Judith Butler rifiuta il “premio al coraggio civile” dal pride di Berlino

Judith Butler rifiuta il "premio al coraggio civile" dal pride di Berlino:

"Devo prendere le distanze dalla complicità con il razzismo"

http://www.youtube.com/watch?v=T0BzKCRgnj8

Come attivist* Trans e queer neri e alleati accogliamo con molto piacere
la decisione di Judith Butler di rifiutare Zivilcourage Prize conferitole
dal Pride di Berlino. Apprezziamo il fatto che una delle teoriche più
affermate abbia utilizzato la sua notorietà per sostenere la critica
‘queer of colour’ contro il razzismo, la guerra, le frontiere, la violenza della
polizia e l’apartheid. Soprattutto, consideriamo un atto dirompente la sua
denuncia e la sua critica aperta alla connivenza degli organizzatori/trici
con le organizzazioni omonazionaliste. Il suo coraggioso discorso
testimonia la sua apertura a nuove idee e la prontezza nel confrontarsi
con il nostro lungo percorso politico e il nostro lavoro accademico che non
soltanto portiamo avanti nell’isolamento e nella precarietà ma troppo
spesso finisce per essere strumentalizzato e appropriato indebitamente da
altri/e.

Purtroppo, ancora una volta le organizzazioni di attivisti/e neri/e, che
secondo Butler avrebbero meritato il premio molto più che lei stessa, non
stati neanche menzionati nei comunicati del Pride. Butler ha dedicato il
premio a GLADT www.gladt.de), LesMigraS (www.lesmigras.de), SUSPECT e
ReachOut (www.reachoutberlin.de). Nonostante ciò l’unico spazio politico
riportato nei comunicati è il Transgenial Christopher Street Day, un Pride
alternativo a predominanza bianca. Invece di affrontare il tema del
razzismo, la stampa si è concentrata sulla semplice critica alla
commercializzazione, nonostante le parole di Butler siano state molto
chiare: “Devo prendere le distanze dalla complicità con il razzismo,
compreso il razzismo islamofobico”. Ha inoltre sottolineato che non solo
gli omosessuali ma anche “bi, trans  e i soggetti queer possono essere
strumentalizzati da quelli che alimentano lo stato di terrore.
Il comitato organizzativo, per voce di Renate Künast del partito dei verdi
(che sembrava avere difficoltà nel pronunciare il nome della vincitrice e
nell’introdurre aspetti basilari dei suoi scritti) ha presentato Butler
come una teorica determinata. Cinque minuti dopo, la stessa determinazione
critica ha fatto cadere a terra le facce dei presentatori. Piuttosto che
appoggiare il suo discorso, Jan Salloch e Ole Lehmann hanno pensato bene
di rifiutare completamente ogni accusa di razzismo e  di attaccare i circa
cinquanta queer of colour e alleati che erano andati alla manifestazione
in sostegno di Butler; “Potete urlare finché volete. Non siete la
maggioranza.
Questo è tutto”.  Il finale è stato una fantasia imperialista intonata
sullo sfondo del Brandenburger Tor: “Il Pride non è solo la continuazione
di questo programma… Non importa cosa… In tutto il mondo e qui a Berlino…
È sempre stato così e sempre così sarà”.
In questi ultimi anni, il razzismo è stato il filo rosso dei Pride
internazionali, da Toronto a Berlino, come anche del panorama gay in
generale (guarda l’articolo premonitore, del 2002, ‘Monster Terrorist Fag’
– ‘mostro terrorista frocio’, scritto dalle due teoriche queer of colour,
Jasbir Puar e Amit Rai). Nel 2008, il pride di Berlino aveva un motto
‘Hass du was dagegen?’, che si potrebbe tradurre come “hai un problema o cosa?”
(la frase in tedesco imita in modo razzista la parlata dei/delle
migranti).
Homophobia e Transphobia sono state ridefinite come i problemi dei giovani
neri che apparentemente non parlano perfettamente tedesco, o la cui
identità tedesca è sempre messa in discussione, e semplicemente non
appartengono a quella società. Il 2008 è anche l’anno in cui i discorsi
sui crimini d’odio sono entrati a far parte significativamente delle politiche
sulla sessualità in Germania. La rapida assimilazione di questi concetti è
stata aiutata dal fatto che il violento criminale omofobo aveva già un
volto: migranti, che erano già stati criminalizzati, incarcerati e anche
deportati – un fenomeno che cresce costantemente e con molta facilità.
Questo panico moralista è stato reso credibile da discutibili pratiche
mediatiche e dai cosiddetti studi scientifici: dove ogni caso di violenza
che può essere collegato a persone gay, lesbiche, bi o trans (non importa
se il presunto responsabile sia bianco o no e non importa se il movente
sia l’omofobia, la transfobia o una lite per un parcheggio) viene diffuso come
l’ultimissima prova di ciò che sappiamo già – che i gay, in particolare
gli uomini gay bianchi, sono quelli che stanno peggio di tutti e che la colpa
è del migrante omofobo.
Questa “verità” sempre più accettata è in larga misura il frutto del
lavoro di organizzazioni omonazionaliste come Lesbian and Gay Federation
Germany e la gay helpline Maneo, la cui stretta collaborazione con il
Pride ha fatto sì che Butler rifiutasse il premio. Il loro lavoro consiste in
larga parte di campagne mediatiche che rappresentano i migranti come
“arretrati”, “patriarcali”, “omofobi”, “violenti” e che non si possono
“integrare” nella società occidentale. Nonostante tutto questo, è ironico
il fatto che una di queste associazioni riceve fondi pubblici per
“proteggere” persone nere dal razzismo.
Il ‘Rainbow Protection Circle against Racism and Homophobia’ nel quartiere
gay Schöneberg è stato spontaneamente accolto dal capo della giunta del
quartiere aumentando la presenza del controllo della polizia. Da
antirazzisti sappiamo purtroppo molto bene cosa significa quando avere più
polizia (LGBT o no) in una zona dove molte persone nere vivono
soprattutto in tempi di “guerra al terrore” e “sicurezza, ordine e decoro”.
È questa, quindi, la tendenza della politica gay bianca, quella di
sostituire una politica della solidarietà, di relazioni e di
trasformazione radicale con una polica di criminalizzazione, militarizzazione e sempre
più forte difesa dei confini nazionali, che Butler ha denunciato, anche in
risposta alle critiche e agli scritti di soggetti queer neri. Diversamente
dalla maggioranza dei/delle queer bianche, Butler si è esposta avendo una
posizione chiara e decisa. Consideriamo questo un atto di vero coraggio.
Yeliz Çelik, Sanchita Basu, Lucy Chebout, Lisa Thaler, Jin Haritaworn, Jen
Petzen, e Cengiz Barskanmaz von SUSPECT
20 giugno, 2010.
SUSPECT è un nuovo gruppo di queer e trans migranti, persone nere, people
of colour e alleati. IL nostro obiettivo è di monitorare gli efetti del
dibattito dei crimini d’odio e costruire le comunità che sono libere dalla
violenza in tutte le forme interpersonali e istituzionali.
Per ulteriori informazioni su SUSPECT
Fonte originale su blacklooks