasformazione immaginativa della realtà che non è un atto passivo… Inoltre, se l’immaginazione deve riuscire a trascendere e trasformare una esperienza, deve proporre domande e sfide, deve concepire alternative, forse anche alla vita stessa vissuta in quell’istante.
La trasformazione è perciò sia atto privato sia pubblico, e la poesia come pure i saggi della Rich hanno esplorato lo spazio dove questi due mondi s’intersecano; hanno incorporato varie prospettive: femminista, lesbica, storica, non-capitalista, umanitaria, multirazziale e multiculturale. La forma delle sue poesie si è evoluta insieme al contenuto, progredendo da liriche prettamente formalistiche ad altre più sperimentali che usano una combinazione di tecniche: versi lunghi, più spazi dentro il verso stesso, sezioni in prosa, accostamenti di varie voci e motivi, didattica, espressioni didattiche e informali. Nessun altro poeta meglio di Adrienne Rich rispecchia le trasformazioni culturali e poetiche sopravvenute negli Stati Uniti durante il ventesimo secolo.
Ancora giovane, la Rich dimostrò ovvio talento, scrivendo poesie fin da bambina sotto la guida paterna. Quando si laureò dal Radcliffe College il suo primo volume, Un mutamento di mondo (A Change of World, 1951) venne scelto da W. H. Auden per lo Yale Younger Poets Prize. Questo, insieme al secondo volume, Tagliatori di diamanti (The Diamond Cutters, 1955), esprime un senso di alienazione e di perdita causati “dagli stratagemmi maschilisti del Modernismo”, però ambedue i volumi contengono poesie indicatrici di tematiche future. “Preavvisi di burrasca” (“Storm Warnings”, da Un mutamento di mondo, parla di persone “che abitano in zone turbate” e anticipa cambiamenti non specifici ma inquietanti:
Il tempo altrove
E il tempo del cuore si accavallano
Senza riguardo alle previsioni.
Weather abroad
And weather in the heart alike come on
Regardless of prediction.
“Le tigri di zia Jennifer” (“Aunt Jennifer’s Tigers”) offre una immagine del potere sia svelato sia trattenuto attraverso le arti domestiche. E tre poesie di Tagliatori di diamanti – “Quadro di Vuillard” (“Picture by Vulliard”), “Amore nel museo” (“Love in the Museum”), e “Paesaggio ideale” (“Ideal Landscape”) – mettono in questione il concetto di realtà offerto dall’arte, mentre la poesia “Vivere nel peccato” (“Living in Sin”) illustra la crescente disillusione di una donna per l’uomo che ama e per la loro condivisa quotidianità. Il volume Foto istantanee di una nuora (Snapshots of a Daughter-in-law, 1963), che rispecchia le tensioni vissute dall’artista come moglie e madre negli anni cinquanta, segna un grande cambiamento di stile e contenuto. “L’esperienza della maternità fini per radicalizzarmi”, scrive la Rich in “Divisa alla radice: saggio sull’identità ebrea” (“Split at the Root: An Essay on Jewish Identity”, 1982). Parte del processo di radicalizzazione coinvolse il suo rapporto sia con la poesia sia con la storia. Dal 1956 incominciò a datare ogni poesia: “Incominciai a farlo perché avevo scartato l’idea di una poesia come singolo evento incorniciato, una opera d’arte completa sui generi; sapevo che la mia vita stava cambiando così come il mio lavoro e sentivo la necessità di indicare ai lettori la cognizione di essere coinvolta in un lungo, continuo processo.”
L’atto di datazione implicava uno scarto di valori enunciati dalla Nuova Critica, che piazzava la poesia all’esterno dei contesti culturali e storici. Guidata da una sensibilità femminista, molte poesie di Foto istantanee adottano versi liberi (free verse”) e un tono di voce tanto più personale per esprimere la rabbia, per incorporare il bisogno di cambiare, e per recuperare e dialogare con altre autorici. La poesia che dà il titolo al volume, una sequenza in dieci parti scritta in “free verse”, propone un “album” con la vita di dieci donne dominate dagli uomini. La sequenza si sposta avanti e indietro nel tempo e nel contesto, generalizzando sulla repressione domestica sofferta da donne contemporanee e anche riferendosi a figure storiche femminili.
Per vari critici “Foto istantanee di una nuora” rappresenta una radicale e problematica svolta dal precedente formalismo della Rich, ma nel saggio “Quando noi morti ci svegliamo: scrittura come re-visione” lei scartò questa poesia come “troppo letterale, troppo dipendente dall’allusione”, e dall’autorità letteraria maschile. Tuttavia, le sue seguenti poesie si sarebbero tanto servite di allusioni letterarie, storiche, e ad eventi e persone contemporanee.
I tre libri che vennero dopo – Necessità di vita (Necessities of Life, 1966), Volantini (Leaflets, 1969), e Volontà di cambiare (Will to Change, 1971) – rispecchiano i disordini sociali degli ultimi anni ‘60 e dei primi anni ’70. Come altri poeti della sua generazione, cioè Denise Levertov, Robert Bly and W. S. Merwin, scrisse poesie contro la guerra del Vietnam, specialmente in Volantini. Immagini di morte prevalgono in Necessità di vita, dove la poetessa lotta per creare una vita non più condizionata da riti e ruoli sociali predeterminati. La figura di Emily Dickinson diventò un topos ricorrente nelle sue poesie, anticipando così un suo importante saggio: “Il Vesuvio a casa: la forza di Emily Dickinson” (“Vesuvius at Home: The Power of Emily Dickinson”, 1975). Le poesie della Rich si fecero sempre più sperimentali, usando lungi versi in contrapposizione. Adottò il “ghazai”, una forma persiana tradizionalmente usata per esprimere sentimenti d’amore e anche commenti di natura socio-politica. Al medesimo tempo Rich incomincia a dubitare dell’ars poetica, a causa dei stretti rapporti di quest’ultima con la cultura patriarcale. “Questa è la lingua dell’oppressore // ma ne ho bisogno per scriverti” aveva concluso nella poesia “Bruciare carta invece di bambini” (“The Burning of Paper Instead of Children”) – una sequenza in cinque parti, contenenti anche frammenti in prosa, e inclusa nel libro Volontà di cambiare.
Più profondamente influenzata da analisi femministe di storia e cultura, Tuffarsi nel relitto (Diving into the Wreck, 1973) segna un’altra svolta nella carriera della Rich. Qui ella esprime direttamente la sua rabbia contro la condizione (d’inferiorità) sofferta dalle donne nella cultura occidentale, alludendo a dualità problematiche, oppure ad immagini di diversità (“otherness”). Anche il linguaggio è sospetto a causa della sua inerente duplicità. Questa poesia che il titolo al volume, fra le più significative poesie del 20° secolo, propone un palombaro androgino che si tuffa per esaminare una cultura distrutta a causa della sua limitatissima prospettiva storica e mitica. Come in Volantini e in Volontà di cambiare, il tono di questo volume va dal critico all’accusatorio. Quando Tuffarsi nel relitto vinse il Premio Nazionale del Libro (National Book Award) nel 1974, Adrienne Rich rifiutò il premio per se stessa, accettandolo però, con una dichiarazione scritta insieme ad Audre Lorde e Alice Walker, a nome di tutte le anonime scrittrici.
Dalla seconda metà degli anni settanta ai primi anni ottanta i saggi e le poesie della Rich sono considerati fra i più radicali, in parte perché scarta il suo precedente concetto di androginia e sembra proporre un separatismo femminista. “Ci sono parole che non posso più usare: / umanesimo androginia,” scrive nella poesia “Risorse naturali” (“Natural Resources”), dove una donna che lavora nelle miniere spiazza l’androgino subacqueo di “Tuffarsi nel relitto”. Con più lucidità la Rich descrive e dialoga con il suo antagonista, cioè quella cultura maschilista che automaticamente svaluta qualsiasi proposta femminile. La spinta tuttavia resta la stessa: trovare un modo di “ricostituire il mondo” (Il sogno di una lingua comune / The Dream of a Common Language, 1978). Adrienne Rich propone una visione tutta al femminile (“woman-centered”) di energie creative che collega al femminismo in saggi come “È la Lesbain in noi” (“It is the Lesbain in Us”), nel volume Bugie, segreti, e silenzio (On Lies, Secrets, and Silence, 1979), oppure “Eterosessualità obbligatoria ed esperienza lesbica” (“Compulsory Heterosexuality and Lesbian Experience”), nel libro Sangue, pane, e poesia (Blood, Bread, and Poetry, 1986). Critica anche l’impatto che la cultura patriarcale ha sulla maternità, vedi Nato da donna: maternità come esperienza ed istituzione (Of Woman Born: Motherhood as Experience and Institution, 1976). Altri saggi e poesie nei libri Il sogno di una lingua comune e Una pazienza selvaggia mi ha condotto fin qua (A Wild Patience Has Taken Me This Far, 1981) propongono importanti nuove interpretazioni di personaggi femminili sia storici che letterari. Una sequenza di poesie lesbiche, “Ventuno poesie d’amore” (“Twenty-One Love Poems”), scritte nel medesimo periodo, colpisce per la sua sensualità e per la profondità dei pensieri filosofici.
Le poesie e i saggi di questo periodo hanno contribuito molto alla comprensione odierna di ciò che costituisce la struttura sociale del sesso (“gender”); hanno pure creato controversie. I critici hanno obiettato al didatticismo della sua poesia considerando la sua visione lesbico/ femminista troppo ristretta. Le strategie della Rich sembrano più adatte come contrappunto alla prevalente cultura patriarcale che danneggia sia gli uomini che le donne. Anche se la Rich propone che le donne unite sono capaci di creare “una poesia completamente nuova”, in poesie come “Etude trascendentale” (“Transcendental Etude”) la sua visione più recente è più ampia. Il “fratello smarrito” che descrive in “Risorse naturali” (“Natural Resources”) “non è mai stato uno stupratore” bensì “una creatura fraterna / con risorse naturali uguali alle nostre” (Il sogno di una lingua comune).
I libri pubblicati dalla metà alla fine degli anni ottanta, La tua terra natale, la tua vita (Your Native Land, Your Life, 1986), e La forza del tempo (Time’s Power, 1989), esaminano i suoi rapporti con le origini ebraiche e con gli uomini della sua vita; disquisirono altresì sul significato di essere una femminista nell’era di Reagan. I suoi paesaggi includono non solo la California del sud, dove andò ad abitare nel 1984, ma anche il sud Africa, il Libano, la Polonia e il Nicaragua. Presenta un “tu” pubblico responsabile per la qualità della sua vita: i propri genitori, l’ ex marito, l’amante attuale, insieme a un io afflitto da dolori artritici e psichici. Costante rimane la sua insistenza che la poesia debba rimanere legata al contesto politico e sociale. “La poesia mai ebbe l’opportunità / di stare al di fuori della storia,” scrive nella seconda poesia del ciclo “Tempo nord americano” (“North American Time”, 1986). “Memoria vivente”, nel volume La forza del tempo, è un’opera di transizione che richiama le esplorazioni fatte in passato nella poesia “Tuffarsi nel relitto” e si proietta verso il futuro. Il poeta istruisce:
Apri il libro di storie che conoscevi a memoria,
mettiti di nuovo a percorrere le vecchie strade
ripetendo le vecchie frasi che sono sottilmente
cambiate dalle parole che ricordavi.
Adrienne Rich segue i propri consigli in Atlante del mondo difficile (1991), probabilmente il suo migliore libro di poesia. La sequenza in tredici parti che da il titolo alla raccolta invita a paragonarla ad altri poemi sull’esperienza statunitense come quello di Walt Whitman, Muryel Rukeyser, Allen Ginsberg e Robert Pinsky. Il tema principale, che si gioca tutto sulla conoscenza del proprio paese, non importa quanto ciò sia doloroso e deludente, continua nel libro Prati oscuri della repubblica (Dark Fields of the Republic, 1995), dove nell’esame dei problemi statunitensi il poeta riprende la frase “non in qualche altro luogo, ma qui” da Il sogno di una lingua comune. Nel 1995 aumenta il peso che deve essere portato da questa frase sostenendo, nella poesia “Che tipo di tempi sono questi” (What Kind of Times Are These”), che “l’orlo della paura” su cui cammina si trova
non in qualche altro luogo, ma qui,
il nostro paese che s’avvicina alla propria verità e paura,
ai suoi modi di far scomparire la gente.
Rich vede correnti sotterranee di violenza nel materialismo degli anni ottanta e novanta che nessun poeta o individuo può ignorare. Queste tematiche, come pure il ruolo della poesia nella vita politica e sociale, sono esaminate nel volume di saggi Cosa si trova lì: note sulla poesia e sulla politica (What Is Found There: Notebooks on Poetry and Politics, 1993).
Nel più recente libro di poesie, Salvataggio a mezzanotte (Midnight Salvage, 1999), porta avanti questo argomento dalla prospettiva di una poetessa attivista che sta invecchiando e riflette sulla vita passata. Allude a varie sue poesie e libri antecedenti, e propone diverse domande: C’è qualcosa di utile che si sia salvato dallo sfacelo della cultura che la Rich ha esplorato per più di trent’anni? L’arte e il linguaggio hanno servito bene la società e i poeti? I vantaggi del consumismo hanno accecato gli statunitensi alla lezione del passato? Queste domande non trovano facili risposte, e il tono del libro si avvicina alla disperazione. “Desideravo andare in qualche posto / dove il cervello ancora non era andato ,” scrive in “Lettere a un giovane poeta” (“Letters to a Young Poet”); e continua: “non volevo esserci là così sola.” La “pazienza selvaggia” che aveva aiutato Rich a sopravvivere durante la seconda metà degli anni settanta fino ai primi anni ottanta ora diventa “l’orribile pazienza” di cui il poeta ha bisogno per scovare il linguaggio più efficace. Immagini di finestre appaiono spesso, come se il poeta, isolato dal mondo, lottasse per vederlo con chiarezza. Nella sequenza finale, “Una lunga conversazione”, Rich si chiede se è “il bruciacchiato, schiacciato, continuamente mutabile linguaggio umano” che “barcolla e spinge contro i vetri,” ostruendole la visibilità.
Adrienne Rich è meglio conosciuta come la figura chiave della poesia femminista. Il suo sogno di un linguaggio più adatto, di un mondo migliore, tuttavia, la allinea con la poetessa visionaria di Shelley e di Whitman, e con i trascendentalisti americani come Emerson. La natura documentaristica delle sue opere – le poesie di protesta e di testimonianza – è paragonabile a quella di poeti come Carl Sandburg, Robert Hayden, Muryel Rukeyser, Gwendolyn Brooks, Carolyn Forchè, e le poco conosciute poetesse statunitensi e britanniche del diciannovesimo secolo che hanno scritto di ingiustizia sociale e domestica. La ricerca condotta dalla Rich sui punti cruciali dove le vite private e gli atti pubblici si intersecano, come pure la natura confessionale di certe sue poesie, la collegano ad autori come Robert Lowell, Sylvia Plath, ed Anne Sexton. Il suo dialogo aperto e il suo celebrare la sessualità lesbica hanno portato a discutere più liberamente di omosessualità e non soltanto dentro le aule universitarie ma soprattutto nelle pubbliche arene della cultura: difficile pensare alle opere di Marilyn Hacker o di Minnie Bruce Pratt senza avere avuto la Rich come precursore. Per concludere, la sua persistenza negli anni ottanta a portare il femminismo oltre la classe media bianca e diventare più sensibili alle necessità delle donne di colore (“women of color”, cioè afro-americane, amerindiane, orientali, ecc.) e appartenenti ai vari strati economici pone lei alla pari di poeti come Audre Lord, June Jordan, Joy Harjo, Judy Grahn, e la poetessa irlandese Evan Boland. Questa analisi propone solo una lista ridotta dei collegamenti e delle influenze per suggerire la complessa qualità generatrice che una poetica della trasformazione può possedere. Gli usi che lei fa della rabbia, di immagini domestiche, e di sequenze poetiche o del poema lungo offrono altre possibilità di studio.

[Biografia scritta da Rhonda Pettit per l’Enciclopedia della poesia Americana, 2001. Compilata e programmata per il sito web da Gunnar Bengtsson, 2002. © 2006 Adeodato Piazza Nicolai per la traduzione italiana.]

Prospettiva femminista sulla crisi – Amaia Perez de Orozco


In questo video Amaia Perez de Orozco (Economista Femminista Basca), spiega quale può essere l’alternativa femminista alla crisi . Partendo dall’origine della crisi attuale, il suo aggravarsi e l’inizio della crisi della riproduzione sociale.
Per quale vita lottiamo? Quali sono i nostri obbiettivi sociali?
Come ci organizziamo per gestire la vita che vale la pena di vivere?

Siamo tutte no Tav – siamo tutte senza casa

Venerdì 9 Marzo circa 200 precari dei movimenti per il diritto all’abitare hanno messo in atto una protesta pacifica occupando l’androne ed il tratto di strada antistante il CIPE (comitato interministeriale per la programmazione economica), che proprio quel giorno approvava ulteriori finanziamenti a compensazione per la TAV.
1 km di TAV = 1000 case popolari questo era lo slogan della manifestazione con la quale si voleva affermare non solo il principio della solidarietà con i valsusini, ma che la lotta NO TAV, per quello che rappresenta è anche la lotta per i nostri  bi–sogni e per i nostri diritti.
Il pestaggio della polizia, il contemporaneo sgombero della tendopoli dello spreco in via Marcello Boglione in VII° Municipio, il successivo tentativo (fallito) di sgombero dell’occupazione di via di casal boccone con l’uso di lacrimogeni e la distruzione totale della struttura da parte dei reparti della celere, l’arresto di 4 attivisti (ora 3 a piede libero ed uno –paolo – agli arresti domiciliari con restrizione totale della possibilità di comunicare), hanno trasformato una protesta simbolica in una vergognosa giornata di repressione delle lotte sociali e del dissenso.
Le responsabilità di quanto accaduto sono chiare e precise. Vanno cercate nelle politiche liberiste ed antipopolari del governo Monti che dopo aver nuovamente massacrato il diritto alla pensione, prosegue ora nella privatizzazione e nella svendita dei beni comuni, in una nuova contro –riforma del mercato del lavoro che rinchiuderà definitivamente le nostre vite in uno stato di precarietà assoluta e permanente. Vanno cercate nel Sindaco di Roma Alemanno  che prosegue nelle sue politiche di s–vendita del patrimonio pubblico e dei beni comuni – privatizzando ancora l’acqua ed i servizi pubblici locali, regalando ancora la città agli interessi forti delle banche e dei cementificatori. Vanno cercate nella persona del questore di Roma che, mentre la città cade nelle mani della criminalità organizzata, sceglie di prendersela con chi non può permettersi affitti e mutui da 1000 o 1500 euro al mese, promettendo un escalation di arresti e sgomberi.
Ora è chiaro, oltre all’emergenza legata alla crisi economica c’è n’è un altra. La chiusura di ogni spazio di agibilità sociale e politica, la repressione di chi reclama i propri diritti o semplicemente esprime il proprio dissenso e le proprie idee, come accaduto anche con le condanne e le accuse spropositate addebitate  ed inflitte a persone riconosciute o rastrellate a caso durante le grandi manifestazioni di piazza. Per questo crediamo che non solo i movimenti per il diritto all’abitare, ma una città intera, debba mobilitarsi per impedire questa deriva poliziesca e autoritaria.
2,7 miliardi di euro è il costo del solo tunnel TAV della valsusa. Oltre 20 miliardi di euro il costo della intera tratta Torino – Lione (senza contare i finanziamenti per le compensazioni).
Con questi soldi:
Quante casa popolari potrebbero essere realizzate? Quanti Asili Nido? Di quanti ospedali potrebbe essere impedita la chiusura? Quanti centri anti-violenza potrebbero  essere finanziati? Quanti luoghi potrebbero essere recuperati e messi  a disposizione della cittadinanza? Quanti precari e disoccupati potrebbero ricevere un reddito minimo garantito?
Fermiamo questa folle corsa ai profitti di pochi a danno di tutti. Continuiamo a lottare per il diritto alla casa e all’abitare. Per la difesa dei territori, dei beni comuni, dell’acqua pubblica. Per una cultura libera ed indipendente. Per l’accesso e la libera circolazione dei saperi e delle persone. Per la garanzia di servizi pubblici e di qualità. Per i diritti dei lavoratori e un reddito minimo garantito per disoccupati e precari. Per la libertà di pensiero e di movimento.
Le lotte sociali non si arrestano. I nostri diritti e le nostre idee non si sgomberano.
Un’altra Roma è possibile. Un altro mondo è necessario

SABATO 17 MARZO 2012 ORE 15.00
DA PIAZZA VITTORIO
CORTEO CITTADINO
Invitiamo ad organizzare in questi giorni mobilitazioni diffuse in ogni territorio
Paolo Libero! Tutte e Tutti i Liberi!

MOVIMENTI PER IL DIRITTO ALL’ABITARE

La soluzione al problema per il lavoro delle donne? Sposare il marito della Fornero!

Questa mattina un gruppo di precari e precarie è entrato nel Ministero del Lavoro e del Welfare.
L’occupazione simbolica del Ministero che a giorni si appresterà a
varare la prossima riforma del mercato del lavoro, aveva
l’obiettivo di far emergere l’invisibilità della “questione precarietà”
in questi giorni di concertazione.
La ministra ha accettato di ricevere le donne, ha ascoltato le
richieste per poi articolare quelle che secondo lei sono le soluzioni.
Sostanzialmente per le politiche sociali e del lavoro non c’è
disponibilità economica a causa del debito pubblico.

Ci ha colpite l’approccio maternalista improntato all’ascolto solo nei confronti di persone pluriformate, quelle meritevoli di attenzione sono quelle più spendibili nei settori di mercato più precari. Quando di fronte ai suoi appelli alla produttività abbiamo avanzato richieste di discontinuità con il governo precedente, ha glissato non tenendo in considerazione i 26 miliardi che le famiglie fanno risparmiare allo stato in servizi di cura. Il welfare continua a non stare dalla parte di chi produce nell’informalità. Anzi, tagliando i fondi per esigenze di pareggio di bilancio, il carico di cura aumenta e nessun@ l’aggiunge all’ elenco dei costi.

Non si è mostrata disponibile a spendere una parola politica (almeno
rilevante come l’articolo 18) su altre questioni come le dimissioni in
bianco, la disparità di salario (e di reddito) delle donne. Quando
abbiamo fatto presente il problema, ha risposto che la soluzione è
semplice: trovare un marito che si occupi anche della casa, come il suo!
Si è contrapposta ad un reddito incondizionato di base dicendo che
concedendolo, tutt@ avrebbero abbandonato il lavoro vivendo di
sussistenza.
Quando abbiamo ricordato che una forma di sostegno al reddito possa
essere uno strumento utile per la possibilità di moltissime donne di
uscire da situazioni di violenza, la ministra si è alzata dicendo che
non potevamo costringerla ad affrontare questo discorso. Mah…

Bilancio: sapevamo già che le risposte non sarebbero arrivate da quel
luogo, libertà e autodeterminazione ce le conquistiamo ogni giorno.

#OCCUPYWELFARE 9 MARZO 2012 DALLE ORE 14 TUTT@ SOTTO IL MINISTERO DEL
LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, VIA VENETO 56

L’otto marzo tutto l’anno! 

Collettivo femminista (Ebbene sì, sora Forné, i collettivi femministi esistono ancora!)
le Ribellule