La volontà di sapere

La Storia della sessualità è composta
da tre
volumi: oltre a quello già citato, furono pubblicati L’uso dei
piaceri
e La cura di sé, editi in Italia da
Feltrinelli, a cui
è da aggiungersi l’inedito, Les aveux de la chair.

Obiettivo dell’autore è quello di ricostruire la
genealogia
della sessualità, come indica anche il titolo, indagare le relazioni fra
formazioni di sapere e dispositivi di potere, analizzare i processi di
costituzione della moderna arte di governo (intesa come insieme di
tecniche
destinate a dirigere il comportamento degli uomini, nel corso di tutta
la loro
vita e in tutti gli aspetti della loro esistenza), a partire dal governo
delle
anime del cristianesimo primitivo, ricostruire i modi in cui il
soggetto, in
diverse epoche e in diversi contesti istituzionali, è stato costituito
come
oggetto di conoscenza, oggetto di un discorso vero.

"Quel che è caratteristico delle società moderne non è che abbiano condannato il sesso a restare nell’ombra, ma che sianoo condannate a parlarne sempre, facendolo passare per il segreto".

 

 

"là
dove c’è potere c’è resistenza e (…) tuttavia, o piuttosto proprio per
questo, essa non è mai in posizione di esteriorità rispetto al potere. Bisogna
dire che si è necessariamente ‘dentro’ il potere, che non gli si ‘sfugge’, che
non c’è, rispetto ad esso, un’esteriorità assoluta, perché si sarebbe
immancabilmente soggetti alla legge? O che, se la storia è l’astuzia della
ragione, il potere sarebbe a sua volta l’astuzia della storia – ciò che vince
sempre? Vorrebbe dire misconoscere il carattere strettamente relazionale dei
rapporti di potere. Essi non possono esistere che in funzione di una
molteplicità di punti di resistenza, i quali svolgono, nelle relazioni di
potere, il ruolo di avversario, di  bersaglio, d’appoggio, di sporgenza
per una presa. Questi punti di resistenza sono presenti dappertutto nella trama
del potere. Non c’è dunque rispetto al potere un luogo del grande
Rifiuto – anima della rivolta, focolaio di tutte le ribellioni, legge pura del
rivoluzionario. Ma delle resistenza, che sono degli esempi di specie:
possibili, necessarie, improbabili, spontanee, selvagge, solitarie, concertate,
striscianti, violente, irriducibili, pronte al compromesso, interessate o sacrificali;
per definizione, non possono esistere che nel campo strategico delle relazioni
di potere. Ma questo non vuol dire che ne siano solo la conseguenza, il segno
negativo, che costituisce, rispetto alla dominazione essenziale, un rovescio in
fin dei conti sempre passivo, destinato indefinitamente alla sconfitta. Le
resistenze non dipendono da un qualche principio eterogeneo; ma non sono
nemmeno illusione o promessa necessariamente delusa. Sono l’altro termine nelle
relazioni di potere, vi s’iscrivono come ciò che sta irriducibilmente di fronte
a loro. Sono dunque, anch’esse, distribuite in modo irregolare; i punti, i
nodi, i focolai di resistenza sono disseminati con maggiore o minore densità
nel tempo e nello spazio, facendo insorgere talvolta gruppi o individui in modo
definitivo, accendendo improvvisamente certi punti del corpo, certi momenti
della vita, certi tipi di comportamento. (…) Come la trama delle relazioni di
potere finisce per formare uno spesso tessuto che attraversa gli apparati e le
istituzioni senza localizzarsi esattamente in essi, così la dispersione dei
punti di resistenza attraversa le stratificazioni sociali e le unità
individuali. Ed è probabilmente la codificazione strategica di questi punti di
resistenza che rende possibile una rivoluzione, un po’ come lo Stato riposa
sull’integrazione istituzionale dei rapporti di potere”.