NEONATI DAL SESSO INCERTO E DISTURBI DELLA DIFFERENZIAZIONE SESSUALE: RENDERE RETORICI IL PENE E LA VAGINA ATTRAVERSO L’OMISSIONE DEL CORPO INTERSEX.
di Lorenzo Santoro
Quello di cui sono sempre stato accusato è di voler tenere un piede in due scarpe, per il semplice motivo di aver scelto oltre il mio genere anche il mio sesso; sono cosciente di essere una persona scomoda, un soggetto che fa diventare folle uno psichiatra, fantasioso l’empirismo e irragionevole la ragione. Sono la dimostrazione vivente che si può togliere per edificare senza però rimuovere, processo questo che può avvenire solo nella piena coscienza della persona altrimenti si può parlare solo di distruzione, l’esperienza è quanto di più prezioso abbiamo e non deve essere un lusso permettersela. Sono stato riconosciuto alla nascita come maschio, sento mio questo sesso, è con questo segno che ho costruito il mio linguaggio psico-corporeo, sono uomo, sono frocio.
A 14 anni ho sviluppato il seno evento che non ha inficiato la mia identità, a 20 anni mi è stata diagnosticata la sindrome di Klinefelter 47 xxy. La letteratura medica e i metodi contenitivi della sanità pubblica che sono stati scritti, creati, applicati e testati su pazienti come me accusati di essere affetti da disturbi della differenziazione sessuale sono pratiche di annientamento della salute psichica dell’individuo, nonché di censura di quelle forme che né un neonato né un adulto può rimuovere nel profondo solo perché eliminate in superficie. Mi scuso con chi non è mai riuscito a tenere il suo fottuto piede in due scarpe, per aver fatto mia per un periodo della mia vita la parola intersex che mi ha permesso di uscire dalla catena di montaggio della creazione di corpi e menti standard, uso che è stato solo transitivo, ma che mi ha messo nella posizione di poter andare avanti per poi tornare indietro alla mia salda identità di maschio, uomo, frocio. Non sono l’unico, sono l’unico che lo dice, non è questo un atto di accusa, io stesso forse per aver frequentato troppo a lungo corridoi, panche, sale di attesa, studi e lettini di ospedali ho paura di ripercussioni che possano mettere in pericolo la mia salute, ma è proprio per questo che ho deciso di parlare, per scindere tra corpo e salute. L’iter medico che seguo, che tra l’altro previene e non cura, è ottimale per il mio benessere fisico; è l’invenzione che ci sia un nesso tra sesso e salute a mettere in pericolo la vita delle persone che si definiscono intersex o che non si definiscono in tale modo. Lungi dal mettermi nei panni di un chirurgo ho scelto di intervenire, ma non ai fini di censurare un corpo ma per portare alla luce quali sono le prassi del discorso e dell’azione che vengono compiute nei confronti di persone considerate alla nascita come incerte.Quello di cui sono sempre stato accusato è di voler tenere un piede in due scarpe, per il semplice motivo di aver scelto oltre il mio genere anche il mio sesso; sono cosciente di essere una persona scomoda, un soggetto che fa diventare folle uno psichiatra, fantasioso l’empirismo e irragionevole la ragione. Sono la dimostrazione vivente che si può togliere per edificare senza però rimuovere, processo questo che può avvenire solo nella piena coscienza della persona altrimenti si può parlare solo di distruzione, l’esperienza è quanto di più prezioso abbiamo e non deve essere un lusso permettersela. Sono stato riconosciuto alla nascita come maschio, sento mio questo sesso, è con questo segno che ho costruito il mio linguaggio psico-corporeo, sono uomo, sono frocio.
A 14 anni ho sviluppato il seno evento che non ha inficiato la mia identità, a 20 anni mi è stata diagnosticata la sindrome di Klinefelter 47 xxy. La letteratura medica e i metodi contenitivi della sanità pubblica che sono stati scritti, creati, applicati e testati su pazienti come me accusati di essere affetti da disturbi della differenziazione sessuale sono pratiche di annientamento della salute psichica dell’individuo, nonché di censura di quelle forme che né un neonato né un adulto può rimuovere nel profondo solo perché eliminate in superficie. Mi scuso con chi non è mai riuscito a tenere il suo fottuto piede in due scarpe, per aver fatto mia per un periodo della mia vita la parola intersex che mi ha permesso di uscire dalla catena di montaggio della creazione di corpi e menti standard, uso che è stato solo transitivo, ma che mi ha messo nella posizione di poter andare avanti per poi tornare indietro alla mia salda identità di maschio, uomo, frocio. Non sono l’unico, sono l’unico che lo dice, non è questo un atto di accusa, io stesso forse per aver frequentato troppo a lungo corridoi, panche, sale di attesa, studi e lettini di ospedali ho paura di ripercussioni che possano mettere in pericolo la mia salute, ma è proprio per questo che ho deciso di parlare, per scindere tra corpo e salute. L’iter medico che seguo, che tra l’altro previene e non cura, è ottimale per il mio benessere fisico; è l’invenzione che ci sia un nesso tra sesso e salute a mettere in pericolo la vita delle persone che si definiscono intersex o che non si definiscono in tale modo. Lungi dal mettermi nei panni di un chirurgo ho scelto di intervenire, ma non ai fini di censurare un corpo ma per portare alla luce quali sono le prassi del discorso e dell’azione che vengono compiute nei confronti di persone considerate alla nascita come incerte.
Quando ero bambino non mi piaceva molto anzi affatto la pasta con il sugo, che fosse con la carne, con le melanzane o finto (senza niente), comunque non mi andava giù, così mia nonna per farmi mangiare la pasta col pomodoro escogitò un metodo sublime per una piccola frocia come me: la pasta rosa. Questa pietanza che ai miei occhi appariva squisitamente eccentrica era semplicemente una pasta con meno passata e per questo aveva su per giù lo stesso colore delle big buble alla fragola. Nonna Tita aveva semplicemente cambiato le carte in tavola per farmela mandare giù senza che io me ne accorgessi e c’è riuscita, era il mio colore preferito!
Ma andiamo avanti nel tempo di 23 anni e spostiamo l’orologio indietro di 24 ore; ieri mentre mi stavo per tuffare nella mia insalata feta, cetrioli, peperoni e origano, poso lo sguardo su un articolo di la Repubblica online che titolava così: “Sesso incerto” dei bambini, al San Camillo boom di interventi: più 50 per cento in 5 anni. Sottotitolo: Un neonato su 5 mila è affetto da questo disturbo. L’operazione è risolutiva ma deve essere effettuata prima del compimento dei 6 anni.Adesso rileggiamo titolo e sotto titolo con le pause proposte dal giornalista con i segni interpuntivi, sesso incerto /pausa/ dei bambini /pausa/ al San Camillo boom di interventi /pausa/ un neonato su 5 mila è affetto da questo disturbo /pausa/ l’operazione è risolutiva ma deve essere effettuata prima del compimento dei 6 anni /pausa/.
Forse sono matto ma la prima cosa che ho fatto è proprio questa, ho sostituito alle virgole e ai punti un battito di mani ed è così che mi è venuta in mente la cucina di nonna Tita, ed ho capito che qualcuno sta cambiando non solo le carte ma anche le regole del gioco. Quello che dovrebbe essere il soggetto (i bambini) suona nella frase come un aggettivo, la scena è completamente occupata dal sesso incerto, la lingua batte dove il dente duole diceva qualcuno, e già, perché un neonato assai poco sa di come noi grandi ci viviamo il sesso che ci portiamo nelle mutande, tanto che, continua il titolo, è l’azienda ospedaliera del San Camillo che propone l’intervento non di certo il nascituro, ma se la pillola da mandare giù fosse soltanto questa giù non ci andrebbe, perché è chiaro che quello che propone la sanità pubblica non è un semplice intervento, ma un vero e proprio atto di violenza ai danni di un individuo che per il suo status neonatale non è in grado di esprimere alcuna scelta per tutelare i suoi confini, che, ad un giorno o mese di vita non possiamo neanche definire con le categorie di identità di genere, sesso e orientamento sessuale per il semplice motivo che il soggetto in questione sta ancora costruendo la sua dialettica corporea, con la quale sceglierà in futuro di relazionarsi a tutto ciò che è al di fuori dei suoi limiti… così come Mary Poppins ci danno un po’ di zucchero.
Il sottotitolo incalza in modo direttamente esplicito e con le stesse doti di pittore di Hitler, lo scrittore ci dona una sua fantastica suggestione su cosa è il sesso incerto, ma per la paura di far apparire il suo testo troppo narrativo si limita a riportare quello che apparentemente è un accaduto, un fatto dimostrabile empiricamente: un neonato su 5 mila è affetto da questo disturbo, è così che la sanità giustifica il suo operato ed è così che una persona x su un pianeta x della nostra galassia può permettersi di dire che l’operazione è risolutiva e deve essere effettuata entro i sei anni, perché dopo una persona capisce che di certo di “sesso incerto” non ci muore, o forse sto parlando dall’oltre tomba, sento una voce, mi stanno chiamando, odo queste parole. Lorenzoooo se ci sei batti un corpooo.
Al risveglio dall’operazione di asportazione delle ghiandole mammarie che io ho scelto di fare a 20 anni, mi sentivo cavo come un vulcano spento, ho pianto per un mese, ho tentato di spaccare la porta del bagno a pugni, ho riempito di sputi lo specchio, ho preso a calci tutto quello che di inanimato mi è passato sotto il naso, ci sono voluti 2 anni di analisi per elaborare questo lutto, pensate a quale danno viene arrecato ad un neonato a cui viene tagliata la clitoride soltanto perché più lunga di un fantomatico mondo normale, che non è in grado di sfogarsi, di capire cosa gli è accaduto, di elaborarlo e peggio ancora di dirlo.
Ma veniamo al corpo dell’articolo, Aldo Morrone il direttore generale dell’azienda ospedaliera della struttura in questione afferma che questi piccoli sono affetti da disturbi della differenziazione sessuale, grandi paroloni che mettono in soggezione, essere affetti significa avere qualcosa di malato, il disturbo segna una disfunzione, la differenziazione sessuale crea l’esistenza di sessi differenti che nell’economia interna del testo vengono implicitamente identificati in maschio e femmina, in parole semplici e comprensibili il racconto ci sta dicendo che ci sono persone che hanno un sesso differente dal cazzo e dalla figa e questa differenza viene individuata come malattia, è opportuno aggiungere quello che è omesso: il disturbo in questione è identificato dalla medicina occidentale come sindrome, una sindrome può essere tenuta sotto controllo, ma non va via con un’operazione, mutare il corpo non muta la mappa cromosomica né il tasso ormonale nel sangue, c’è qualcosa di molto più profondo del voler solo curare, che spinge questi dottori e questa medicina nell’optare per un’operazione di questo genere. E la soluzione la troviamo nelle stesse righe, perché prima ci si è appurati di costruire la malattia attraverso metodi neanche troppo sofisticati di costruzione del periodo e poi nelle ultime tre righe troviamo citati gli “interventi per definire il sesso”. Ma come? È una malattia cromosomica e ormonale, che c’entra la definizione del corpo? Cosa disturba veramente – e chi -, il corpo o le problematicità legate al benessere? Come mai si ha così tanta difficoltà nell’accettare un dato di realtà e quali sono i meccanismi che spingono le persone a voler materializzare su un corpo altrui le proprie fantasie riguardanti il corpo e le sue funzioni? Cosa comunica un corpo intersex di così tanto orribile dal dover essere immediatamente censurato? Perché si crede che un neonato non sappia definire il proprio sesso? Il San Camillo ha una sede distaccata su Plutone dove non esistono le identità di genere e i sessi eletti all’esistenza? Non so rispondere a tutte queste domande, forse soltanto ad alcune. Sicuramente il San Camillo si trova a Monte Verde al di là del Tevere, quindi fuori le mura, forse c’è qualche nesso, ma mi sembra altamente improbabile, allora sarò più violento, temo che il corpo intersex (e attenzione, non è detto che una persona con un corpo intersex definisca il proprio sesso in questo modo) ci stia comunicando che i nostri parametri per leggere la realtà sono retorici non oggettivi; nominare e costruire in modo ossessivo peni e vagine e ripetendo all’infinito questa filastrocca non è comunque un metodo che riesce a nascondere il dato di fatto essenziale, ovvero che bisogna creare delle condizioni artificiose per intervenire su un corpo che altrimenti avrebbe uno statuto a se stante di esistenza. Se lasciassero queste forme libere di esistere, un pene e una vagina diverrebbero soggettivi e non oggettivi e così per un effetto domino la mappa cromosomica e gli ormoni non sarebbero più elementi essenziali e costitutivi del proprio corpo. Non è un caso che si adoperi la parola disturbo perché è vero questi bambini disturbano le bugie che ci raccontano i grandi.
Mi rendo conto che questo testo è limitato e parziale per l’assenza di molte voci e per l’eccessivo ascolto di quelle di dottori, chirurghi, psichiatri, filosofi e persone interessate all’argomento. Non metto in dubbio che tra queste ci possano essere parole e posizioni condivisibili, ma la comprensione e la condivisione non significano come un’esperienza, per questo soltanto noi possiamo denunciare il silenzio assordante e l’invisibilità alla quale veniamo condannati, le torture fisiche e psichiche a cui veniamo sottoposti in nome della felicità altrui, l’uso improprio della medicina e della psichiatria (semmai esista un uso proprio di quest’ultima), la costruzione di discorsi terroristici che fondano il loro potere sulla base dell’ignoranza e della paura e che investono brutalmente non solo i “pazienti” ma anche le loro famiglie, la sottrazione indebita dell’allegria, del sorriso, della spensieratezza, della gestione del proprio corpo e della propria mente, l’intento di eliminare la nostra capacità di fantasticarci, sognarci, esserci, amarci e armonizzarci, la creazione totalmente infondata di una presunta infermità fisica e mentale, l’induzione di angosce ed ansie, l’atteggiamento di pena con cui alcuni psichiatri ci trattano cercando di convincerci che abbiamo bisogno del loro aiuto. E più saranno le voci più saranno le lotte.
Lorenzo Santoro.
_________________________________________________________________________
Per approfondire il film XXY racconta la vita di un*adolescente intersex, mentre l’articolo “I sessi sono cinque. Almeno” di Elena del Grosso (Partire dal corpo. Laboratorio politico di donne e uomini, Ediesse 2011) affronta da un punto di vista biologico il tema.