Articolo dal Corriere, ma qualcosa più di movimento su SlutWalk London…
Lo stupro non è colpa delle donne che “se la sono andate a cercare”, come la società a volte vorrebbe raccontarci. A dirlo, questa volta, non sono solo le statistiche (secondo cui una donna su tre è vittima di violenze sessuali) ma centinaia di migliaia di persone comuni che da Seattle a Sidney sono scese in piazza per protestare contro l’abitudine, anche in occidente, di criminalizzare le donne per gli stupri subiti, dando vita al movimento internazionale SlutWalks, (le marce delle puttane).
Tutto è iniziato lo scorso 24 gennaio quando, durante un seminario su prevenzione e sicurezza alla York University di Toronto, il poliziotto canadese Michael Sanguinetti ha rivolto l’infelice raccomandazione alle studentesse:
“Evitate di vestirvi come puttane se non volete diventare vittime”.
Da facebook a twitter alla blogosfera femminista la risposta delle donne è stata corale e fulminea.
Migliaia si sono date appuntamento a Toronto per organizzare la prima di innumerevoli marce di protesta contro l’odioso pregiudizio che avvelena anche i nostri sistemi giudiziari. “Ne abbiamo abbastanza” spiega la 25enne Heather Jarvis, vittima di uno stupro a soli 14 anni e una delle 5 fondatrici del movimento SlutWalk Toronto, “non protestiamo solo contro l’idea o contro il poliziotto: marciamo per cambiare il sistema”.
Dopo la SlutWalk che si è svolta a Boston l’8 maggio, il tam tam ha raggiunto Europa, Australia e Asia. Il prossimo appuntamento è fissato in contemporanea a Londra e Amsterdam per il prossimo 4 giugno.
Ogni donna, bella o brutta, giovane o attempata, sa esattamente di cosa si parla, per averlo vissuto sulla propria pelle. L’esternazione del poliziotto Sanguinetti, che peraltro non è stato allontanato dal servizio come sarebbe stato giusto, è la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Molte di voi ricorderanno le forti proteste che si levarono in Italia nel 1999 quando un Giudice della Corte Suprema sancì che una donna in jeans non poteva essere vittima di violenza “senza consenso”, data l’impossibilità di sfilare senza aiuto i pantaloni.
Persino un giornale liberal come il New York Times è finito nella bufera di recente per un controverso articolo sullo stupro di gruppo ai danni di una ragazzina di una scuola elementare del Texas, “colpevole”, secondo il giornalista James McKinley Jr. di “truccarsi e vestirsi in una maniera più adeguata ad una donna di 20 anni”.
“Si dà la colpa al padrone se qualcuno irrompe nella sua bella casa?”, punta il dito Elizabeth Webb, animatrice della marcia svoltasi a Dallas lo scorso 23 aprile, anche lei vittima di violenza sessuale. “Lo stupro è un’esperienza già molto traumatica”, teorizza la Webb, “imputarne la responsabilità a chi lo subisce ingigantisce la ferita psicologica”.
Speriamo che il messaggio venga recepito anche dal giudice di Manitoba che lo scorso febbraio ha assolto uno stupratore (“un maldestro Don Giovanni”, l’ha definito) che non aveva saputo resistere all’adescamento della sua vittima, “colpevole” di aver indossato
“una maglietta troppo attillata senza reggiseno, tacchi alti e make-up”, rendendo secondo lui “inevitabile” l’aggressione sessuale.