Sei donna? E allora che donna sei?
1. La domestica: la mamma, dolce, remissiva, da sposare!
2 .La seduttrice: amante, disinibita, audace, una vera donna!
3.La determinata: risoluta, pragmatica, pratica, pronta a tutto!
4.La manager: sicura di se stessa, vive per la sua carriera, un incubo per i colleghi!
5.La vendicativa: ricorda sempre i suoi nemici, non perdona un piccolo tradimento.
6.La femminista: lesbica, baffuta, un vero tormento per gli uomini!!
La realtà è che è evidentemente difficile identificarsi in questi modelli: essi infatti non sono specchi della realtà, bensì stereotipi forzati che propongono modelli di donne artificiali CHE NON ESISTONO, mascherando difetti e pregi di noi tutte.
I mass media veicolano una immagine femminile che modifica le aspettative di che le osserva, deviandone i comportamenti in base a parametri predefiniti piuttosto che alle esigenze delle spettatrici. La perdita di identità provoca la proiezione di se stesse in modelli irraggiungibili che diventano però l’unica meta vincente. Così la televisione e la pubblicità inducono nelle donne dei bisogni, ne condizionano le scelte, associandole al prodotto ( che sia merce o immagine) in vendita.
Se un prodotto è pubblicizzato da una donna in cui ti riconosci, allora sei indotta a comprarlo, o ancora di piu’desideri essere come la donna che vuole venderlo: le sue caratteristiche diventano acquistabili tanto quanto il prodotto attraverso esso ed oltre. La donna diventa allo stesso tempo mezzo e fine della vendita, strumento e merce del messaggio pubblicitario. L’immagine della donna che viene restituita è di puro strumento, un oggetto decorativo che susciti blande eccitazioni: non restituisce nulla della complessità, della ricchezza di pensiero, della crescita della donna.
L’universo mentale ed intellettivo delle donne resta in ombra in quanto l’immagine proposta si ferma sempre alla pura superficie corporea e allo stereotipo.
La pubblicità veicola dei valori sessisti. Pubblicità non è arte, ricordiamolo. Il suo solo scopo è vendere. Rifiutarla non vuol dire praticare CENSURA, ma lottare contro un’aggressione che ci viene proposta ogni giorno. Le pubblicità sono ovunque, in televisione, sui giornali, su internet, per le strade, sui cartelloni. Per non vederle bisognerebbe non fare niente, non uscire. In questo modo pubblicità partecipa alla costruzione della nostra identità e alle differenze di genere. Oggi la pubblicità è cambiata. Se prima erano evidenti ruoli maschili e femminili, oggi i veicoli a cui si appoggia sono molto più subdoli ed invisibili. Nella sua trasformazione negli anni, non punta soltanto alla vendita di un prodotto, ma anche e soprattutto alla creazione di categorie nelle quali tutti possiamo ritrovarci e poterci conformare.
La “normalità” è quello che vediamo sempre, quello a cui siamo abituati, la pubblicità è normale, perché è tutta intorno a noi. Quindi è normale che la donna sia usata come veicolo dei messaggi pubblicitari. E’ normale che sia nuda e disponibile. E’ normale che abbia gambe lunghe e un seno invitante. Quante ragazze sviluppano nella loro crescita una cattiva immagine del loro corpo? Il modello che ci viene fornito non è solo stereotipato, ma anche ipersessualizzato.Ci sono vari livelli in cui il sessismo si palesa. Ci sono le pubblicità che rievocano le donne come mamme-casalinghe, in modo più fine, meno diretto ovviamente, rispetto a cinquanta anni fa.
Tuttavia il tipo di pubblicità maggiormente tollerato implica l’utilizzo della donna come oggetto sessuale. Cosa c’è di più normale di vedere il seno e i glutei di una donna per comprare il silicone, le mattonelle, o lo yogurt? Cosa sottintendono queste pubblicità? Non è l’esposizione del corpo della donna che contestiamo, ma l’uso che ne viene fatto. Forse il seno o i glutei di una donna possono essere comprati con la stessa facilità con cui si compra il silicone? Visto che non si può avere la donna compro il silicone? Mah.
Le pubblicità di abbigliamento intimo ci portano ad una diversa riflessione. E’ normale (sempre questa parola che ritorna) che la pubblicità del reggiseno sia fatta da una donna seminuda (o anche da un uomo). Il problema infatti non è questo. Il problema è che le modelle lo sono di professione, di solito sono naturalmente belle, di solito sono anche immagini modificate al computer, così da rendere la pelle più setosa, la gamba più lunga, il seno più sodo.Insomma, è uno stereotipo, che oltre ad essere tale, è IRREALE. Inoltre riguarda tutti e tutte, compreso l’universo maschile. Quest’ultimo si conforma al modello virile, attivo e SOGGETTO delle proprie azioni. La donna a quello di essere bella, desiderabile, APPARENDO, NON ESSENDO.
E’ difficile proporre una “soluzione” alla questione:
per difendersi bisogna prima comprendere il problema, cercare di osservarlo con occhio critico per rispondere in maniera attiva al bombardamento mediatico cui siamo sottoposte. Cercare di liberarsi degli stereotipi è possibile solo se ne comprendiamo la natura e l’origine. Autodeterminarsi significa riconoscere se stessa non nelle immagini proposte al di fuori di noi, ma attraverso le immagini che noi stesse costruiamo.
"VITTIMA DELL’INGANNO DI QUESTO SECOLO CHE RINCORRE IL MITO DI FORME AVVENENTI E CHIRURGIA ESTETICA”