Milano. Primo maggio. Pur condividendo totalmente i presupposti e gli obiettivi dell’iniziativa noi purtroppo non c’eravamo. Una ragazza che aveva partecipato alla Mayday ha subito violenza. Poca violenza, tanta violenza, non importa. E’ violenza. Altrimenti non siamo divers* da chi sta dentro i tribunali e giudica il livello di violenza dalla profondità di una penetrazione.
E’ vomitevole la maniera attraverso la quale la stampa gioca con i termini “ubriaca”, “mayday”, “egiziano”. Una botta bacchettona e moralista alla ragazza, una botta alla mayday che finisce per apparire come un raduno di scoppiati e l’ultima botta allo straniero.
Tutto ben dosato per ottenere un mix che in sintesi potrebbe essere espresso in un concetto chiaro: la sinistra è “cultura dello sballo” e “anche le donne di sinistra possono essere stuprate dagli stranieri”. Il resto potete immaginarlo da voi.
Abbiamo letto il comunicato, parlato, ci siamo confrontate, incazzate e abbiamo concluso che le cose scritte da Mayday milano chiariscono si il contesto ma sbagliano per alcune sviste significative.
Nel comunicato non c’e’ scritto in un solo passaggio che mayday è solidale con la ragazza che ha subito violenza. Scontato che lo sia ma doveva essere scritto giacchè la ragazza è più importante della mayday.
Sbagliato specificare che si sia trattato di (un tentativo di violenza). Lo stesso comunicato difatti rileva che è comunque gravissimo e la distinzione a nostro avviso non andava fatta.
Sbagliato specificare che il violentatore non faceva parte del corteo. Come se non ci fossero uomini sessisti e che fanno violenza alle donne tra chi viene ai cortei. E’ una estremizzazione ideologica. Di più: è una assoluzione a priori di tutti gli uomini che fanno parte del movimento.
Nelle discussioni che si stanno facendo su indy lombardia si legge troppa preoccupazione rispetto al fatto che i nostri luoghi sarebbero stati in qualche modo “violati” (per il comunicato è "lambita" e "lordata" la giornata di festa, di solidarietà e di lotta). Ricordiamo che è la ragazza ad essere stata violata e non gli spazi o la festa.
In ogni caso noi sappiamo che la violenza può avvenire in tutti i luoghi e non c’e’ una zona franca, centri sociali compresi. Fino a che tra compagni ci si preoccuperà soltanto di dimostrare che i nostri luoghi non sono zone a rischio si fa un gran danno a noi tutte e tutti.
Questo ci sembra uno dei nostri problemi: la quasi totale assenza di riflessione su violenze e sessismo che sono certamente dentro o attraversano i nostri spazi durante occasioni in cui l’adesione al motivo politico che le caratterizza spesso non è esattamente la caratteristica centrale di chi vi partecipa. Se non si riflette su ciò che avviene nei "nostri" spazi non si può certo cogliere con chiarezza l’entità del problema all’esterno. Lo si capisce dalle conclusioni cui arriva il comunicato quando addebita le "ripercussioni sul rapporto tra i sessi" alla "diminuzione complessiva della conflittualità politica e sociale", come se nelle fasi in cui si poteva assistere a maggiori esempi di "espressione di desideri alternativi e egualitari" ci fossero stati meno atti di violenza contro le donne.
Una considerazione amara ma che dobbiamo fare: se alla fine della mayday ci fosse stata una aggressione fascista siamo quasi certe che in men che non si dica un tot di persone avrebbero organizzato un presidio, un corteo non autorizzato, una iniziativa visibile per proclamare la lotta contro il fascismo in ogni sua espressione.
La violenza contro una donna invece ha sortito l’intervento di alcune persone, un comunicato e poi più niente. Non c’e’ stato presidio, non si annuncia nemmeno. La violenza contro le donne non pare un fatto rispetto al quale compagni e compagne vogliono assumersi una responsabilità collettiva. Come se restasse sempre e comunque una faccenda della quale dobbiamo occuparci solo noi donne, femministe, lesbiche, compagne.
Altre riflessioni a caldo, stimolate soprattutto da alcuni interventi raccolti qui e la’. Su indy qualcuno commenta e parla di diritto alla sessualità per le classi oppresse e a noi sembra di andare indietro con la memoria alla fase in cui venivano giustificati gli stupri fatti da compagni perché venivano inseriti in una dimensione ideologizzata di diritto alla sessualità per i proletari. I corpi delle donne svenduti in campagna elettorale dal premier del Governo Papi e a disposizione della causa per compensare i bisogni sessuali delle classi oppresse. In un caso o nell’altro sempre di corpi esibiti, usati si tratta. Non se ne esce.
Archiviamo questo intervento sapendo che non riguarda la maggior parte dei compagni e proviamo ad immaginare il contesto.
Alla fine di una manifestazione c’e’ quasi sempre una conclusione corteo in un luogo festaiolo con musica, chiacchiere, e varie altre cose. Il che significa che si realizza un discreto casino che per i manifestanti stanchi, dopo aver percorso un pezzo di città a piedi e dopo aver vigilato allo scopo di prevenire provocazioni fasciste o malumori della polizia, si traduce inevitabilmente in un calo di tensione e di attenzione. Ci si concede la festa, il relax, i saluti tra compagni e compagne che vanno e le chiacchiere tra compagni e compagne che restano.
Quello che fanno i quotidiani online che parlano della notizia è abbastanza evidente: essi vogliono indirettamente gettare un velo di negatività, come fosse una sberla, una dimostrazione dispettosa alle tante migliaia di persone che avevano sfilato e che ritengono il razzismo e le ronde della lega delle strumentalizzazioni naziste di vicende gravissime come quella dello stupro.
E’ ovvio che questo caso di violenza sarà l’ennesimo sul quale la destra del paese si butterà a pesce per riaffermare che la loro politica fascista contro i migranti tutti, uomini, donne, bambini compresi, è l’unica possibile. Sarà utile per motivare la xenofobia e la repressione.
Il punto però, come sempre, non è la nazionalità. Il punto è che si tratta di un uomo che fa violenza ad una donna. L’altro punto è che in ogni caso c’e’ un problema di disattenzione generale verso questi temi.
Può certamente accadere di non volersi fare gli affari di qualcun@ soprattutto in materia di sessualità. Sappiamo che non è questo il caso giacchè c’e’ chi è intervenuto subito. Ma ci sembra utile raccontarvi una storia. Una di noi racconta:
“A me è successo decenni fa di non essere intervenuta durante lo stupro di una ragazza che era ubriaca all’ultimo stadio. Io non sono stata in grado di capire cosa le stava succedendo. Potevo solo sentire dato che stavo a venti metri da lei e l’uomo che l’ha stuprata era più o meno un “amico” che ha approfittato della sua incoscienza e poi me l’ha restituita come si rende indietro una bambola rotta dopo averla usata. Non potrò mai dimenticare il suo sguardo mentre mi diceva, quasi rimproverandomi, che “lei” stava male e forse era il caso di portarla in pronto soccorso. Lui lo sapeva eppure le ha strappato gli slip e l’ha stuprata. Lei non lo ha denunciato. Mi sono sentita in colpa per anni e a mia giustificazione ho solo la convinzione assoluta che in quel momento pensavo che lei volesse fare sesso e io non ero nessuno per impedirglielo. Da quella esperienza in poi sono diventata protettiva nei confronti delle mie amiche. Se loro bevevano io restavo sobria. Se fumavano idem. Anzi esigevo una sorta di turnazione dato che altrimenti a me non sarebbe toccato mai di potermi lasciare andare e divertirmi. L’accordo era che tra amiche avremmo rivelato le intenzioni della serata e poi c’erano dei segnali in codice precisi che dicevano “aho’ vienimi a dare una mano che ‘sto tipo mi sta mettendo in croce” oppure “tranquilla tutto bene vai pure io resto qui”. Era un affidarci l’una all’altra coscienti come eravamo di non voler “appartenere” a nessun branco di uomini che avrebbero potuto fare a coltellate per noi e di voler avere la piena libertà di decidere della nostra sessualità con la garanzia di un contraccettivo e di una ottima amica che ci avrebbe aspettato fino alla fine delle nostre avventure, se era il caso, per non lasciare che nessuna di noi fosse dipendente da un passaggio in macchina del quale non sceglievamo di aver bisogno. E’ un gioco di solidarietà e comprensione e sorellanza che si esercita nel tempo e che si affina con l’intuito attraverso il quale si riesce alla fine a indovinare a distanza, solo guardandosi negli occhi, quali sono i bisogni della tua amica.”
Noi non sappiamo come siano andate le cose. Sappiamo che i compagni che hanno consegnato il violentatore alla polizia non avevano molta scelta. Ci sorprende perciò qualche commento – sempre su indy – di chi si rammarica del fatto che l’uomo sia stato consegnato alle forze dell’ordine.
Qui si rendono infatti evidenti tutte le contraddizioni che viviamo tra compagni e compagne.
Punto primo: c’e’ una ragazza che ha subito violenza. Stabilire come e perché è un atto dovuto perché una violenza è cosa grave. Se avviene in un contesto “compagno” diventa a maggior ragione un problema di responsabilità collettiva. Il livello di attenzione è alto contro fascisti, razzisti e forze dell’ordine e non – diciamolo – contro i sessisti in generale, dentro e fuori i movimenti. Ogni tanto accade che ci siano uomini che prendano a sberle le donne senza che nessuno senta la necessità di intervenire. E si tratta di cose evidenti. Osservare con occhio critico il sessismo esige una mente e un occhio più allenato ma esige anche una dose di volontà scevra da letture proiettive ideologizzate.
Punto secondo: sappiamo che quell’uomo è uno straniero e che farà galera, cpt e quant’altro. Sappiamo che su questa storia si monterà un caso che come sempre ometterà di dire che la violenza viene fatta dagli uomini a prescindere dalla loro nazionalità. Tuttavia diteci: cosa avreste fatto voi di quell’uomo se non consegnarlo alla polizia? Le donne dovrebbero essere sacrificate in nome di scelte politiche di solidarietà collettiva e la solidarietà collettiva non si dovrà mai rivolgere nei confronti delle donne? Questo è tema che si pone in mille casi, anche dentro i centri sociali dove talvolta vengono denunciati casi di molestia che compagne e compagni risolvono allontanando il molestatore. E’ capitato anche che vi si realizzassero dei veri e propri processi nei confronti delle donne a partire da compagni e compagne che sostenevano che se la tizia è stata molestata è perché lei si è comportata così e cosà dato che a loro non sarebbe mai accaduto lo stesso.
Soliti cliché rispetto ai quali il tema è l’omertà ideologizzata. Come dire: forse non ci troveremmo in difficoltà e sulla difensiva in una situazione come questa se se ne fosse parlato ben bene prima. Se mille volte non si fosse nascosta la questione sotto il tappeto. La domanda dunque resta. Cosa avreste fatto voi? Gli avreste dato una lezione da veri machi paternalisti e poi lo avreste lasciato tramortito da qualche parte? Avreste risolto la cosa “tra voi”? Gli avreste parlato per tentare di convertirlo al rispetto per il genere umano? Gli avreste fatto il biglietto del treno per aiutarlo nella fuga? Cosa avreste fatto? Parliamone e ragioniamo di una soluzione che finalmente tenga conto più che dei diritti (sessuali) degli oppressi del diritto delle donne a non essere MAI violentate. Una soluzione che non contempli assoluzioni per nessuna icona rappresentativa delle nostre lotte, siano essi "proletari", migranti eccetera eccetera.
Sono queste le domande che ci vengono a caldo e le rivolgiamo ai compagni e alle compagne perché questa violenza è una ferita enorme, non che le altre violenze non lo siano perché sanguiniamo ogni volta allo stesso modo, ma questo abuso ci apre ferite su ogni fronte ed è necessario interrogarci sulle contraddizioni che ci attraversano, senza autoflagellarci, per poter affermare con forza che la violenza sessuale, maschile, contro le donne è un atto tremendo, odioso, come ogni singola sfumatura sessista, che il razzismo lo è altrettanto, che la maggior parte delle violenze ai danni di donne e bambine avviene dentro casa, che le ronde sono la riproposizione delle milizie per la sicurezza modello mussoliniano, che il fascismo è la violenza tra le violenze perché usa ogni stupro per affermare un “fatti da parte, siamo in guerra, tesoro” che sfocia in derive autoritarie e in un mucchio di altre cose che sappiamo.
Chi ha subito violenza è una donna, una compagna, una nostra sorella, e a lei mandiamo il nostro abbraccio e rivolgiamo tutta la nostra solidarietà. Con lei dobbiamo crescere. La vulnerabilità non si risolve con ricette precotte. Lo fa la destra, ce le impone senza ascoltarci. Bisogna ascoltare lei e da lei, così come da tutte le nostre compagne che ci parlano ogni giorno di violenza, imparare quale può essere un percorso per tutte e tutti. Per guarire insieme e in fretta. Perché non avvenga mai più. Perché ci riguarda tutte e tutti. Perché siamo noi a dover decidere quali sono le scelte che ci aiutano a sentirci sicure.
Ogni luogo, ogni centro sociale, ogni spazio si interroghi e chieda alle compagne se si sentono davvero “libere”, se subiscono o meno atti sessisti, se il machismo è gradito o no, se non va rimesso in discussione un particolare modello di mascolinità a partire dai luoghi che frequentiamo. Ognuno ha il dovere di fare diventare la violenza maschile contro le donne una priorità politica tanto quanto la Palestina, i migranti, il lavoro, il fascismo e tutto quello che ci/vi interessa. Non sono cose di donne. Sono cose che interessano tutte e tutti.
Le Femministe a Sud (al completo)