Perfettamente Inconciliabili @ Hackmeeting

Venerdì 24 giugno dalle ore 20.00 e sabato 25 giugno dalle ore 11.00 saremo presenti all’Hackmeeting a Firenze con il workshop:

Perfettamente inconciliabili: dal personale al politico.

Dalla narrazione alla proposta politica. Le forme della comunicazione!

Il workshop si svolgerà a partire da una narrazione personale, osservando i provvedimenti legislativi e come essi hanno inciso nelle nostre vite.
La riflessione punterà sulle scelte politiche attuate dai vari governi negli ultimi 20 anni, durante i quali, sia il governo di centro destra che quello di centro sinistra, hanno riproposto le politiche di conciliazione ora sintetizzate nel Libro Bianco presentato dal Ministro Sacconi.

Ci sembra essenziale specificare che le politiche di conciliazione derivano da una programmazione delle pari opportunità. Era infatti una strategia politico/economica rivolta alle donne che accompagnava sempre la presentazione di nuovi margini di flessibilità lavorativa come se questa fosse un premio alla nostra fatica quotidiana. Veniva presentata con artifizi retorici che tentavano di fare passare il part time, la flessibilità, i contratti precari, come una opportunità per le donne di dedicarsi a ciò che le sostanziava in quanto persone la cui “differenza” rappresentava un valore.

Il tema della conciliazione tra lavoro e famiglia fu un ottimo modo per sdoganare le politiche economiche che venivano dettate dalle imprese e da Confindustria. Il risultato fu la costante precarizzazione per le donne che perdevano sempre più opportunità di lavoro alle quali veniva detto che “flessibilità” è “bello”, “concilia con la famiglia”, ti fa stare bene e ti rende più bella la pelle.

In realtà già dieci anni fa, nel 2003, le politiche economiche sostenute da gruppi di donne e dai sindacati maggiori, vennero bocciate da tantissime donne provenienti da tutta l’Europa radunate a discutere di precarietà e lavoro in una iniziativa che si svolse a Parigi (in occasione del social forum europeo a Bobigny una tre giorni dedicata solo alle donne). I sindacati maggiori subirono le rivendicazioni di tante donne arrabbiate che chiedevano a gran voce il full time e la stabilità professionale.

Le politiche della conciliazione sono usate in senso peggiorativo dal governo di centro destra che nel libro bianco di Sacconi racconta di una Italia in cui gli uomini diventano unici soggetti retribuiti, le donne diventano quelle che hanno il dovere di conciliare o meglio di scegliere la famiglia, la maternità, i lavori di cura, gratuiti, in famiglia. Tutto ciò corrisponde con un inquietante piano interdisciplinare che dalla sanità all’economia racconta di donne che sono di proprietà dello Stato il quale decide per noi con chi possiamo vivere la nostra sessualità, in che modo, con quali tempi, con o senza contraccettivi, senza possibilità di utilizzare la pillola del giorno dopo, con una opposizione alla ru486, in una costante ingerenza che ci sottrae qualunque spazio di autodeterminazione.

Il libro bianco di Sacconi racconta anche del ruolo che devono avere in Italia le straniere, adoperate per i lavori di cura, ammesse ancora solo con il sistema dei flussi che regola l’ingresso delle colf in Italia a seconda della richiesta delle famiglie italiane. A queste donne, indispensabili a garantire una qualità della vita per famiglie in cui le donne hanno un lavoro, lo Stato Italiano chiede braccia ma con loro non concilia alcunché perché si stabilisce a priori che non abbiano una famiglia, figli, una propria casa, poiché si pretende siano alloggiate presso le famiglie italiane in cui lavorano. Si ritiene che il peso di tanto lavoro possa ricadere su di loro mentre alle donne italiane, quelle che non possono permettersi una colf, è richiesto di restare a casa, svolgere i lavori di cura e diventare sempre più dipendenti sul piano economico.

Il livello di dipendenza economica delle donne incide anche fortemente sulla quantità di violenze maschili che esse subiscono. Incide sulla possibilità che queste donne hanno di poter ricominciare a esistere qualora decidessero di abbandonare una relazione violenta.

In realtà i piani dei partiti di governo in relazione al diritto di famiglia raccontano come questo aspetto sia risolto istituzionalmente con un maggiore controllo da parte dell’ex coniuge o delle famiglie di provenienza rispetto alle donne che non trovano il modo di ottenere una propria autonomia.

Nulla di quanto avviene in Italia si traduce in politiche che offrono alle donne l’opportunità di scegliere. La famiglia diventa un obbligo. Diventa un obbligo anche il lavoro di cura. Per le donne sembra non esserci alternativa e quelle proposte che parlano di conciliazione che dovrebbero riguardare le donne che un lavoro già ce l’hanno o quelle che potranno trovarlo solo a certe condizioni in realtà raccontano soltanto di uno Stato in cui viene smantellato lo stato sociale, le donne diventano sempre di più l’unico ammortizzatore sociale per le famiglie e per l’intera società, si persegue la “dipendenza” delle donne affinchè siano “utili” a compiere lavoro gratuito in famiglia che fa risparmiare allo Stato diversi miliardi di euro. Le politiche di conciliazione dettano le parole d’ordine, non rispettano i singoli desideri, si rivolgono alle famiglie etero con prole.

Le politiche attuali dunque impongono un unico ruolo e impediscono alle donne di definire i propri desideri quando questi non coincidono con una idea di maternità. Per le donne è diventato impossibile dire, per esempio, che non hanno alcuna intenzione di essere madri. Le stesse lotte per la precarietà, quelle dettate da sindacati e da gruppi di destra (“tempo per essere madri” di casapound) impongono alle precarie di rivendicare la propria condizione affermando spesso che “la precarietà” non va bene perché non ci permette di fare figli, come se invece la precarietà fosse qualcosa di meraviglioso in assenza di un desiderio riproduttivo.

Le politiche di conciliazione discriminano comunque sia le donne che gli uomini. Per le donne la “conciliazione” si risolve nella precarietà lavorativa invece che in asili statali o aziendali che consentano loro di lavorare a tempo pieno. Si risolve nella legittimazione di richieste paradossali come quella – inaccettabile – del sussidio in favore delle casalinghe, a conferma del fatto che i lavori domestici non potrebbero che essere assegnati alle donne invece che rappresentare quell’insieme di impegni che ciascun elemento della famiglia dovrà sostenere.

Per gli uomini si traduce in una discriminazione che li lascia bloccati nei loro ruoli, costretti da chi gli lascia pensare che sono dei privilegiati a sopportare il peso della dipendenza economica di mogli e figli. Una dipendenza, riguardo alle loro compagne, che gli uomini dovranno sostenere anche dopo una eventuale separazione. Perché lo Stato sposta il conflitto tra istituzioni e donne alle quali non consente alcuna opportunità di autonomia, e alle quali viene trasmesso in tutti i modi il messaggio che separarsi non è conveniente, consegnandolo alla tensione spesso irrisolvibile tra uomini e donne.

Infatti anche gli ultimi provvedimenti istituzionali, a vari livelli, su proposte che sono discusse e approvate nei comuni, nelle province, nelle regioni, nel parlamento, pur riconoscendo la difficoltà degli uomini rispetto al fatto che non possono sostenere il mantenimento delle ex compagne, scelgono di affidare ancora una volta forme di assistenza economico/abitative agli uomini piuttosto che sottrarli dalla delega e affidare quelle risorse alle donne permettendo loro così di avere gli strumenti essenziali per poter ricominciare una vita indipendente (paradossale pensare di dare risorse agli uomini perchè gli uomini le “concedano” alle donne, come se le donne non fossero sufficientemente responsabili per gestirsi da sole e sottrarsi dalla dipendenza).

Che le donne siano sole o in coppia in ogni caso il welfare è pensato e gestito in modo tale che esse rimangano sempre dipendenti dagli uomini, siano essi i padri, o comunque i genitori, o i partner o gli ex.

Alle donne è comunque affidato il lavoro di cura dei figli, tant’è che è immaginata con molta difficoltà una soluzione che possa equiparare i ruoli genitoriali e possa permettere ai padri di avere tempo per svolgere pari mansioni nell’ambito familiare. Non viene diffusa una cultura sul congedo parentale. Si immagina sempre che debbano essere le donne ad essere disponibili ad assistere figli e familiari quando questi hanno problemi di salute.

E’ significativo per esempio il fatto che quando i bambini sono in età da asilo bisogna riempire un modulo che è direttamente rivolto alle madri e alle loro condizioni, se studentesse o in stato di precarietà l’asilo riterrà di non accogliere il bambino perché la sua accoglienza è basata sulla classificazione del tempo disponibile che la madre dichiara di avere.

Queste ed altre sono le riflessioni che ci attraversano e che riguardano tutte e tutti, perché le politiche di conciliazione sono inconciliabili con i progetti di vita di chiunque.

Ci riproponiamo di immaginare insieme delle forme di ribellione, di pratiche, varie modalità che possano intrecciarsi in una lotta comune, lo sciopero precario.

L’obiettivo più immediato che vogliamo raggiungere è quello della contaminazione, della condivisione di esperienze per accrescere la consapevolezza, per fare rete e creare punti di riferimento forti che possano essere utili per incontrare le singole lotte, le pratiche individuali di resistenza, le varie dimensioni di resistenza alla precarietà che esistono nei vari territori.

Questo è il metodo che vorremmo usare:

Vorremmo proporre un metodo che ci offra l’opportunità di metterci in rete attraverso le nostre storie, quello che rappresentano rispetto alla narrazione collettiva che riguarda la precarietà.

Perciò il workshop lo immaginiamo scandito da una presentazione, con nome o nickname, la descrizione del lavoro che fai o vorresti fare, del tipo di contratto che hai, o se non hai un contratto sarebbe bello che ciascuno pronunciasse la propria “dipendenza”, senza vergognarsene, perciò sarebbe utile citare anche gli attori o le attrici che ci consentono di sopravvivere. Dunque chi ci supporta, chi ci sostiene economicamente, chi ci permette, se altri o noi stess*, di fare quello che facciamo, leggere, vivere, mangiare, avere un tetto sopra la testa, come riusciamo a dedicarci alla politica, che sappiamo non essere gratuita.

Quello che ci sembra interessante fare è presentare la dipendenza economica, la propria, quella di chi dipende da noi. Raccontare la difficoltà quando non possiamo fare ciò che si desidera. Parlare della difficoltà di portare avanti la politica perché costa. Del non poter partecipare agli spazi dove si discute di te e della tua vita, quindi non poter contribuire alla progettazione della propria esistenza per assenza di gratuità della politica.

Ci interessa caratterizzare l’incontro all’insegna dell’autenticità. Perché sia possibile attuare una sollecitazione alla narrazione. Sarebbe bello pronunciare la propria precarietà e quindi invitare chi prende parte agli altri seminari a presentarsi sostituendo ai vari titoli accademici o rispetto alle proprie competenze la condizione di precarietà se la si vive. Perché se non si pronuncia la precarietà allora la precarietà non esiste.

Vorremmo anche chiedere alle persone che partecipano all’hackmeeting, attraverso la pratica dell’inchiesta, che lascia la libertà di raccontare tre disagi e tre desideri delle singole individualità, di rispondere alle domande che noi stesse ci poniamo perché ogni esperienza, con garanzia dell’anonimato, possa diventare quella che suggerisce una dopo l’altra le parole d’ordine di una lotta comune.

Abbiamo immaginato di poter condividere queste narrazioni sul web con dei report che saranno resi nel rispetto della privacy, in cui non sia presente un identikit preciso di chi si racconta e in cui sia garantito sempre l’anonimato.

Quello che ci sembra fondamentale è fare della propria fragilità un punto di forza e di rivendicazione politica. Riuscire, attraverso la condivisione delle proprie storie, ad abbattere le logiche identitarie. Riuscire anche a fare a meno delle teorie che non basiamo sulle nostre esperienze per creare parole nuove, nuove teorie che siano solo il risultato del nostro vissuto. Perché le parole d’ordine che sceglieremo ci corrispondano perfettamente, perché la nostra lotta ci rappresenti davvero, rappresenti veramente noi con le nostre specificità e le nostre differenze.

Acchiappa la Tarzia

Dopo 11 mesi di mobilitazioni e contestazioni contro la Proposta  Regionale di Legge Tarzia che:
-vuole privatizzare i consultori
-inserire all’interno di essi il Movimento per la Vita e associazioni pro-life
-sviluppare un percorso labirintico e senza privacy per le donne che decidono di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza
-che mette al centro dell’attenzione la famiglia e non più la donna e la sua salute
Vogliamo mandare un messaggio a tutte le città, comuni, provincie e regioni del territorio!
La Tarzia ha intenzione di esportare questo modello nelle altre regioni, dato che ha dei problemi a muoversi in questa città
dove c’è un moviemento che contesta ed è attento a tutte le sue iniziative!
Per questo chiediamo a tutte le donne, precarie, mamme, studentesse di tenersi pronte agli avvistamenti…
Acchiappate la Olimpia Tarzia con ogni mezzo necessario!

Noi, Madri di Valle di Susa

da infoaut.org

Indirizzata al presidente della Repubblica e alla moglie, alle parlamentari italiane, a  le donne dell’associazionismo, del volontariato e a tutte le donne, l’appello delle Madri della Valle di Susa. Già sottoscritto da decine di donne, vi chiediamo di firmare e farlo circolare.

Noi, Madri di Valle di Susa
Nell’autunno del 2005 al Presidio No Tav di Borgone, in Valle di Susa, nel pieno di una pacifica eppure determinata battaglia di democrazia e di civiltà, nata un decennio prima per impedire lo sperpero delle risorse pubbliche e la distruzione di quelle ambientali, ricevemmo una lettera che così cominciava:
“Noi, madri di Plaza de Majo, vicine e solidali alle madri di Valle di Susa…”
Vorremmo oggi poter riproporre quelle parole alte e forti, fatte di condivisione e piene di coraggio, ma la lettera di quelle Madri è stata bruciata, più di un anno fa in un incendio doloso sul quale ancora oggi attendiamo di conoscere risposte e colpevoli (i mandanti e le ragioni ci sono purtroppo assai ben chiari). Quella lettera è diventata cenere, insieme a moltissime altre preziose testimonianze e a un pezzo fondamentale della nostra storia, ma il suo significato e il suo valore restano per noi immutati, scritti nel cuore e perciò non suscettibili di oltraggi esterni.
E’ per questa ragione che oggi siamo noi, madri di Valle di Susa, a riprendere quelle parole, forti di quel coraggio e rivendicandone la stessa dignità.
Noi, madri di Valle di Susa,
che da anni studiamo geologia, indaghiamo i segreti degli appalti, svisceriamo le leggi dell’economia, e approfondiamo temi apparentemente lontani dalla nostra vita, come i flussi di transito, l’inquinamento acustico, la radioattività della pechblenda,
che da anni abbiamo imparato a trovare il tempo non solo per i figli, la scuola dei figli, i lavori di casa, quelli fuori casa, ma anche per la presenza nei Comitati e nei Presidi No Tav,
che abbiamo marciato con il nostro futuro fra le braccia, in marce interminabili, sotto il sole di giugno e nel gelo di dicembre,
che nell’attesa di uno sgombero, abbiamo vegliato attorno ad un fuoco, nelle antiche notti di Venaus e in quelle nuove di Chiomonte, preoccupate non già dei nostri nasi rotti, ma delle manganellate che sarebbero potute cadute sulle teste dei nostri figli,
che abbiamo cucinato quintali di pasta e montagne di polenta per sfamare gli affamati di giustizia, e che non abbiamo saputo rifiutare una tazza di caffè bollente a chi, protetto da uno scudo e in assetto antisommossa, ci è sempre sembrato più una vittima inconsapevole, che un nemico da combattere,

noi,
che chiamiamo Madre la Terra e che ne esigiamo il rispetto dovuto alle madri,
che facendo tesoro del passato non  vogliamo ripetere gli errori di chi ha pensato di poter impunemente sacrificare la salute in nome del guadagno, l’onestà in nome del profitto, la bellezza in nome del denaro,

e che difendendo la nostra Valle da un’opera insostenibile dal punto di vista ambientale, umano, sociale ed economico, stiamo in realtà difendendo l’intera nostra Patria e proponendo un modello di sviluppo più degno per l’intera comunità umana

noi, Madri di Valle di Susa

rigettiamo le accuse che quotidianamente ci vengono mosse: accuse di violenza  e di mancanza di rispetto nei confronti dello Stato e delle sue Istituzioni, che –vogliamo ricordarlo- è una Repubblica democratica la cui base è rappresentata dalla quella Costituzione nata dalla Resistenza alla quale le nostre stesse madri presero parte attiva, combattendo la loro guerra fra le mura domestiche, dentro alle fabbriche e sulle montagne, come staffette e come partigiane,
e rivendichiamo il diritto di proseguire in modo pacifico e determinato la nostra lotta, convinte che la nostra tenace perseveranza possa essere un giorno premiata con il riconoscimento delle ragioni di un intero territorio che ha, come unica pretesa, l’ambizione di avere una vita a bassa velocità, ma ad alta qualità.

Occupazione di donne @Roma!

E se la vita ce la reinventassimo veramente?

CasaLiberaTutte
da oggi, 14 maggio 2011, è nostra!

 

 

 

 

 

 

 

 

Siamo disoccupate e precarie, studentesse e insegnanti, donne e lesbiche, ragazze e , bambini/e, siamo nate e cresciute qui o molto lontano da qui.

Così reagiamo alla crisi che vorrebbe ridurci a lavorare e basta, per pagare affitti insostenibili, facendo i salti mortali per arrivare alla fine del mese.

Scegliamo e ci prendiamo una casa per tutte, uno spazio che risponda al nostro bisogno di casa, di calore, di condivisione, di lotta, di creatività, di gioia.

Una casa per reagire all’imposizione eterosessista e patriarcale e riprenderci una vita libera.

Una casa in cui ci sia spazio per l’immaginazione e il sapere delle donne e delle lesbiche.

Una casa dove autodeterminare e reinventare la nostra vita giorno dopo giorno, libere da ricatti economici, politici, culturali, familiari.

Una casa aperta al quartiere e alla città, dove intrecciare percorsi di lotta e di vita differenti, e costruire reti di solidarietà, informazione e resistenza.

Una casa sociale di donne di paesi e culture diverse che sperimentano insieme la forza e la bellezza dell’incontro, dello scambio e della crescita comune.

Ci siamo incontrate all’interno del progetto Sportello Donna del Volturno Okkupato, che è uno spazio autogestito al femminile, voluto e sostenuto da donne che lottano per il diritto alla casa, contro la violenza maschile, contro la lesbofobia e per l’autodeterminazione della salute e della proprie scelte di vita.

All’interno di questo progetto è maturata sempre di più la consapevolezza della necessità di costruire insieme uno spazio separato di donne, per liberarci dalle sopraffazioni sia materiali che immateriali nelle quali le dinamiche di potere ci costringono.

Confrontandoci sulle nostre diverse esperienze abbiamo preso coscienza delle nostre diversità, dal vissuto delle donne all’interno delle occupazioni delle case a quello delle donne, femministe e lesbiche che abitano sedi politiche separatiste, ma anche della forza della socialità tra donne, e di quanto questa forza sia determinante nei percorsi di cambiamento dei rapporti di potere con gli uomini.

La fisicità di un luogo e la possibilità di sperimentazione sociale collettiva contro le logiche autoritarie sono centrali per i percorsi di rafforzamento e di autonomia delle donne. I luoghi di donne in questa città si contano sulle dita di una mano: alcuni sono sempre più stretta dalla morsa della raccolta di fondi per fare fronte alle insostenibili spese di affitto; mentre altri spazi occupati autogestiti sono sottoposti a minacce di sgombero o ricattati da logiche legaliste che vogliono la monetizzazione delle nostre esperienze.

Vogliamo un luogo dove possano dialogare differenti pratiche di vita, dove ognuna possa sperimentarsi nella composizione fantasiosa della propria esistenza, più libera dai ricatti di padri e padroni e dai compromessi sulla propria pelle.

Vogliamo un luogo che possa sottrarci sia al ricatto economico, sia alle dinamiche di potere familiare; un luogo in cui sperimentarci nella costruzione quotidiana di rapporti tra donne in un percorso di autoconsapevolezza ed espressione dei nostri desideri; un luogo in cui rafforzare la nostra autonomia e autodeterminazione.

La casa è un nostro bisogno, uno spazio per tutte è un nostro desiderio, l’autodeterminazione è una nostra scelta di esistenza!

Invitiamo tutte le donne, le lesbiche, le ragazze, le bambine della città a venirci a trovare e condividere con noi questa esperienza.

CasaLiberaTutte
Via dei Tordi 38, Torre Maura, Roma

Trenino Roma-Pantano direzione Giardinetti oppure 105, fermata Torre Maura

casaliberatutte@gmail.com

Slut on walk! Donne contro la polizia

Articolo dal Corriere, ma qualcosa più di movimento su SlutWalk London

Lo stupro non è colpa delle donne che “se la sono andate a cercare”, come la società a volte vorrebbe raccontarci. A dirlo, questa volta, non sono solo le statistiche (secondo cui una donna su tre è vittima di violenze sessuali) ma centinaia di migliaia di persone comuni che da Seattle a Sidney sono scese in piazza per protestare contro l’abitudine, anche in occidente, di criminalizzare le donne per gli stupri subiti, dando vita al movimento internazionale SlutWalks, (le marce delle puttane).

Tutto è iniziato lo scorso 24 gennaio quando, durante un seminario su prevenzione e sicurezza alla York University di Toronto, il poliziotto canadese Michael Sanguinetti ha rivolto l’infelice raccomandazione alle studentesse:

“Evitate di vestirvi come puttane se non volete diventare vittime”.

Da facebook a twitter alla blogosfera femminista la risposta delle donne è stata corale e fulminea.

Migliaia si sono date appuntamento a Toronto per organizzare la prima di innumerevoli marce di protesta contro l’odioso pregiudizio che avvelena anche i nostri sistemi giudiziari. “Ne abbiamo abbastanza” spiega la 25enne Heather Jarvis, vittima di uno stupro a soli 14 anni e una delle 5 fondatrici del movimento SlutWalk Toronto, “non protestiamo solo contro l’idea o contro il poliziotto: marciamo per cambiare il sistema”.

Dopo la SlutWalk che si è svolta a Boston l’8 maggio, il tam tam ha raggiunto Europa, Australia e Asia. Il prossimo appuntamento è fissato in contemporanea a Londra e Amsterdam per il prossimo 4 giugno.

Ogni donna, bella o brutta, giovane o attempata, sa esattamente di cosa si parla, per averlo vissuto sulla propria pelle. L’esternazione del poliziotto Sanguinetti, che peraltro non è stato allontanato dal servizio come sarebbe stato giusto, è la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Molte di voi ricorderanno le forti proteste che si levarono in Italia nel 1999 quando un Giudice della Corte Suprema sancì che una donna in jeans non poteva essere vittima di violenza “senza consenso”, data l’impossibilità di sfilare senza aiuto i pantaloni.

Persino un giornale liberal come il New York Times è finito nella bufera di recente per un controverso articolo sullo stupro di gruppo ai danni di una ragazzina di una scuola elementare del Texas, “colpevole”, secondo il giornalista James McKinley Jr. di “truccarsi e vestirsi in una maniera più adeguata ad una donna di 20 anni”.

“Si dà la colpa al padrone se qualcuno irrompe nella sua bella casa?”, punta il dito Elizabeth Webb, animatrice della marcia svoltasi a Dallas lo scorso 23 aprile, anche lei vittima di violenza sessuale. “Lo stupro è un’esperienza già molto traumatica”, teorizza la Webb, “imputarne la responsabilità a chi lo subisce ingigantisce la ferita psicologica”.

Speriamo che il messaggio venga recepito anche dal giudice di Manitoba che lo scorso febbraio ha assolto uno stupratore (“un maldestro Don Giovanni”, l’ha definito) che non aveva saputo resistere all’adescamento della sua vittima, “colpevole” di aver indossato

“una maglietta troppo attillata senza reggiseno, tacchi alti e make-up”, rendendo secondo lui “inevitabile” l’aggressione sessuale.